il manifesto - 23 Agosto 2002
Bologna, la rivincita dei cinque «terroristi»
Raccontano la loro storia nella sede della Cgil di Padova. «Siamo stati ingenui. Non c'è più la libertà di prima»
ERNESTO MILANESI
PADOVA
Provati dall'esperienza eppure sereni, di nuovo nel mirino dei media. Ma nella nuova sede della Camera del lavoro possono finalmente mettere sul piatto della bilancia la loro innocenza. Sono sempre cinque indagati a piede libero, tuttavia è un azzardo immaginare che si tratti di una cellula terroristica. Germano Caldon ha 55 anni e una lunga quanto trasparente e appassionata «militanza sociale», che inizia con le Acli passa per la Cgil scuola e si snoda nell'associazionismo eco-pacifista fino all'impegno sul fronte disertato dalle istituzioni dei migranti. A Teolo, il comune sui Colli Euganei dove ha iniziato a dedicarsi agli extracomunitari, un po' di tempo fa qualcuno gli ha fatto trovare nell'auto un cappio. Ma Caldon resta sereno. Come ieri pomeriggio con affianco Ahmed Eassanhaji, falegname 22enne, Abdelmalek Toutou, 21 anni, Lahcen Essaghir, 30 anni, una laurea in inglese ed un lavoro da marmista, e Abdallah Wakouz, 27 anni, i quattro amici marocchini con cui il professore di storia dell'arte in pensione ha diviso tre giornate scolpite nella memoria. Erano un originale gruppetto di turisti. Sono precipitati in un incubo. Dalla visita a San Petronio all'arresto, dal carcere agli interrogatori, fino alla libertà riconquistata.

«Ho un solo desiderio, assoluto: noi italiani che ci consideriamo maestri di democrazia dobbiamo imparare ad avere rispetto per la cultura dei berberi. Non gli si può piombare addosso con le telecamere. Ecco credo che questo danno debba essere in qualche modo ripagato dalla stampa, chiedendo loro scusa e impegnandosi ad essere attenti e sensibili». Inizia così Germano Caldon, al centro del tavolo. I quattro marocchini sono scossi, ma decisi a prendere le distanze dall'accusa di terrorismo: «Bin Laden, per me, è un mostro come Frankenstein» spiega Essaghir. In sala, ci sono amici e sindacalisti, un paio di amministratori locali e alcuni familiari dei marocchini. Nessuno ha mai dubitato: i carabinieri avevano preso un granchio clamoroso. «Non siamo noi in questo momento i più adatti a giudicarli. Era chiaro che controllavano quel famoso affresco con Maometto, come adesso è chiaro che questi non sono certo terroristi».

Caldon dà una lezione di giustizia con grande senso di umanità: «E' stata un'esperienza. Anche da vicende così si può imparare. In carcere nessuno sta bene, ma quello di Bologna mi è sembrato un carcere modello. I magistrati hanno avuto la calma e la pazienza necessaria a lasciarci spiegare tutto. Non chiederò risarcimenti se verrò definitivamente prosciolto».

I cinque pensano ad altri problemi, più pressanti. A cominciare dal posto di lavoro: se questa vicenda dovesse metterlo a repentaglio, la Cgil è già pronta a mobilitarsi. Poi c'è la casa: l'associazione Argania, di cui fa parte Caldon, ne ha acquistate tre nel padovano, grazie al sostegno della Banca Etica, perché è il solo modo per far vivere dignitosamente una trentina di migranti. Adesso occorre rimboccarsi le maniche, insieme, per ciò che riguarda l'integrazione faticosamente costruita. Alla vigilia dell'arresto, i cinque erano ad una festa popolare sui Colli regolarmente documentata dalla stessa videocamera sequestrata a Bologna. Ma per far ritorno a Santa Giustina in Colle hanno avuto bisogno di una colletta dei giornalisti che li aspettavano fuori dal carcere, di un'auto messa a disposizione dal sindacato (quella di Caldon è stata sequestrata).

Sorride perfino il professore mentre si prepara a ricominciare da capo una vita berbera perché ai migranti non sia riservato un trattamento barbaro. In Marocco c'era andato la prima volta da turista. E' tornato altre tre volte nelle case dei suoi amici, nel sud del paese fra le dune e l'Algeria. Gente dignitosamente povera, che però considera indispensabile Tv, videoregistratore e videocamera. Ma Germano Caldon, paradossalmente, ci spiega che nel mondo ad una dimensione è normale: «Sono stato ingenuo ed imprudente. Non c'è più la libertà di prima. E' un lusso che non ci possiamo più permettere...».