il manifesto - 17 Agosto 2002
Pomodoro d'agosto per schiavi stranieri
Estate, gli immigrati senza permesso si spaccano la schiena sui campi. Molte ore sotto il sole, pochi euro. La raccolta a cottimo, i caporali, gli infortuni. Il prezzo nascosto del nostro piatto di maccheroni
ANTONIO SCIOTTO
Il ferragosto per loro è un giorno come tanti, si spaccano la schiena sotto il sole per 11-12 ore sui campi di pomodori. Immigrati dall'Est Europa - Ucraina, Polonia, Moldavia - e dall'Africa - Senegal, Marocco, Kenia. I primi, generalmente, tornano nei propri paesi dopo aver fatto «la stagione». In Italia si accampano con le tende, vicino ai corsi d'acqua. Gli altri si spostano per lavorare in inverno, nei campi di carciofi ad esempio. Ma spesso a sbatterli fuori ci pensano le forze dell'ordine. L'ultima retata, il 14 agosto, tra Cerignola e Lucera, nel foggiano: 55 raccoglitori dell'Est senza permesso di soggiorno, espulsione immediata.

Tre quintali? Cinque euro, grazie

Quanto guadagnano gli immigrati irregolari? Perché alle aziende agricole conviene sfruttarli? Il risparmio è garantito, se, come spiega Giorgio Scirpa, segretario generale della Flai Cgil, «vengono pagati in media il 30-40% in meno rispetto ai lavoratori regolari». E mentre i regolari vanno principalmente a ore - in quanto si applicano generalmente i contratti provinciali - gli extracomunitari lavorano a cottimo. Il listino «ufficiale» del foggiano dice che un cassone di 270-300 chili di pomodori raccolti a mano viene pagato dai 4 ai 5,5 euro, a seconda della minore o maggiore concorrenza di altri lavoratori sullo stesso «mercato». Ogni giorno, lavorando in genere dalle 6 del mattino alle 8 di sera, si riescono a riempire dai 7 ai 10 cassoni. Il minimo per 10-12 ore di lavoro sotto il sole e con le ossa spezzate, dunque, si aggira intorno a una trentina di euro, il massimo non raggiunge i 60. Non bisogna dimenticare che si parla di cifre «lorde». Va decurtato circa un euro a cassone. Ci pagheranno le pensioni e l'assistenza sanitaria? Manco per idea. Gli extracomunitari devono mantenere il «caporale», di solito un camorrista, ma sempre più spesso uno degli immigrati stessi, più furbo a fiutare il business e che non si fa scrupoli a trasformarsi in kapò. E c'è un ulteriore mezzo di sfruttamento, subìto invece dai regolari (in genere italiani): pur di raggiungere il minimo dei 51 o 110 giorni lavorati che danno diritto al sussidio di disoccupazione, molti raccoglitori accettano addirittura di fare delle giornate gratis.

Tutti sul trattore, si parte

Lo sfruttamento non si misura solo dal numero di schiene curve sui campi, ma avviene anche sui mezzi meccanici. In questo caso, si materializzano altre figure pronte a far fruttare l'affare pomodoro: il «trattorista» e i macchinisti addetti alla cernita. In pratica, nel caso in cui l'imprenditore preferisca una raccolta più moderna, prende in affitto delle speciali macchine raccoglitrici, pagando al proprietario del trattore dai 3 ai 4 euro per ogni cassone, a seconda dei periodi di minore o maggiore raccolta. Tali trattori, però, non sono poi così automatizzati come si potrebbe pensare: ci sta sopra un autista, in genere italiano, retribuito 6,5 euro a ora. E poi ci sono quattro addetti che scartano i pomodori scadenti: gli italiani vengono pagati 5 euro a ora, mentre gli extracomunitari irregolari soltanto 4.

Fatti i dovuti distinguo tra raccoglitori a mano e meccanizzati, quanti giorni a settimana si fatica? Sette giorni su sette, la stagione è breve e bisogna ottimizzare i tempi. La raccolta dei pomodori dura sì e no tra i 30 e i 40 giorni, dal 20 luglio al 10 settembre, e non c'è tempo per le vacanze. Al massimo, giusto qualche pausa durante una giornata che è decisamente più lunga del classico 9-17 di un impiegato. I raccoglitori dell'est fanno in genere più pause, nelle ore calde, perché meno abituati al cocente sole mediterraneo. Gli africani, più avvezzi alla calura, riescono invece a fare tirate più lunghe. In caso di incidenti, manco a dirlo, bisogna nascondere nella maniera più assoluta la «provenienza» dell'infortunato: mica lavorava nel mio campo, chi lo conosce? Al pronto soccorso dovranno portarlo i compagni: la macchina dell'imprenditore dove faceva la giornata, per ovvi motivi, è off limits.

Ti faccio il business a pezzettoni

Ma tutti questi pomodori che fine fanno? E' facile intuirlo, dato che sulle tavole degli italiani, dalla pizza alla pasta, il pomodoro è un must. Ma qualche dato non fa mai male, soprattutto quando è meno scontato del previsto. Se, come spiega Elio Barba, esperto dell'industria di trasformazione e dei problemi del lavoro del settore, in Italia si consumano 30 milioni di casse di pomodori all'anno - una cassa contiene 24 barattoli da 1 chilo, o 48 da mezzo chilo - sorprenderà sapere che in Inghilterra, paese che si immagina tradizionalmente poco avvezzo alla pumarola, se ne consuma la non trascurabile cifra di 10 milioni di casse. E se nel mondo si trasformano ogni anno dai 250 ai 300 milioni di quintali di pomodori, ancora una volta non siamo i primi: ci superano di gran lunga gli Usa, con una produzione di 100-120 milioni di quintali. Noi siamo secondi, con una produzione annuale di 40-50 milioni di quintali. Un primato di cui vantarci, però, lo abbiamo. Se gli Stati Uniti producono soprattutto concentrato e ketchup, noi ci dedichiamo al fresco, con pelati e pezzettoni. Dei quali pezzettoni siamo i creatori: sulla scorta delle nonne che imbottigliavano la salsa o i filetti, li abbiamo «inventati» e lanciati sul mercato una ventina di anni fa.