il manifesto - 13 Agosto 2002
Vacanze clandestine
A Lampedusa, dove l'accoglienza degli immigrati in arrivo diventa detenzione
Fuga dall'isola Cinque stranieri che scappano dall'aeroporto, un cpt cui nessuno si oppone, tantomeno il sindaco. Viaggio nell'isola degli sbarchi

ILARIA SCOVAZZIFEDERICA SOSSI
GILDA ZAZZARA

LAMPEDUSA
Questa volta hanno semplicemente sbagliato strada, dice qualcuno. Non che quella presa da altri come loro le volte precedenti avesse moltissimi sbocchi. E' sempre stata una strada senza uscita. Ma questa volta la loro fuga ha avuto fine sulla pista dell'aeroporto in cui si trovavano. Lampedusa, domenica 4 agosto, a un'ora imprecisata del pomeriggio. L'aereo che doveva atterrare, e che è atterrato, proveniente da Roma, per poco non se li è trovati davanti al momento dell'atterraggio. Per fortuna, a provvedere alla "bonifica" ci ha pensato il responsabile del luogo da cui erano usciti. Alcuni dicono che erano tre, altri cinque. Ma si cerca di evitare di dire, si dice e si risponde indicando il numero solo a una domanda che contiene già la conoscenza dell'accaduto e suggerisce il numero delle persone fuggite. L'aereo che ha ritardato per i cinque fuggitivi quale destinazione aveva? Pressappoco così, e solo così si ottengono allora le risposte tese a precisare: no, l'aereo non ha subito alcun ritardo, non era quello in partenza, ma quello in arrivo, no, non credo fossero cinque, a me è stato detto due o tre. Ma chi erano? «Clandestini», ovviamente, se la cosa non suonasse del tutto paradossale. Il fatto è che il paradosso è il segno di questo luogo. Aeroporto di Lampedusa, non solo ad un'ora imprecisata di quella domenica pomeriggio, ma sempre, qui, e proprio all'interno dell'area aeroportuale, è situato un Centro da tutti chiamato di prima accoglienza, ma che in realtà nei documenti che lo istituiscono risulta essere un Centro di permanenza. Certo, a livello legale, per stabilire i diritti delle persone rinchiuse lì dentro la cosa dovrebbe avere importanza, ma il paradosso anche in questo caso rovescia l'ordine delle priorità. Chi cercasse di stabilire la condizione giuridica del Centro, s'accorgerebbe ben presto della vanità dell'impresa: che sia di permanenza o di accoglienza, o ancora di primo soccorso e assistenza, il Centro ammassa le persone se non l'una sull'altra, l'una accanto all'altra, impedisce ogni via di comunicazione con l'esterno perché non distribuisce schede telefoniche - perché?, semplicemente perché mancano, ovviamente -, distribuisce i pasti sotto il sole cocente, quando ci sono pasti e non panini da distribuire, ma ovviamente non distribuisce il sapone, non solo perché manca, ovviamente, ma perché altrettanto ovviamente manca l'acqua da più di un mese. Il 6 agosto 2002 all'interno di questo posto c'erano 350 persone, il 7 agosto 2002 ce ne sono 220, domani chissà, potrebbero essere 400 o 190. Sembrerebbe una calamità naturale, ma nemmeno questo è vero. Non c'è alcuna natura, nemmeno quella impietosamente soleggiata di Lampedusa, a stabilire tutto ciò: né gli arrivi degli immigrati, 2920 dall'inizio di quest'anno secondo i dati ufficiali di uno solo dei corpi presenti sull'isola, la guardia costiera; né il modo in cui vengono fatti sbarcare dopo essere stati avvistati in mare, un'accoglienza che nel caso della guardia di finanza prevede manganelli, mascherine e guanti per chi sta da una parte e, per chi sta dall'altra, una lunga attesa seduti a terra, cinture e stringhe levate, qualche goccia d'acqua (2 bottiglie per 43 persone è l'acqua distribuita allo sbarco a cui noi abbiamo assistito), nessun medico, manette per i presunti scafisti, nessuna possibilità di contatto, nemmeno quello di una parola con i turisti che assistono a questa "messa in scena". Sì, una messa in scena, un po' scenografica, stando alle parole di chi decide altre procedure, violenta e tristissima per chi da turista pensava di assaporare soltanto la bellezza del luogo. Terribilmente violenta e triste, per chi ritorna alle bellezze del luogo alla fine dello sbarco, da deportazione, secondo l'attuale sindaco di Lampedusa, che in quanto amministratore dell'isola non si preoccupa però di mettere fine alle deportazioni sulla sua isola, da deportazione per chi, pochi, nessuno, solo noi in questo caso, ed è il primo, decide di seguirli sino al luogo della deportazione. Quale luogo? Un lager, sempre secondo il sindaco di Lampedusa, che lo chiama così parlando al telefono con qualcuno mentre gentilmente ci concede un'intervista, e poi si corregge perché quel qualcuno al telefono deve avergli obiettato qualcosa. Un lager con l'aria condizionata, secondo il maresciallo della guardia di finanza. Piccolo particolare: manca l'aria condizionata, ovviamente.

Un lager, secondo noi che l'abbiamo visitato, un lager nella zona aeroportuale perché la meta della deportazione è proprio quel Centro di accoglienza, permanenza, primo soccorso che dir si voglia da cui quei cinque che si trovavano sulla pista d'atterraggio avevano cercato di fuggire. Non ci sono riusciti, ovviamente, si sono soltanto graffiati, ovviamente, feriti, ovviamente, con il filo spinato che hanno dovuto piegare e scavalcare per poter fuggire, ovviamente sono stati ripresi, l'aereo è atterrato, i turisti non hanno saputo nulla, ovviamente, i cinque o tre sono stati riportati nel lager, ovviamente, puniti, ovviamente, in quale modo non si sa, ovviamente, di certo e affermato dai responsabili del lager sappiamo solo che per punizione, solitamente, in caso di fuga (e le fughe sono molte, ovviamente), si prevede la pulizia del luogo, di narrato e sussurrato sappiamo che le punizioni prevedono una "procedura" diversa. Quale? Difficile non indovinare, nel caso in cui si sia udito uno dei responsabili del lager sostenere, durante la nostra visita, e dunque in modo ufficiale, che il "conteggio" dei 400, 350, 197, 220, dipende dai giorni, avviene 10 volte al giorno. Perché? Per essere sicuri che non scappino, ovviamene. Dove? Nel piazzale davanti al Centro, sotto il sole, ovviamente, dal momento che anche la "procedura" del pasto prevede 197, 220 persone sotto il sole cocente di un'isola che non offre un solo metro d'ombra, per non meno di un'ora, poiché il pasto viene distribuito a due deportati per volta. O sotto la luna, perché abbiamo appreso dopo che il giorno è di 24 ore, e comprende dunque anche la notte.

Come volete che siano stati puniti cinque fuggitivi che in questo caso hanno anche avuto la colpa di aver sbagliato strada, di essersi trovati sulla pista e non in altri luoghi dell'aeroporto, come sinora era sempre accaduto negli infiniti altri tentativi di fuga dal lager, se per il responsabile tutto è ovvio, conteggio, pasto al sole, file di deportati allo sbarco, piedi scalzi e un sacchetto di plastica in mano all'imbarco della nave di linea o dell'aliscafo che li porta verso Agrigento, e persino il filo spinato? Con la terribile ovvietà che quest'isola ci ha fatto scoprire.