il manifesto - 23 Luglio 2002
Un faro per accecare la «cernia»
Le tecniche con cui nel canale di Otranto i militari fermano i gommoni carichi di immigrati
GIUSEPPE ROLLI
BARI
La legge del mare, prima ancora di quella della natura, sull'argomento è molto chiara: esistono codici che impongono alle navi, in particolar modo militari, di non accostare altri natanti soprattutto se a bordo vi sono molte persone. Eppure quest'ennesimo episodio avvenuto a largo di Valona ricorda amaramente la strage dei migranti avvenuta a Otranto nel giorno del Venerdì Santo del 1997 quando una motovedetta della Marina militare Sibilla affiancò una nave carica di profughi (la Kater I Rades), facendola calare a picco. La barca venne ripescata sul fondo a 800 metri di profondità. Morirono 108 persone. In questa circostanza come in tante altre, comunque, si è trattato sempre di una «consueta operazione di servizio anti-immigrazione». Almeno questa è la versione ufficiale che ne viene fuori dopo tutte le tragedie, quando si contano i morti. Durante un'altra operazione anti-immigrazione (quella del 15 settembre 2000 a largo di Brindisi), sempre eseguita dalla Guardia di finanza, fu scongiurata un'altra sciagura. Anche in quel caso gli organi militari affermarono che l'operazione era stata condotta «secondo le regole di ingaggio alle quali, da sempre, si ispira la Guardia di finanza». Peccato però constatare che quanto ancora continua ad accadere al di qua e al di là del canale d'Otranto, è una storia fatta anche di altre «verità». Che parlano di regole di ingaggio (o di harassment) che continuano a produrre morte e disperazione, ma solo da una parte: quella degli immigrati.

Le reazioni politiche, intanto, non si sono fatte attendere. Pietro Folena, dei Ds, chiede se la nuova legge sull'immigrazione «non si stia instaurando un clima di maggiore tensione tra chi è adibito alla lotta contro l'immigrazione clandestina». Il parlamentare ha chiesto che il governo riferisca al più presto alle camere. Giovanni Russo Spena, parlamentare di Rifondazione comunista, domanda: «Quali disposizioni sono state date ai militari? Quali sono oggi le regole di ingaggio? Bisogna che il governo risponda». L'associazione albanese Iliria, intanto, invita questa mattina alle 10 a un sit-in di portesta di fronte a palazzo Chigi.

Ma quali sono le tecniche utilizzate in mare per fermare i cosiddetti «clandestini»? Una di quelle maggiormente utilizzate dalle forze dell'ordine è di stazionare in mare a motore spento e aspettare il natante dei migranti, che loro chiamano in gergo "la cernia". quando si avvicina dove, lo costringono a virate pericolose sia per coloro che ci viaggiano sopra che per gli stessi militari. Un potente faro punta lo scafista che, "accecato", inevitabilmente si vede costretto a fare delle manovre impossibili per tentare di fuggire e guadagnarsi il mare. Un'altra tecnica è quella della «fune». In questo caso una corda viene distesa in acqua tra due motovedette nello spazio dove si pensi che possa passare il gommone dei «clandestini». La fune finirà nell'elica dei potenti motori bloccando il viaggio dei clandestini. Anche qui però il rischio è proprio quello che la potenza dei motori, interrotta bruscamente, possa produrre lo scoppio degli stessi. Tecniche ovviamente bandite da tutti i regolamenti internazionali di navigazione.