il manifesto - 20 Luglio 2002
Tra cielo e terra l'astrolabio dell'Islam
«Storia della scienza araba. Il patrimonio intellettuale dell'Islam», un libro-dialogo tra lo storico della scienza francesce Jean Rosmorduc e Ahmed Djebbar. Edito da Cortina
AUGUSTO ILLUMINATI
Con grande tempestività, a un solo anno dall'edizione francese, è apparso nella collana «Scienza e idee», diretta da Giulio Giorello, Ahmed Djebbar, Storia della scienza araba. Il patrimonio intellettuale dell'Islam (Raffaello Cortina, pp. XXI-363, 26,00 euro). Si tratta di un libro-dialogo fra lo storico della scienza francese Jean Rosmorduc e l'illustre collega arabo dell'università di Paris-Sud, seguito da una postfazione di Massimo Campanini, che è anche il traduttore. Il libro copre un vuoto, come ricorda appunto Campanini, dato che in Italia l'ultimo testo significativo sull'argomento fu Scienza e civiltà nell'Islam di Seyyed Hossein Nast, addirittura nel 1977. Più abbondanti la letteratura generale sull'Islam e quella dedicata agli aspetti filosofici e sociologici - ciò che rende a volte ridondante il pur opportuno inquadramento iniziale del tema nella cornice della rivelazione coranica e delle linee complessive di sviluppo di una cultura islamica di lingua araba, in cui confluiscono contributi di diversa origine nazionale. Troppo spesso noi riconosciamo magnanimamente i meriti arabi nella «trasmissione» del sapere antico al Medioevo latino, come se si fosse trattato di un servizio intenzionale. In realtà dovremmo parlare di appropriazione e rielaborazione originale islamica nei secoli VIII-X del retaggio filosofico e scientifico classico e di altre tradizioni ideologiche e pratiche, cui ha fatto seguito, a partire dall'XI secolo, un'appropriazione e rielaborazione latina di quel complesso di conoscenze.

Neppure di «recupero» si può a rigore parlare, perché la tradizione greca era interrotta in Occidente almeno dal IV secolo e in area bizantina la rinascita di elementi classici nel XII secolo non passò se non sporadicamente per il tramite arabo. Ognuno ha lavorato per conto proprio creando una schiera di traduttori (per cui giocò in fasi successive un ruolo importante il bilinguismo siriaco-arabo e arabo-ebraico) per impossessarsi di un sapere desiderato per sé e per i suoi effetti di potere. Secondo gli autori, proprio l'attività critica esercitata a proposito dell'esegesi del Corano e dell'autenticazione degli hadîth di Maometto, così come la successiva ricerca sulla struttura della lingua araba e la ricezione posteriore delle opere filosofiche greche, avrebbero favorito lo sviluppo di uno spirito razionale - nel contesto di una civiltà imperiale urbana assai aperta ai viaggi e alla commistione etnica.

Il ceto politico-religioso dominante si avvalse spregiudicatamente non soltanto delle culture e del personale intellettuale e amministrativo delle altre religioni del Libro (cristiani, ebrei, zoroastriani), ma assorbì voracemente le tradizioni empiriche e scientifiche di tutte le civiltà viventi e passate incluse nell'orbita del dominio califfale. Così furono recuperate le tradizioni pratiche sumere, babilonesi ed egizie (nonché quelle risalenti all'Arabia preislamica) nel campo dell'agrimensura, della medicina popolare, dell'osservazione degli astri, della metallurgia, del calcolo attuariale e commerciale, ecc. e furono sistematicamente assorbite, tradotte e discusse le discipline scritte e organizzate del passato: la matematica indiana, la chimica faraonica-alessandrina, l'astrologia caldea e sabea, geometria, matematica, medicina e filosofia greca. L'atteggiamento epistemologico greco fu assolutamente dominante, mentre la logica aristotelica venne usata come momento di articolazione dei precetti coranici in una completa giurisprudenza per analogia. Naturalmente vi fu uno sviluppo autonomo non solo della filosofia (se non altro per la necessità di conciliare Platone con Aristotele e con Maometto) ma anche dell'osservazione astronomica e della pratica medica e chimica. Tuttavia il metodo sperimentale restò embrionale, soffocato, come nel Medioevo cristiano, dall'ossequio ortodosso alla sapienza antica più che a un dettato rivelato.

Il limite della cultura islamica fu di essersi avvicinata alla messa in discussione delle ipotesi geocentriche, con due secoli di anticipo rispetto alla scolastica inglese, ma di esaurirsi intorno al XIII secolo, troppo presto per inaugurare un cambio di paradigma per cui pure esistevano le condizioni scientifiche preliminari. La fine della spinta propulsiva politica e l'impossibilità, in quella congiuntura, di una secolarizzazione produssero un blocco in cui il mondo arabo ben presto si isterilì, malgrado i secoli dell'espansione ottomana. Il colonialismo fece il resto e l'attuale reazione fondamentalista, con il suo ritorno illusorio al mito dell'autosufficienza islamica, è la forma modernissima della reazione a una modernità deludente.

Gli autori descrivono con efficacia la capacità della lingua araba di assorbire, già nella terminologia, lo spirito delle culture reimpastate nel contesto islamico, e seguono in dettaglio le fonti e gli sviluppi originali della trigonometria, della costruzione di strumenti astronomici (come l'astrolabio, fondato sull'ipotesi della rotazione della Terra su se stessa), del calcolo posizionale indiano a base 10 e della sua notazione simbolica, dell'algebra, dell'ottica, di una dottrina dell'impetus (che, sulla base di uno spunto isolato di Filopono, precorre e probabilmente ispira la linea Buridano-Oresme-Galileo) fino a numerose invenzioni pratiche sparse (singolare quella delle penna stilografica) e alla trasmissione fisica di tecniche e materiali di lontana provenienza (piante, essenze, la carta cinese, il petrolio come napalm e come illuminante, ecc.). Ci ricordano anche la presenza, nel grande storico e sociologo maghrebino Ibn Khaldûn, di un'embrionale teoria dell'evoluzione, ivi compresa la parentela fra uomo e scimmia, che sviluppa l'assunto neoplatonico della grande catena dell'Essere in base all'osservazione concreta dei fenomeni geologici e zoologici.

Assai completa è la descrizione dell'organizzazione tecnologica e lavorativa e soprattutto del mirabile sistema ospedaliero e assistenziale, che parte dal giuramento obbligatorio di Esculapio e arriva fino all'edilizia e alle regole di igiene, alle pratiche farmaceutiche e chirurgiche. Un utile sistema di tabelle documenta accuratamente nel libro per settore scientifico i testi originali e le traduzioni dalle varie lingue, mette a confronto i vari sistemi di numerazione e illustra varie soluzioni di problemi algebrici e geometrici. La bibliografia è aggiornata sino al termine del secondo millennio. Concordiamo con la nota finale di Campanini, che tende a valorizzare nell'approccio olistico il tratto caratteristico del patrimonio scientifico-filosofico arabo: un vantaggio in una fase particolare e un blocco rispetto alla cesura galileiano-cartesiana dell'unità del sapere. Il futuro mostrerà se quell'approccio olistico potrà tornare fecondo in un'epoca di eccessivo specialismo e se la cultura arabo-islamica potrà trarne elementi di rivitalizzazione.