il manifesto - 16 Luglio 2002
Un marchio per tutti
Impronte digitali anche agli italiani. Ma non subito. Il centro destra tenta così di recuperare la faccia dopo la schedatura degli immigrati. La Margherita rivendica soddisfatta: «La proposta era nostra»
LUCA FAZIO
Impronte per tutti, ma senza fretta. Riuscite a immaginare milioni di italiani in fila al commissariato con i polpastrelli bene in vista per soddisfare la voglia di propaganda e sicurezza della Casa della Libertà? Complicato. E infatti la democratica misura di rilevazione dattiloscopica, «senza discriminazione alcuna», verrà applicata anche per gli italiani, ma con calma. Per ora è stato sufficiente dichiararlo per disinnescare le accuse di razzismo lanciate dal centrosinistra (che per primo si era innamorato delle impronte digitali) e insieme per incassare la soddisfazione dell'Unione delle comunità ebraiche (Ucei) che ieri ha rinunciato a manifestare il proprio dissenso contro l'idea di prendere le impronte agli stranieri proprio perché il governo ha infine promesso di prenderle a tutti. Il ministro per i rapporti con il parlamento, Carlo Giovanardi (Udc), intervistato ieri da Radio Popolare, però ha lasciato intendere che il provvedimento difficilmente potrà applicarsi agli italiani con la stessa tempestività con cui verranno avviata la schedatura di tutti i cittadini stranieri interessati dal decreto legge della cosiddetta «sanatoria» per gli irregolari che lavorano. «Nel decreto legge che regolarizzerà gli stranieri - ha spiegato il ministro - potrà trovare accoglimento anche questa norma per gli italiani che entrerà in vigore progressivamente mano a mano che si rinnovano i documenti, anche con l'introduzione della carta di identità elettronica. E' solo un problema di tempi tecnici, la decisione politica è già stata presa e nessuno deve sentirsi discriminato: la libertà è poter vivere tranquilli in pace e senza rischi di aggressione».

Ancora più esplicito è stato il «responsabile demografia e immigrazione» di An, Giampaolo Landi di Chiavenna, secondo il quale per ora non c'è alcuna richiesta di polpastrelli nostrani. «Non sono contrario, e ci tengo a ripeterlo, al principio di estendere i rilievi dattiloscopici anche agli italiani - ha precisato - tuttavia esprimo le mie perplessità sui tempi e i modi dell'iniziativa. Non c'è urgenza: prima è necessario mettere a regime la norma della legge Bossi-Fini la cui finalità mira a consentire la corretta individuazione delle generalità dello straniero». Insomma, tanto per cominciare, sotto con gli extracomunitari (fatta eccezione per preti e calciatori). Poi, si vedrà.

Amos Luzzatto, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche, preferisce aspettare l'incontro di oggi con il ministro Lunardi prima di esprimere un parere sulla parola data dal governo Berlusconi. Comunque, rimane il fatto che per Luzzatto la rilevazione generalizzata delle impronte digitali non è un provvedimento inutile e, almeno simbolicamente, nemmeno poco tranquillizzante. «E' meno rassicurante - spiega - stabilire certe categorie di persone a cui applicare un metodo di identificazione. Il problema non è quale tecnica si usa, ma per chi la si usa. Credo che il problema del controllo sociale non sia collegato a una tecnica di rilevamento ma piuttosto a una scelta politica e quando posso mettere ancora in discussione la volontà politica mi sento piuttosto tranquillo».

Salvatore Palidda, sociologo esperto di polizie, sostiene che la rilevazione delle impronte è un elemento di identificazione vecchio e effimero: «Intanto, esistono tecniche per modificare le proprie impronte digitali, e poi con il tempo le impronte digitali di una persona possono anche modificarsi: i criminologi più rigorosi utilizzano già forme di identificazione più serie». Secondo Palidda tutta la questione ha solo un significato simbolico e demagogico: «Che altro senso potrebbe avere schedare 58 milioni di persone per prendere pochi criminali in un contesto generale di costante diminuzione del crimine?».

Per il vice presidente Gianfranco Fini, tanto per rimanere all'inquietante simbolico della digitalizzazione di massa, l'unico problema invece è restare l'indiscusso campione della sicurezza rivendicando la paternità del provvedimento. «Estendere a tutti, senza alcuna distinzione, tra italiani e immigrati extracomunitari i rilievi dattiloscopici per garantire certezza dell'identità - ha spiegato Fini - è un impegno che la maggioranza ha preso da tempo come confermano gli ordini del giorno di La Russa e D'Alia approvati alla Camera con il parere favorevole del governo. Giovanardi ha fatto benissimo a confermarlo, sia per evitare spiacevoli malintesi derivanti da disinformazione, sia per stroncare le strumentalizzazioni dell'opposizione».

E chi oserà mai insidiare la paternità di questa schedatura di massa all'italiana a Gianfranco Fini? Ma la Margherita, naturalmente. «La volontà manifestata dal governo - esprime soddisfazione Maurizio Fistarol, responsabile istituzioni della Margherita - di estendere a tutti i cittadini l'impronta digitale come strumento efficace per una identificazione certa dà seguito a un ordine del giorno approvato dalla Camera su nostra proposta, primo firmatario Francesco Rutelli». E per Fistarol, sinceramente indignato per la pratica discriminatoria che stava per colpire solo gli immigrati, questa è una vittoria del centrosinistra: «Rilevo il successo di un'iniziativa di una forza di opposizione riformista come la Margherita che si è saputa imporre per il buon senso, la responsabilità e l'equilibrio di cui si è fatta portatrice».