il manifesto - 13 Luglio 2002
Piccoli schiavi senza frontiere
Due milioni di minori vittime ogni anno della criminalità. Un traffico che nell'ultimo decennio ha investito soprattutto i paesi dell'est. L'Italia paese di smistamento
La ricerca sulla tratta dei bambini è stata condotta dalla Fondazione Basso e presentata in un convegno internazionale ieri a Roma. Foto Antonio Priston

EMANUELE GIORDANA *
Sulla caduta del Muro di Berlino molto si è detto. Ancora poco però si è forse scritto sui suoi effetti e sul debito contratto dalle «società in transizione» con il loro nuovo alleato occidentale. Uno degli aspetti di questo debito viene pagato ogni anno in natura: attraverso il commercio illegale dei bambini e il trasferimento di giovani minorenni o maggiorenni ad alimentare il mercato della prostituzione. La stima mondiale parla di 2 milioni di bambini e bambine che ogni anno vanno a ingrossare le file dell'esercito gestito dalla criminalità organizzata. E in quest'esercito, l'apporto dei paesi dell'Est è recente: data appunto dagli anni `90. A questa truppa clandestina i Paesi in transizione stanno contribuendo ogni anno, nei confronti della sola Europa, con circa 6 mila bambini tra i 12 e i 16 anni. Al Convegno internazionale dedicato ai «piccoli schiavi senza frontiere», che si è tenuto a Roma per tre giorni - ieri le conclusioni - queste sono alcune delle cifre che hanno accompagnato gli interventi. In gran parte sono il frutto di una ricerca, non ancora ultimata, condotta dalla Fondazione Lelio Basso con il contributo del ministero degli Esteri. La ricerca ha come campi d'indagine l'Italia, la Romania e l'Albania e dunque il traffico di minori tra lo stivale e due Paesi in transizione vicini. E' una ricerca che però incrocia anche dati diversi (ad esempio la prostituzione nigeriana) e non è fine a se stessa. Fa parte di un progetto - capofila Terres des Hommes in collaborazione con Save the Children Italia e Parsec - che ha per obiettivo almeno una miglior definizione del quadro legislativo nazionale. Come ha ricordato il procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna, esiste infatti un disegno di legge che dovrebbe equiparare il delitto di riduzione in schiavitù a quello di tratta, inserendolo dunque nei reati di mafia. Ma l'impressione è che la strada resti in salita, come i primi dati della ricerca dimostrano.

L'Italia viene presentata come il luogo di approdo e di smistamento in altre regioni d'Europa del grande flusso di manovalanza minorile gestita dalla malavita, una tragitto che fa del Nordest la zona dove si registra il più alto numero di minori coinvolte nel traffico illegale, ossia sino a un quinto del numero totale, contro la media quattro volte più bassa di altre città italiane. La velocità di smistamento è invece patrimonio della zona compresa tra Modena e Rimini, dove la media mensile di nuovi arrivi di piccole lucciole supera le 80 persone. Dati imprecisi, per via della difficoltà per le piccole schiave di sfuggire ai loro leoni e di denunciarli visto che, nel 2001, solo il 5% delle minorenni erano riuscite a uscire dal giro denunciando i loro sfruttatori.

Che il fenomeno sia legato alle condizioni dei Paesi in transizione risulta evidente dall'analisi dei flussi: il gruppo aggregato come ex jugoslavo era, nel quinquennio 88-93, quello maggiormente coinvolto, mentre alla fine degli anni `90 il suo peso è fortemente diminuito. Al contrario, dice la ricerca, per il gruppo albanese, moldavo e rumeno il peso è fortemente aumentato alla fine del decennio scorso. Gli albanesi, provenienti dal Paese più disastrato, detengono il primato delle denunce: dalle poche decine registrate sino al '93, alle circa 3.600 negli anni successivi, arrivando così a rappresentare il gruppo che praticamente detiene il monopolio della gestione della prostituzione straniera.

La ricerca però tende ad evitare i facili allarmismi. Francesco Carchedi, sociologo della Lelio Basso, spiega che «il fenomeno, seppur grave e preoccupante dal punto di vista qualitativo, ci sembra, con le dovute cautele, che non lo sia altrettanto dal punto di vista quantitativo. Non siamo - aggiunge - davanti ad un fenomeno che ci sovrasta e che per la sua grandezza inibisce qualsiasi tentativo di risposta». Si tratta, conclude, di un fatto «che va affrontato con interventi investigativi e giudiziari da un lato e di protezione sociale adeguati dall'altro».

*Lettera 22