il manifesto - 13 Luglio 2002
Una legge ereditata dall'Ulivo
La Bossi-Fini peggiora la Turco-Napolitano ma non ne stravolge l'impianto generale
LUCA FAZIO
L'Ulivo adesso insorge contro una legge «ignobile» e «vergognosa» e «cattiva». Bene, applausi. Ma chissà se qualcuno, smorzate le grida antirazziste, avrà il coraggio di ammettere che questa legge contro l'immigrazione è anche figlia del governo di centrosinistra? Sembrerebbe di no. Ma, a costo di vestire i panni della «sinistra minoritaria votata alla sconfitta», come ripete l'onorevole Ds Livia Turco, non si possono non vedere alcune sostanziali affinità tra le due leggi, tanto che verrebbe da chiamarle con un unico nome: Turco-Napolitano-Bossi-Fini. Detto questo, non può essere di consolazione il fatto che loro sono sempre peggio di noi. Per le impronte digitali? Forse. Eppure erano già il fiore all'occhiello del «pacchetto sicurezza» voluto dall'ex premier D'Alema, anche se nel 2000 su 28.000 stranieri arrestati solo 607 avevano identità incerta. In più, se battaglia contro la destra razzista deve essere, sarebbe meglio se gli ulivisti non giocassero a fare i cattivi puntando il dito anche contro le presunte «furbizie» del Polo a proposito del «condono» per tutti gli irregolari in Italia (se fosse così, evviva per le migliaia di persone che vivono in «clandestinità»).

Non per sparare sulla Croce Rossa, che in segreto li gestisce, ma cominciamo con i centri di detenzione per immigrati senza permesso di soggiorno, dove sono imprigionate persone che non hanno commesso reati. Oggi i malcapitati finiscono dietro le sbarre non più per 30 ma per 60 giorni: peggio adesso, ma l'invenzione è targata Ulivo. Anche il capitolo espulsioni si differenzia per alcune sfumature. Grazie a Bossi e Fini, oggi gli espulsi devono lasciare il territorio entro 3 giorni e non più 15, e in più (ma servirebbero migliaia di carceri) il trattenimento diventa la regola per ogni espulsione: è sparito il cosiddetto «foglio di via»; quanto all'arresto per l'immigrato che dopo un'espulsione si ripresenta sul territorio, era già contemplato nella Turco-Napolitano: la pena però è passata da 2 a 4 anni di carcere.

Veniamo al principio fondamentale di questa nuova legge che di fatto introduce una sorta di schiavitù moderna: entra in Italia - legandosi mani e piedi al padrone - solo chi ha un contratto di lavoro. Uno scandalo? Sì. Ma prima, sostiene Gianluca Vitale dell'Asgi (Associazione studi giuridici sull'immigrazione) non era poi così diverso. «Il meccanismo di ingresso principale per i lavoratori immigrati viene modificato solo in parte - spiega - e quindi fa solamente propaganda chi dice che oggi entra solo chi ha un lavoro mentre prima il sistema funzionava in maniera totalmente diversa». Entriamo nel merito. Gli immigrati, fin dai tempi della legge Martelli, sono sempre entrati grazie alla insensata politica delle quote, meccanismo che in realtà pretendeva di stabilire quanti lavoratori «regolari» aveva bisogno il paese e non quante persone entravano di fatto. Nessuna legge ferma le migrazioni. Ai tempi dell'Ulivo funzionava così: il datore di lavoro italiano chiamava il lavoratore all'estero (figurarsi...) e la sua richiesta veniva accontentata dal governo solo se non era già stata superata la quota flussi (e non a caso la richiesta di manodopera è sempre stata superiore alle previsoni). E' vero però che il meccanismo dello sponsor (una persona in Italia poteva far da garante per l'ingresso di due extracomunitari) è stato sciaguratamente abolito dalla legge Bossi-Fini: ma lo scorso anno su 80.000 ingressi solo 15.000 persone ne hanno usufruito, «segno che il principio generale era più o meno il medesimo, entrava regolarmente chi aveva già in mano un contratto». L'essere umano oggi è considerato merce? Vero. Ma con la Turco-Napolitano, spiegano diversi avvocati, molte persone che avevano ottenuto il permesso nel 1990 sono state allontanate perché al momento del rinnovo non avevano un reddito fiscalmente assoggettabile (magari lavoravano, ma senza contratto). Chi perde il lavoro oggi però viene espulso. Una aberrazione. «In base all'articolo 37 del regolamento di attuazione della Turco-Napolitano - ricorda l'avvocato del Naga Pietro Massarotto - si poteva ottenere un permesso di soggiorno a motivo dell'iscrizione alle liste di collocamento ma solo per un anno, dopo di che se non ottenevi un lavoro anche prima venivi espulso, oggi invece non si può ottenere questo permesso e il termine massimo per trovare un lavoro è sceso a sei mesi». E perdere il permesso di soggiorno - adesso, ma anche allora - significa la perdita del permesso anche per tutti i familiari ricongiunti. A proposito. Se oggi è complicato chiedere il ricongiungimento dei genitori (nel paese di origine non devono avere altri figli maggiorenni in grado di mantenerli) già prima per lo stesso motivo le ambasciate rifiutavano il visto di ingresso. «Il Polo fa demagogia - sintetizza il sociologo Salvatore Palidda - ma in realtà non ha fatto altro che stringere le maglie di un'impalcatura legislativa che è rimasta uguale». Per non parlare di altre «scivolate» di segno ulivista. Se è odiosa la propaganda che parla di navi da guerra per respingere le «carrette» del mare, è vero anche che la marina italiana, in altri tempi, ha affondato una nave piena di immigrati. Il diritto di asilo? La legge era già pronta, ma l'Ulivo non si è battuto per votarla: e ora il governo Berlusconi, tanto per cominciare, ha pensato di istituire i «centri di permanenza» per i profughi. Chi non la fa, l'aspetti.