il manifesto - 14 Giugno 2002
«Non cureremo la Bossi-Fini»
Milano, immigrate in piazza contro la legge: non saremo servili verso le nuove norme
Badanti e non solo Donne tunisine, eritree, latino-americane sfidano il sole e la partita dell'Italia per diffondere un appello contro la legge sull'immigrazione

MANUELA CARTOSIO
MILANO
«Con la barbarie non saremo né materne, né benevole. Noi non saremo servili». Con questo perentorio «avvertimento» si chiude l'appello, la cosa più intelligentemente dura che ci sia capitato di leggere contro la Bossi-Fini, stilato da un gruppo di donne straniere immigrate a Milano. Somale, eritree, marocchine, tunisine, albanesi, latino-americane - incuranti del sole a picco e della partita degli azzurri - ieri pomeriggio distribuivano il testo di fronte a palazzo di giustizia. La Bossi Fini, «una legge scritta da chi non vuole sapere che cos'è il mondo», degrada il lavoro da «promessa di libertà, dignità, uguaglianza, sicurezza» a servitù. Fa sparire «dietro le sue braccia da lavoro» il migrante, costretto a vendere tutto il suo essere, a rinunciare agli affetti, ai saperi, ai desideri, in cambio della possibilità di stare là dove un padrone glielo concede e solo per il tempo che serve. Un ritorno, «senza veli», alla servità e alla schiavitù per tutti i migranti, che però alle donne infligge un'umiliazione in più. «Donne che hanno conosciuto il mondo, le sue leggi, le sue frontiere, la sua barbarie, la sua speranza, le sue molte lingue. Saranno solo serve o badanti, per legge». Badanti, solo la parola irrita Faduma Mohammed Dirie, mediatrice culturale. La sanatoria per le immigrate che assistono gli anziani, dice, «è un affare per voi, non un regalo per le colf immigrate che diventano prigioniere a piede libero». Il permesso di soggiorno che dura solo un anno espone l'immigrata ai ricatti e alle bizze della famiglia per cui lavora. Non può sposarsi o fare il ricongiungimento, non può avere una vita propria e quando muore il vecchietto deve trovarne in fretta un altro, per non perdere il permesso di soggiorno. «E dopo cinque anni così si rischia anche d'andare fuori di testa». Questa legge, oltre a schedarci, ci vuole domestiche a vita, afferma Ainom Maricos, presidente dell'associazione «Cittadini del mondo». «E' toccato alle nostre madri e alle nostre zie. Adesso basta». Tanta paura dei clandestini, interviene Edna Abdirekman, e poi mettere quel che avete di più prezioso, i figli e gli anziani, nelle loro mani. Edna, ausiliaria socio-sanitaria, all'ottavo mese di gravidanza, si accarezza il pancione e riesce a scherzare: «Lo chiamerò Brambilla Fumagalli (i cognomi milanesi per antonomasia, ndr), così non rischierà l'espulsione. E pensare che io sono scappata dalla guerra per farlo nascere libero». Xenofoba, razzista, ipocrita la Bossi-Fini, e pure «demenziale» aggiunge Ainom Maricos, ex consigliera comunale Ds. «Fa la faccia feroce per convincere la gente semplice che i clandestini spariranno, mentre invece aumenteranno».

Gli effetti del giro di vite si fanno sentire in anticipo sull'entrata in vigore della legge. Da quando governa Berlusconi, le questure per concedere la carta di soggiorno pretendono non solo che il migrante abbia lavorato per cinque anni (la Bossi-Fini li alza a sei) senza interruzioni, ma sempre per lo stesso padrone. Una bella contraddizione per chi - osserva un'informatissima colombiana - teorizza nel Libro bianco la massima flessibilità, cento posti diversi nell'arco della vita lavorativa. Interviene una marocchina: «Questa legge ci tratta da ospiti, però sgraditi»; gli immigrati saranno perennemente precari sotto controllo, quindi insicuri. «Voi parlate solo della vostra sicurezza, ma c'è anche la nostra». Si rifà viva Edna: «Per far venire qui mia madre, oltre a dimostrare che in Somalia non ha altri figli che la sostengono, dovrò aspettare che abbia compiuto 65 anni. Un'età che in Africa in pochi raggiungono, come tutti sanno eccetto Bossi».La legge, questione di giorni, sarà approvata. «Purtroppo», dicono le immigrate, «però non smetteremo di farci sentire». «Dobbiamo far capire che la Bossi-Fini creerà dei disastri», dice Ainom. Disastri altrui, si legge nell'appello, ai quali le donne migranti questa volta non metteranno le toppe. «Non medicheranno le ferite che altri infliggono alla convivenza umana, non indoreranno le pillole per una società ostile». E' una dichiarazione d'insubordinazione al ruolo femminile di «macinare e calmare» le tensioni nella famiglia e nelle comunità migranti. Anche se volessero lenirle, questa volta il fardello è eccessivo. «Perché questa legge, e la cultura che la genera, è un passo verso una barbarie sempre meno curabile».