il manifesto - 07 Giugno 2002
Il costo della fame
Non solo porta malattie e morte. La malnutrizione soffoca capacità e futuro degli individui, sviluppo e risorse delle nazioni. Spesso la fame non è l'effetto, ma la causa dei conflitti. Sconfiggerla significa dare più sicurezza, più risorse umane e economiche per tutti. Alla vigilia del vertice Fao, pubblichiamo un articolo del suo direttore generale
JACQUES DIOUF


Malgrado l'abbondanza di viveri nel mondo, più di 800 milioni di persone continuano ad andare a dormire con la pancia vuota; migliaia di bambini muoiono ogni giorno per gli effetti diretti o indiretti della fame e della sotto-alimentazione cronica. Mentre le ricchezze accumulate nel mondo permetterebbero di coltivare le migliori speranze, la stessa domanda continua a proporsi in modo martellante: riusciremo a debellare la fame? E' vero, sono stati compiuti alcuni passi avanti contro questo flagello: nel corso del XX secolo, la produzione di viveri è aumentata a un ritmo più sostenuto di quello della popolazione mondiale, che è più che raddoppiata. Tuttavia, l'accesso disuguale all'alimentazione e ai mezzi di produzione continua a privare milioni di esseri umani del diritto più fondamentale: quello di mangiare a sazietà. Inoltre, resta molto da fare per assicurare a tutti un'alimentazione sana e nutriente.

Nel novembre 1996, in occasione del vertice mondiale dell'alimentazione, i dirigenti di 186 paesi, tra cui 112 capi di stato e di governo, avevano stabilito i principali punti d'azione. Avevano fissato un obiettivo ambizioso e modesto ad un tempo: ridurre il numero delle persone che soffrono di malnutrizione da 800 a 400 milioni entro il 2015. Ma per raggiungere questo obiettivo, questa cifra avrebbe dovuto ridursi di 22 milioni l'anno. Invece, finora tale diminuzione non ha mai superato i 6 milioni l'anno.

Malgrado le risoluzioni e l'impatto mediatico del vertice del 1996, il problema della fame - una macchia sulla coscienza dell'umanità - persiste e addirittura si aggrava in alcune regioni. I dati sono eloquenti: il numero delle persone sotto-alimentate nel mondo è valutato intorno ai 777 milioni nei paesi in via di sviluppo, a 27 milioni nei paesi in transizione e a 11 milioni nei paesi sviluppati. La sotto-alimentazione colpisce in particolare i bambini ed è particolarmente grave nell'Africa sub-sahariana e nel Sud-est asiatico. Circa 156 milioni di bambini di meno di 5 anni soffrono di carenze di proteine energetiche e circa 177 milioni di un ritardo nella crescita dovuto alla sotto-alimentazione. Inoltre, circa il 17% dei neonati dei paesi in via di sviluppo è vittima di un ritardo del la crescita in utero, conseguenza della sotto-alimentazione delle donne incinte.

L'obiettivo fissato nel 1996 verrà raggiunto un giorno? La persistenza della fame in un mondo di abbondanza - a volte di opulenza - non avrebbe bisogno di nuove iniziative mondiali? Come fare per mobilitare meglio una volontà politica deter-

minata e trovare risorse supplementari per vincere questo flagello? E' questo il tema in discussione al «vertice mondiale dell'alimentazione: cinque anni dopo», che riunirà a Roma dal 10 al 13 giugno prossimi capi di stato e di governo, parlamentari, responsabili di organizzazioni internazionali intergovernative, dirigenti di istituzioni internazionali di finanziamento e rappresentanti del settore privato.

Nel luglio 2001, a Genova, il vertice del G8, al quale l'Organizzazione delle Nazioni unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao) era stata invitata, ha confermato che il principale obiettivo di una strategia comune di riduzione della povertà resta l'accesso a una nutrizione adeguata e lo sviluppo rurale. Tutti gli sforzi devono in particolare convergere verso il rilancio della produttività agricola. Tanto più che l'aiuto a questo settore costituisce una parte non trascurabile dell'aiuto pubblico allo sviluppo. Per esempio, un accento particolare dovrà essere messo sul sostegno alle politiche agricole nazionali e sulla formazione di tecnici agronomi. A questo riguardo, il G8 ha dato il proprio sostegno alla cooperazione Sud-Sud, che svolge un ruolo essenziale nel trasferimento di tecnologie adatte ai bisogni socio-economici degli agricoltori poveri, nel rispetto delle esigenze ecologiche. Il G8 ha anche deciso di dare la priorità alle regioni più colpite, in particolare l'Africa sub-sahariana e il Sud-est asiatico.

L'agricoltura è un ganglio fondamentale poiché la maggior parte dei malnutriti dipendono da essa per la propria sopravvivenza. Nel 1999, il 60% della popolazione complessiva dei paesi in via di sviluppo viveva in ambienti rurali, e la parte della popolazione attiva nel settore agricolo si avvicinava anch'essa al 60%. In molti stati dove il tasso di popolazione sotto-alimentata è elevato, questo settore rappresenta più del 25% del prodotto interno lordo (Pil) e assicura, direttamente o indirettamente, la sussitenza del 70% dei poveri e delle persone che soffrono di insicurezza alimentare. Inoltre, la maggioranza dei diseredati delle zone urbane è originaria delle campagne, dove non riesce più ad assicurare la sussistenza della famiglia. Bisognerebbe quindi investire ancora di più nell'agricoltura dei paesi in via di sviluppo. Sfortunatamente, molti di essi non vi devolvono sufficienti risorse, malgrado il ruolo di motore dell'economia che essa svolge. E sia i paesi sviluppati che le istituzioni finanziarie internazionali hanno ridotto l'aiuto verso questo settore. Inoltre, alcuni stati industrializzati non hanno sempre applicato politiche suscettibili di instaurare un ambiente propizio allo sviluppo dell'agricoltura dei paesi in via di sviluppo. Per esempio, nel 1999, le sovvenzioni che i paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) accordavano alla loro agricoltura erano valutate intorno ai 361 miliardi di dollari, cioè 1,4% del Pil complessivo. Questa cifra è considerevole, soprattutto se viene paragonata a quella dell'aiuto ufficiale accordato all'agricoltura dei paesi poveri, che nel 1998 è stata solo di 7,4 milioni di dollari.

Complessivamente, gli agricoltori dei paesi industriali godono di aiuti il cui ammontare è 48 volte superiore alle somme devolute ai loro omologhi dei paesi poveri. Questa situazione, pur conforme agli accordi dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), spinge a mettere in dubbio l'equità di questi stessi accordi. Il costo economico della fame è esorbitante sia per gli individui che per le società; la malnutrizione porta alla malattia e alla morte; forza le famiglie a spendere le magre risorse in spese sanitarie; limita le ca pacità cognitive dei bambini; soffo-

ca la produttività e impedisce agli individui di sfruttare i doni naturali; frena la crescita economica e sottrae alle nazioni i mezzi per raggiungere un livello accettabile di sviluppo. Senza la malnutrizione, il prodotto interno lordo (Pil) pro capite in Africa sub-sahariana avrebbe potuto essere tra i mille e i 3500 dollari nel 1990, mentre non ha superato gli 800 dollari l'anno.Fattore aggravante: l'Aids si diffonde a grande velocità nelle zone rurali dei paesi in via di sviluppo. L'epidemia mette in pericolo la sicurezza alimentare e compromette le capacità di produzione. Le cifre sono spaventose: la pandemia ha già ucciso circa 7 milioni di lavoratori rurali dal 1985 nei 25 paesi più gravemente colpiti dell'Africa e altri 16 milioni potrebbero morire entro il 2020. Alcuni paesi potrebbero così perdere fino a un quarto della manodopera agricola.

La lotta contro la fame nel mondo non è solo un dovere morale, ma va a vantaggio dell'economia e contribuisce alla stabilità e alla sicurezza di tutte le società. In effetti, la fame costituisce spesso non l'effetto ma la causa dei conflitti e dei disordini civili ed influisce direttamente sulle migrazioni urbane e sull'emigrazione. Una persona affamata diventa capace del peggio.

La comunità internazionale deve quindi considerare lo sradicamento della malnutrizione come parte integrante dei doveri della solidarietà mondiale. Deve prendere tutte le disposizioni necessarie per ottemperare ai propri obblighi sotto questo aspetto. Le nazioni industrializzate, di conseguenza, devono accrescere i finanziamenti, facilitare il trasferimento di tecnologie adatte, alleggerire il debito, aprire i mercati, evitare il dumping dei beni in eccedenza e garantire termini di scambio equi. Dal canto loro, i paesi in via di sviluppo devono destinare una parte sufficiente del bilancio a favore dei contadini poveri, realizzare politiche che favoriscano la produzione agricola e, in particolare, il controllo dell'acqua, stimolare gli investimenti privati locali e migliorare l'accesso alla terra, agli input, alle conoscenze, ai mercati e ai crediti, in particolare per le donne.

Non esiste panacea nella lotta contro la fame e la sotto-alimentazione; le soluzioni non sono semplici. Però possono essere ottenuti dei risultati se gli stati e la comunità internazionale traducono i loro impegni in azioni concrete. La lotta sarà difficile, ma con il sostegno sia dell'opinione pubblica che delle persone in buona fede e di buona volontà nel mondo, il diritto umano più elementare, quello di mangiare a sazietà, può e deve diventare una realtà.