il manifesto - 02 Giugno 2002
«No al centro-prigione»
Bologna, per il corteo contro il cpt di via Mattei rispunta la «zona rossa». Sfilano in mille
SARA MENAFRA
BOLOGNA
Elicotteri che sorvolano la zona, vigili urbani su tutte le strade nel raggio di 10 chilometri, camionette della polizia e dei carabinieri, digos. Per la manifestazione di ieri contro il nuovo centro di detenzione per immigrati che ha da poco aperto a Bologna la questura ha organizzato una mobilitazione di forze da finale del film «Blues brothers». Con tanto di zona rossa attorno a via Mattei: la questura nei giorni scorsi ha fatto sapere che la manifestazione sarebbe stata autorizzata fino al numero civico 48. «I contravventori sono puniti con l'arresto fino a un anno e con l'ammenda da L. 400.000 a L.800.000» si leggeva nell'ordinanza. Il questore Argenio ha fatto sapere che dopo lo smontaggio del centro (allora in costruzione) dello scorso 25 giugno gli «atti vandalici» avrebbero potuto ripetersi. «I diritti sono negati sia all'interno che all'esterno del Cpt - urla Valerio Monteventi mentre la manifestazione si muove dal Tpo verso via Mattei - spesso siamo andati a manifestare davanti al carcere della Dozza e in un posto che non dovrebbe essere un carcere non ce lo permettono». La posizione della questura è stata ben più dura di quella del giudice per le indagini preliminari, Rita Zanariello, che nella prima ordinanza sul caso smontaggio ha molto ridimensionato la vicenda e il tipo di reati contestati facendo capire che le azioni contro il Cpt sono fatti politici e non penali. Quello di ieri è stato il primo corteo dopo l'apertura del nuovo centro di detenzione. Più di mille persone, secondo l'organizzazione, che hanno sfilato dal Tpo alla famigerata zona rossa. Tutti dietro lo striscione che diceva «No ai Cpt» ma anche «forza Senegal» dato che la vittoria della squadra centrafricana contro i pluripremiati francesi ha già fatto breccia nel cuore del movimento. Davanti a tutti un gruppo di donne con al collo cartelloni rubati alla prima pagina de il manifesto di qualche giorno fa (una mega impronta digitale e sotto la scritta «Il marchio») a dire alla città e alle forze dell'ordine che delle prove di forza ieri non ne voleva sapere proprio nessuno. Poi il sound system potente per far arrivare la musica oltre le sbarre del Cpt e tutte le componenti del Bologna social forum, dallo spazio sociale autogestito Ex mercato 24 ai Disobbedienti che tra le loro fila vantano il neoarrivo del portavoce nazionale Luca Casarini, da poco residente all'ombra delle due torri.

«La battaglia contro via Mattei non è né persa né chiusa» spiega Gianmarco De Pieri «la nostra presenza ha ritardato di molto i tempi e ha rotto il fronte di ignoranza e consenso che si stava creando attorno a quel posto». Dietro al muro di via Mattei, però, le attività sono ormai a pieno regime. Dopo l'apertura del 19 maggio scorso e l'evasione di cinque detenuti il giovedì successivo, attualmente la struttura ospita stabilmente una ventina di persone. Ieri ce n'erano 21: 18 maghrebini, due donne dell'est e un apolide. C'è già stato anche il primo rimpatrio, tre giorni dopo l'apertura del centro, e i controlli in città aumentano ogni giorno. A pochi giorni dallo sciopero provinciale che bloccherà Reggio Emilia per protestare anche contro la legge Bossi-Fini e dopo quello di Vicenza qualcuno aveva pensato a organizzarne uno anche a Bologna. Ma non è così facile. Un po' perché la manifestazione veneta è arrivata dopo sei mesi di lavoro da parte del gruppo migranti vicentino e dei sindacati. Un po' perché a Bologna gli stranieri lavorano per lo più in piccole aziende: «si troverebbero a scioperare in uno contro cinque», dice Roberto Morgantini del Centro diritti della Cgil.

In via Mattei intanto è difficile persino avvicinarsi al Cpt. Quando il corteo arriva al civico 48 (dopo aver fatto arretrare la polizia che si era incordonata già al numero 40) la trattativa permette di far passare oltre lo schieramento di ps solo 20 donne, oltre alla deputata di Rifondazione Titti de Simone e due traduttori. Davanti al muro di cemento e filo spinato si ripetono slogan e urla per far sapere dall'altra parte che «ci vergogniamo profondamente di vivere in un paese che vi considera clandestini», come urla una delle 20 giovani delegate. E quando all'urlo «siamo tutti clandestini» le voci dall'altra parte rispondono uno stentato «siamo tutti...» in molte non riescono a trattenere le lacrime.