il manifesto - 31 Maggio 2002
LONDRA
La ricetta inglese
La legge di Blair: rimpatrio immediato e coatto per i richiedenti asilo di etnie «bugiarde»
ORSOLA CASAGRANDE
LONDRA
«Se davvero crediamo nelle libertà civili, allora dobbiamo resistere e contrastare questa proposta del governo». Keith Best, direttore dell' Immigration Advisory Service, non ha dubbi. La proposta illustrata ieri dal ministro degli interni David Blunkett è semplice: quei richiedenti asilo cui è stato rifiutato in prima istanza asilo politico verranno rimpatriati, nel loro paese d'origine o nell'ultimo paese in cui hanno sostato. Tradotto, significa che migliaia di richiedenti asilo rischiano l'espulsione e non avranno diritto di appello. Il governo Blair però tira dritto lungo la strada intrapresa dopo aver stravinto le elezioni nel `97. Una strada che è passata attraverso la rimozione tout court delle promesse fatte in campagna elettorale. Basta con i centri di detenzione, dicevano i laburisti all'opposizione, perché sono galere per gente che fugge da persecuzioni e torture. Ma una volta al governo, il new Labour ha annunciato che non solo non avrebbe chiuso i centri costruiti dai conservatori, ma anzi ne avrebbe eretti di nuovi, più sicuri, più controllati. Come Yarl's Wood, il centro di custodia più grande d'Europa, gestito da una compagnia privata e semidistrutto da un incendio per il quale adesso il governo vuole processare i detenuti.

Era già accaduto nel `98, per una rivolta scoppiata nel centro di detenzione di Campsfield (nei pressi di Oxford): per la prima volta nella storia dell'immigrazione in Gran Bretagna, un ministro (laburista) aveva portato di fronte ad un tribunale dei richiedenti asilo politico, accusandoli di aver distrutto il centro. Quel processo finì in una settimana: il giudice chiuse quella che definì «una farsa» dove le prove erano state inventate e dove i colpevoli non erano certo gli asylum seekers ma le guardie di Group 4 (le stesse che oggi gestiscono Yarl's Wood). Del resto sono stati i ministri del governo Blair a legare ormai indissolubilmente alla parola «richiedente asilo» la parola «bogus», che significa falso, bugiardo. Sono bogus i profughi che arrivano dal Kurdistan, gli zingari che arrivano dall'est europeo, i profughi provenienti dai Balcani. Ma adesso sono considerati bogus, fasulli, anche gli afghani: che motivo hanno di fuggire, ora che l'Occidente ha «riportato la pace» in Afghanistan?

Ieri il ministro Blunkett ha confermato che gli emendamenti alla nuova legge su immigrazione e asilo (in discussione in parlamento) vanno nella direzione di «un necessario snellimento delle procedure di asilo». Poiché, cioè, ci sono ancora 35mila e cinquecento domande di asilo inevase, ecco introdotto il rimpatrio per coloro a cui viene rifiutato in prima istanza l'asilo. «C'è un problema di riduzione dei costi - ha spiegato Blunkett - perché quando viene rifiutato l'asilo ad una persona che comunque rimane in questo paese e a cui vengono dati i vari sussidi, è il contribuente che paga. E questo non è giusto». Poco importa che il rifugiato sia in fuga da persecuzioni e torture: in Gran Bretagna non c'è posto per tutti, lo dicevano i tories e lo ribadiscono i laburisti. Il messaggio è lo stesso. E per fare in modo che venga rispettato è sceso in campo lo stesso premier Tony Blair che ha ventilato la possibilità (applaudito soprattutto da Gianfranco Fini) di mandare nel Mediterraneo le unità della Royal Navy.

Chi riuscirà a passare attraverso le maglie strettissime della sorveglianza inglese verrà intercettato, ovviamente, al momento di presentare domanda di asilo. E allora scatterà il piano enunciato ieri: detenzione negli appositi centri-galera e quindi rimpatrio al momento del pronunciamento negativo da parte dell'Home Office. Destinazione il paese di origine o il paese europeo da cui si proviene. Blunkett ha detto che in realtà il rimpatrio colpirà chi «chiaramente» non ha motivi fondati per chiedere asilo: che poi sarebbero le «etnie» già inserite nella famigerata lista dei bogus, i bugiardi a prescindere le cui testimonianze devono essere prese con le pinze, cioè con una buona dose di scetticismo, come ha chiesto ai funzionari che conducono le interviste con i profughi lo stesso ministero degli interni.

Rimane aperta la questione del campo di Sangatte in Francia, ma è chiaro che questi nuovi provvedimenti servono a Blair anche ad avere pronta la risposta nel caso in cui l'accordo con la Francia prevedesse davvero l'accoglienza (in carcere, ovviamente) di metà degli ospiti del centro gestito dalla Croce rossa in cambio della sua chiusura. La loro permanenza in Inghilterra rischia di essere brevissima.