il manifesto - 04 Aprile 2002


Lingua Rom in cattedra

GIOVANNA BOURSIER

Lingua Rom in cattedra

Un docente rom per un corso di lingua e cultura zingara. Accade, per la prima volta nel nostro paese e con rari precedenti europei, all'Università di Trieste. Oggi la prima lezione di Santino Spinelli, trentasette anni, scrittore, musicista e compositore Rom abruzzese

GIOVANNA BOURSIER

Santino Spinelli diventa professore. Verrebbe da chiedersi dove é la notizia. La notizia é che Spinelli é un rom e che da

oggi insegnerà lingua e cultura zingara all'università di Trieste. Per la prima volta nella storia del nostro paese, quindi, ci sarà una docenza universitaria che si occuperà del popolo rom. Non é perciò solo una notizia, ma una buona notizia. Un passo avanti importante sulla strada della multiculturalità e dell'integrazione che, per essere reale, presuppone, in primo luogo, conoscenza. In Italia, non era mai accaduto. Qualcosa di simile esiste, e non a caso, in Francia - paese di grande cultura - dove il linguista Marcel Courthiade insegna romanes - la lingua rom, appunto - all'Inalco (l'università di lingue orientali), Jean Pierre Ligeois dirige il prestigioso Centre de recherches Tziganes che collabora con la Sorbona e il linguista rom Vania De Gila Kochanowski, oggi in pensione, ha tenuto per anni corsi nelle università parigine. Casi analoghi ci sono anche in Inghilterra, Spagna e negli Usa. Ma si tratta comunque di rare eccezioni e soprattutto, esclusi i singoli, di docenti gagé (come i rom chiamano i non zingari). La situazione é migliore nei paesi dell'est dove, in molti casi, la cultura dei rom fa parte del patrimonio nazionale anche perché spesso sono riconosciuti minoranza etnica o linguistica. Nella Jugoslavia di Tito rappresentanti rom sedevano in parlamento e numerosi intellettuali, insegnanti, ma anche giornalisti, scrittori, attori, trovavano le condizioni per valorizzare la loro cultura attraverso l'organizzazione di eventi, riviste e programmi radiotelevisivi. In Italia, invece, l'affermazione di una tradizione culturale preziosa e stupefacente come é quella zingara praticamente non esiste. Quasi nessuno sa che i rom vengono dall'India - da dove emigrarono in massa intorno all'anno 1000 - e che sono tra noi da più di 600 anni, portatori di una storia, di costumi e tradizioni antiche e solenni, di identità e valori fondamentali (la solidarietà, la vita comunitaria, il rispetto per la famiglia e gli anziani). E forse non é un caso visto che la cancellazione culturale facilita - o permette di conservare - l'omologazione su pregiudizi e luoghi comuni che poco hanno a che vedere con la cultura rom e che a volte sono assecondati persino dalle stesse associazioni che si occupano degli zingari. Ritardare, o addirittura impedire, la diffusione della conoscenza può essere un modo per continuare a ricevere fondi per politiche assistenzialiste che relegano gli zingari nei campi, monumenti post-moderni all'esclusione, agglomerati inumani che cancellano soggettività e possibilità. Proprio Spinelli sostiene che «é fondamentale capire che gli zingari non sono solo nei campi». Tentasettenne, fa parte del gruppo dei rom-abruzzesi, ben integrati ma quasi sconosciuti in Italia. Musicista e compositore di livello internazionale, cresciuto chiedendo l'elemosina con la sua famiglia, oggi abita in una casa in Abruzzo, é laureato in lingue e studia per la seconda laurea in musicologia. Ha una moglie dolcissima che, quasi più di lui, si occupa dell'associazione Them Romanò, che edita anche una buona rivista e promuove un concorso internazionale di letteratura rom. Spinelli é la prova vivente che zingaro non significa nomade da ghettizzare e, soprattutto, che l'universo culturale rom é vasto e prezioso. Nel panorama bibliografico italiano - salvo alcune eccezioni - i rom appaiono in via di disintegrazione e di deculturazione anche se la loro realtà mostra forza, vivacità creativa e persino resistenza se si considera la storia di comunità caratterizzate da una flessibilità culturale capace di mantenere identità specifiche anche se condizionate, inevitabilmente, dal confronto con le culture ospiti. Oggi tra i rom abruzzesi - almeno 40mila nel centro-sud, arrivati dalle coste albanesi e greche alla fine del XIV secolo - sono ancora intatti usi e costumi originari - come il Buchvibbé, la serenata d'amore che sottintende una proposta matrimoniale e un'alleanza parentale - e una lingua antichissima, variante dialettale del romanes, nucleo originario indiano recentemente escluso dal nostro parlamento dall'elenco delle lingue minoritarie da tutelare. Si tratta, invece, di un idioma nobile, vivo, ricco - ogni termine assume valenze diverse a seconda del contesto, anche psicologico, che lo sorregge - e parlato nel mondo da oltre 12 milioni di persone.Rom, Sinti, Manouches, Kalé e Romanichals - i 5 grandi gruppi che, con i loro sottogruppi, costituiscono il paradigmatico mondo romanò - si tramandano una cultura importante, espressione di una società semplice, basata essenzialmente sul concetto di dare-avere e ricambiare che non prevede l'omicidio (mardipé) e la guerra (merribé). Il nomadismo, come l'accattonaggio e il furto, non sono espressioni culturali ma fenomeni sociali conseguenti all'emarginazione. La stessa mendicità, tra i rom, cela resistenza e disobbedienza passiva, non un tratto culturale, dato che gli zingari, tra loro, non chiedono l'elemosina e tantomeno si derubano. In Italia ancora oggi molti sono giostrai, venditori ambulanti, commercianti e musicisti. La musica zingara, che possiede un «terzo livello» poco conosociuto anche tra gli etnomusicologi, che i rom suonano solo tra loro per dialogare nel contesto familiare, é particolarmente importante per tramandare una cultura che fino a trent'anni fa era sostanzialmente orale. Ma degli oltre 130mila rom e sinti che vivono nel nostro paese - il 50% sedentari e in gran parte cittadini italiani - tutto questo non si sa. Nomadi ormai per forza, in fuga da guerre, povertà e persecuzioni nella società globale del mercato che non conoscono, diventano «visibili» solo nell'emergenza, in genere di ordine pubblico. Poi tornano invisibili, inesistenti, come forse si vorrebbe che fossero.