il manifesto - 31 Marzo 2002

Woomera, caccia ai profughi nel deserto
Dopo la fuga dal campo di detenzione, arrestati 37 rifugiati e 20 attivisti dei diritti umani
VITTORIO LONGHI
La polizia australiana ha confermato che sono dieci i profughi fuggiti dal centro di detenzione di Woomera, durante lo scontro di venerdì notte tra guardie e manifestanti. Dei 47 che erano riusciti a forzare le reti e mischiarsi tra la folla, ieri la polizia è riuscita a riprenderne la maggiorparte, lasciandone libero solo un piccolo gruppo. I rappresentanti dei detenuti hanno detto ai giornalisti che, dopo la fuga, oltre cento rifugiati, compresi donne e bambini, sono stati ammanettati e portati in aree di massima sicurezza dove i funzionari dell'Australasian Correctional Management li hanno potuti interrogare tutta la notte, usando anche lacrimogeni. «Non possiamo prendere questi incidenti alla leggera» ha tuonato il ministro dell'immigrazione Philip Ruddock, accusando di violazioni gravi e incitamento alla fuga gli attivisti in difesa dei diritti umani che da due giorni protestano fuori del campo. «Le azioni erano chiaramente premeditate e destinate a creare disordini all'interno, ne possiamo vedere i risultati» ha aggiunto. La polizia ha tenuto a far sapere che sono venti i dimostranti messi in arresto. Ora, secondo le autorità, le imputazioni che rischiano sono gravi, perché prevedono fino a quattro anni di reclusione. Per quei 37 rifugiati che hanno tentato invano la fuga, arrivando fino a 200 chilometri da Woomera, Ruddock ha giurato che l'azione si ripercuoterà, ovviamente, sulle loro domande d'asilo. In un clima sempre più teso, prosegue la caccia alle auto su cui i dieci scomparsi sarebbero stati allontanati dall'area, in pieno deserto. Continuano anche le perquisizioni alla ricerca di armi e telefoni cellulari che i detenuti avrebbero usato per comunicare con l'esterno. Uno dei loro rappresentanti, spaventato, ha dichiarato: «i funzionari dell'Acm dicono che i dimostranti andranno via subito dopo Pasqua, mentre noi resteremo qui e subiremo tutte le conseguenze».

Intanto, stanno arrivando da tutto il paese autobus interi di manifestanti che si uniranno alla protesta dei 700 attivisti accampati da giovedì. Si prevedono oltre cinquemila persone per la grande marcia di oggi contro la dentenzione obbligatoria dei richiedenti asilo. La portavoce del gruppo No-one Is Illegal, Andrea Maksimovic ha raccontato che quasi tutti i detenuti usciti attraverso le reti di filo spinato, gridavano che avrebbero preferito morire piuttosto che tornare dentro. Lo conferma, in un'intervista al quotidiano The Age, uno dei primi a raggiungere le tende, Ali Norozi, afgano di 21 anni. «Non posso tornare lì, vi prego» ha implorato i giornalisti. Scappato dal regime talebano, Ali è carcerato da più di un anno, ha tentato più volte di provocarsi ferite e ha digiunato per giorni contro il rifiuto della sua domanda d'asilo. Il caso è ora all'esame della Corte federale, ma lui è scettico che qualcosa possa davvero cambiare, allora ha deciso tentare l'evasione. Ha raccontato: «se sei afgano (mi hanno detto), ora la situazione è migliorata lì, perciò noi non possiamo darti il visto». Ma Ali chiede: «se l'Afghanistan è davvero sicuro e non ci sono più i talebani, che ci fa l'esercito americano? E dove altro potrei andare io? Preferirei tornare dai talebani - ha concluso - perché quelli almeno ti ammazzano una volta sola, qui, invece, muori ogni giorno».