il manifesto - 30 Marzo 2002

Carmen ribelle del Senegal
Trionfa sullo schermo la new wave senegalese Un cinema africano che incanta con le sue immagini di grande forza visiva, musicale, spregiudicato. La «Carmen» antagonista di Ramaka, infatti, è stato bloccato dopo l'assalto al Bel'Arte di Dakar, dove un gruppo di fanatici ha minacciato di incendiare la sala. In programma al festival di Milano, in questi giorni a Roma e poi al Massimo di Torino, anche «Le prix du pardon» di Sora Wade, racconto d'amore mitologico sulla figura di un griot
Parla il regista Joseph Gaï Ramaka che, con un film ispirato all'opera di Bizet, ha scatenato gli integralisti senegalesi

MARIA COLETTI
Ramaka è sicuramente uno dei più promettenti cineasti africani della nuova generazione: con quell'aspetto da asceta, alla Gandhi, e insieme una forza fascinosa e visionaria dell'immagine, che ti trascina. Forse anche perché Karmen Geï, premiato al recente festival africano di Milano (in replica a Roma, e a Torino dal 5 al 7 aprile), ha recentemente subito un attacco integralista in Senegal ed è vittima della censura. L'8 settembre 2001 centinaia di integralisti armati hanno assaltato il cinema Bel'Arte, dove era in corso la presentazione ufficiale del film, di fronte alle autorità, al corpo diplomatico e a tutti i cinefili senegalesi (in tutto 1200 persone). Gli integralisti hanno minacciato di bruciare la sala, compreso la pellicola, il regista e l'attrice principale (moglie di Ramaka). Da allora sono passati sei mesi e il film è ancora bloccato in Senegal: per questo il regista ha organizzato un comitato e una petizione (le firme sono state raccolte a Milano e sarà possibile firmare anche a Roma) per Liberare Karmen, ma anche in difesa delle libertà civili e democratiche in Senegal. Certo Ramaka non si lascia comunque fermare. A gennaio è uscito il numero zero del suo giornale, Liberté!, un mensile dedicato a tutte le espressioni artistiche, punto di riferimento panafricano, per riempire il vuoto culturale. Mentre ha in progetto un adattamento da Così parlò Zaratustra di Nietzsche. Karmen è uscito in Francia e sta per uscire in Canada e negli Stati Uniti, in attesa, si spera, di una una distribuzione in Italia, dopo le proiezioni dei giorni scorsi al cinema Farnese di Roma, nell'ambito dell'Africa Festival.

Come è nata l'idea di adattare la «Carmen» in Africa?

In realtà Karmen è un progetto che ho cominciato a scrivere quando avevo dieci-dodici anni. Tutto è iniziato quando ho visto le due versioni cinematografiche di Peter Brook. Un altro riferimento fondamentale è stata l'interpretazione di Dorothy Dandridge di Carmen Jones. Ma volevo vedere come il mito della Carmen poteva esistere da noi, perché tutti i miti universali si radicano nelle differenti culture.

La musica è stata scritta appositamente per il film?

Sì, come il Requiem per la morte di Angelique, l'amica di Karmen. Ma ci sono anche altri brani musicali preesistenti. Ho tentato di ritrovare nella mia cultura il modo di vivere l'amore e la libertà da parte di una donna.

Nei dialoghi ci sono anche citazioni dirette del testo di Merimée?

Sì, ci sono dei brani del testo di Merimée, come dei ritornelli, ed altri totalmente reinventati, come per i personaggi: ce ne sono alcuni che non esistevano nella partitura di Merimée. Ho cercato di appropriarmi anche dei dialoghi di Bizet, dovevo triturarli e reinventarli per adeguarli al movimento della mia Karmen.

Come ha lavorato con gli attori?

Sono un fan della scuola di Stanislavski, e ho organizzato uno stage con degli attori sul suo metodo di recitazione. Per quanto riguarda l'interprete di Karmen, lo stage è durato un anno, perché doveva iniziare da zero ed ha dovuto anche imparare a danzare per il film. Certo, non sono stato io a insegnarle la danza: ho avuto una ballerina professionista che si è occupata della coreografia.

Nel film è anche presente la morte, come nelle due visioni in cui un carrello in avanti mostra donne con la faccia dipinta...

C'è da dire che Bizet, come molte altre letture della Carmen, non ha preso che l'aspetto festivo del testo di Merimée. A me invece interessava anche l'aspetto tragico: la morte è una tragedia che si ripete ogni giorno. E l'aspetto della tragedia, presente nel testo di Merimée, non è mai stato veramante sviluppato, se non nella versione di Saura, che è forse quella più vicina alla mia. Nella sua messa in scena, è tra le quinte di un teatro che si compie la tragedia, dunque Saura ha in qualche modo diviso i due spazi; io invece ho voluto unire i due spazi della vita e del teatro, la mia è un'opera musicale, ma anche una tragedia, una tragedia musicale. Inoltre secondo me ogni essere umano può essere un eroe o un assassino, siamo tutti abitati da questa dualità. Le due visioni fanno parte di un universo culturale in cui le premonizioni sono un elemento costante e fondamentale nella vita: quando ci si ascolta attentamente si può sentire cosa sta per succedere.

Ci sono anche molte citazioni cinematografiche, soprattutto dei film d'azione...

Il riferimento ai film d'azione è nato proprio dalla materia della Carmen, dal riferimento ai briganti presente nel testo di Merimée. Ho voluto rendere il colpo, che il gruppo dei contrabbandieri organizza, in modo quasi danzato, per dare l'idea della leggerezza, di una tonalità allegra, propria dei film d'azione.

Questa «Karmen» è davvero una rivoluzionaria a tutti i livelli: ribelle all'ordine del potere come a quello dell'identità di genere...

La mia Karmen è l'idea stessa dell'amore, e il fatto che ami un uomo o una donna non è importante: lei ama molte persone in modo differente. La sua ricerca è continua. Karmen è una persona all'ascolto di se stessa: al contrario della Carmen di Bizet, è una donna che è al tempo stesso estroversa e introversa, all'ascolto del suo proprio corpo... Ho giocato molto con i colori. Questo aspetto è il granello di sabbia che ho inserito nell'ingranaggio di Bizet, per destrutturarlo e appropriarmene. Per quanto riguarda l'idea della Carmen come forma di contestazione dell'ordine stabilito, è presente già in Mérimée; ma in alcune scene del film è chiaro un legame con la storia e con la tradizione senegalese. Una storia di resistenza, attraverso la citazione di personaggi che hanno combattuto contro il potere, come Ann Sitoe che ha resistito alla colonizzazione francese; ma anche la tradizione culturale, come il nome della prigione, Koumba Kastel, che è anche quello di un genio dell'acqua...

Un genio tradizionalmente androgino e che rispecchia quindi la dualità, l'identità complessa di Karmen...

Quando si nasce si ha questa dualità, che è una ricchezza, e che permette di essere sempre in divenire. La nostra ricchezza è quella di mantenere la capacità di essere in divenire. Karmen è una persona che dubita e il dubbio è la vita, quando si comincia a non dubitare più si è già sulla strada della morte.

Il film è anche una sfida allo spettatore, fin dalla prima immagine: Karmen che ti guarda e ti invita a lasciarti affascinare ma anche a essere te stesso...

Sì, è così, anche per me fin dall'inizio Karmen era la prima immagine del film: una Karmen seduta, ma con la possibilità di alzarsi, in procinto di muoversi. Un'immagine che abbiamo usato anche per la locandina del film, nata proprio dalla prima frazione di secondo del film.

Alla presentazione del film ha detto che non esistono piccole intolleranze...

Sì, se si pensa alla storia, ci si sorprende per la mancanza di memoria... Se pensiamo alla Palestina: come è possibile che un popolo che ha subito l'Olocausto possa trasformarsi in strumento di Olocausto di un altro popolo? Se pensiamo all'Italia, come è possibile che un popolo che ha conosciuto Mussolini possa permettere di governare a Berlusconi?