STATI UNITI
Il cortile di casa
GIANNI BERETTA
Dalla conferenza Onu ieri in Messico, alla riunione oggi a Lima con i presidenti andini (escluso lo sgradito venezuelano Hugo Chavez); per finire domenica a San Salvador con i capi di stato centroamericani. Così George W. Bush intende rilanciare gli Stati uniti in America latina all'indomani dell'11 settembre (vi morirono centinaia di «latini», molti centroamericani). E lo fa accelerando l'allestimento dell'«Area di libero commercio delle Americhe» (Alca), dall'Alaska alla Terra del fuoco. Il passo intermedio è la firma di trattati di libero commercio regionali, che, nel caso del Centro America, sono favoriti dalla partecipazione diretta del Messico di Vicente Fox. In quello che è da sempre considerato il «cortile di casa» degli Stati uniti, Bush può contare su un'acquiscenza senza precedenti visto che i cinque capi di stato di El Salvador (Francisco Flores), Guatemala (Alfonso Portillo), Honduras (Ricardo Maduro), Nicaragua (Enrique Bolanos), Costa Rica (Miguel Angel Rodriguez) e Panamà (Mireya Moscoso), sono rigorosamente tutti di destra. Tuttavia non mancheranno i problemi. A partire dalle depressissime economie dell'istmo, le più povere del continente, abbandonate a se stesse dopo la fine dei conflitti bellici degli ultimi venti anni (immolate per fermare l'«avanzata del comunismo»), e sconvolte da ripetuti disastri naturali. La recente siccità ha generato una carestia senza precedenti nelle aree rurali (dilaga la mortalità infantile); mentre la caduta del prezzo internazionale del caffè (ai minimi storici) ha comportato l'abbandono totale di quasi la metà delle piantagioni, con conseguente incremento della disoccupazione. Il risultato è l'esodo dalle piccole nazioni centroamericane verso il miraggio degli «states»; proprio quando la Casa Bianca rimanda indietro gli «irregolari».

I presidenti dell'area imploreranno Bush per una politica migratoria più comprensiva, visto che le rimesse familiari degli emigrati centroamericani negli Usa si sono convertite ormai nella principale entrata (perlomeno per El Salvador e Nicaragua). La seconda preoccupazione di Washington è il narcotraffico. Tutta la cocaina transita attraverso l'istmo centroamericano, e i mezzi dei governi locali restano scarsi e le istituzioni fragili e corrotte. Per non parlare della gestione in proprio del narcotraffico da parte, per esempio, dei militari guatemaltechi (legati ai cartelli messicani). Mentre sul lavaggio di narcodollari (soprattutto a Panamà e El Salvador) si fa finta di niente.

Città di Guatemala, San Salvador, Tegucigalpa, sono assurte a capitali fra le più violente, insicure e disperate del continente; molto più che ai tempi delle passate guerre civili. Ma per Bush jr. saranno solo un breve scalo.