20 Marzo 2002
 
 
Ma l'Italia ha meno paura
L'immigrato non è più solo una minaccia. I risultati dell'indagine della Fondazione Nord est
GIOVANNA PAJETTA


Buone notizie per l'Italia, pessime per l'Europa. Arrivata alla sua terza edizione, l'indagine su "Immigrazione e cittadinanza europea" (curata dalla Fondazione Nord est, illustrata ieri a Padova alla presenza di Ciampi) racconta infatti come, finalmente, il nostro paese non sia più quella "penisola della paura" di cui avevano tristemente parlato negli anni passati Ilvo Diamanti e Fabio Bordignon. Solo il 30,9 per cento degli italiani, contro il 35,2 del 1999 teme oggi l'arrivo, o la permanenza, del lavoratore straniero. E persino di fronte al tema più spinoso, il rapporto tra immigrazione e criminalità, i numeri dicono che le cose stanno cambiando e la paura scende dal 46,1 al 39,7 per cento. Ma le buone notizie, per l'appunto, riguardano solo noi. Se si varcano i confini il quadro si fa ben più fosco. Perché se la palma della paura, soprattutto sul fronte dell'occupazione, spetta ora a Gran Bretagna e Germania, c'è chi, come la Spagna in tre anni ha addirittura più che raddoppiato le sue ansie (passando da un 14,3 a un 30,3 per cento di cittadini spaventati). Con il risultato finale di un continente in cui più di un cittadino su tre (pari al 33,3 per cento) vede nei nuovi arrivati soprattutto una minaccia.
Ma la ricerca, come sottolineano giustamente i curatori, non si ferma qui. Grazie al raffronto con le due precedenti edizioni, si può cominciare infatti a individuare alcuni trend. E la prima novità è proprio la maggior sintonia tra i cittadini dell'Unione. Se ad esempio nel 1999 tra i più tolleranti e i più ansiosi c'era un divario di ben 21 punti in percentuale, adesso le differenze degli umori non superano, se si toglie il picco della Gran Bretagna, il 3 per cento. Un sentire comune, purtroppo più negativo che positivo, che si riflette su due nodi cruciali per il futuro dell'Europa. La crescita delle paure porta con sè una più accentuata diffidenza sia verso l'allargamento dell'Unione che verso la concessione dei diritti di cittadinanza. In tutti i paesi toccati dalla ricerca (Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna e Spagna) cresce così il numero di chi non vuole concedere il voto, anche solo nel comune di residenza, nemmeno agli immigrati che pagano regolarmente le tasse. E' una piccola pattuglia, nemmeno il 20 per cento, ma agguerrita e guidata, in questo caso, dall'Italia (dove il "no, in nessun caso" tocca il 17,1 per cento contro il 10,9 della Germania). Percorso analogo, anche se con lieve miglioramento, sul tema dell'apertura ai paesi dell'Europa centrale e alla Turchia. Di fronte a un aumento significativo dei sì (in tre anni l'Italia passa ad esempio dal 18 al 38,6 per cento) si assiste ad un irrigidimento della Francia e, soprattutto, della Spagna. Anche se quest'ultimo paese va considerato oggi un caso a sè, visto che su questo come su tutti gli altri fronti si è conquistato il primato della paura (i sì all'allargamento passano qui dal 58,1 al 34,2 per cento).
Più Europa insomma, ma dai confini certi e ben sorvegliati. E se, come sottolineano i ricercatori, l'immigrazione rimane "test tra i più importanti per l'Europa, una sfida alla sua capacità di affermare un modello comune e unitario", il futuro non è così roseo. Proprio perchè l'allargamento dell'Unione, data ormai per scontata, prende l'aspetto di un incognita. "Se governato adeguatamente, può normalizzare il rapporto delle società nazionali con il fenomeno migratorio - conclude Ilvo Diamanti - Ma può avvenire anche l'inverso, l'allargamento potrebbe agire da detonatore".