15 Marzo 2002
Nella terra dei
carciofi Viaggio tra i braccianti della Piana del Sele.
Immigrati clandestini, costretti a vivere come animali
ANTONIO SCIOTTO - INVIATO A EBOLI (Salerno)
Ettari ed ettari di campi inondati dal sole:
cavoli, carciofi, ortaggi, serre di fiori e fragole. La Piana
del Sele sembra un'isola felice, ad attraversarla velocemente
in macchina. Figure chine sulla terra riempiono cassoni di
verdura che partiranno poi per le altre regioni d'Italia.
Avvicinarsi a parlare con loro è impossibile: i campi sono
recintati e se c'è qualche viuzza aperta, lo sguardo dei
padroni dei campi ti scoraggia subito. Il fatto è che chi
raccoglie quei carciofi non può "comparire", sono "fantasmi",
immigrati clandestini che lavorano dalle 8 alle 10 ore al
giorno per 40-50 mila lire. L'unico modo per dialogare con
loro è andare a trovarli a "casa", molto spesso nulla di più
di vere e proprie stalle, senza luce, acqua, riscaldamento,
servizi igienici. Ad accompagnarci a San Nicola Varco, un
campo-stalla dove vivono circa 300 raccoglitori marocchini, è
Anselmo Botte, segretario provinciale della Flai Cgil: "Nel
territorio di Eboli - spiega - vivono circa 1800 raccoglitori
immigrati, e solo 400 di loro sono regolari. Il resto sono
clandestini, costretti a vivere in condizioni drammatiche". A
San Nicola Varco, tre grossi caseggiati abbandonati, si arriva
attraverso una stradina sterrata immersa nei campi. Si passa
un cancello sgangherato e il mondo sommerso dei raccoglitori
ti appare nel suo più triste squallore: lontani dai campi -
oggi non hanno trovato da lavorare - alcuni di loro si fanno
lo shampoo nell'unica fontanella a disposizione (prima che il
Comune di Eboli la fornisse, dovevano lavarsi nei canaletti di
irrigazione dei campi), mentre un altro immigrato, più
distante, fa la pipì in mezzo a un campo (i 300 non hanno
neppure un bagno). Tanta spazzatura ovunque, pozze di fango,
vecchi vestiti appesi a un filo. Chi lavora e produce per gli
efficienti imprenditori italiani deve vivere così. Amil, 23
anni, finisce di fare lo shampoo e accetta di guidarci tra i
caseggiati. Prima di farci vedere dove abita, ci mostra la
moschea: dietro una tavola di compensato chiusa con un
catenaccio, si apre un locale con parecchi tappeti orientali e
un leggio su cui è appoggiato un Corano. Successivamente ci
spostiamo nell'abitazione: Amil vive in una stanza di circa 20
metri quadrati, fredda e senza luce elettrica, con un cucinino
sgangherato e i buchi dei muri tappati con vecchi vestiti. I
raccoglitori guadagnano in media tra le 800 mila e un milione
di lire al mese, nei casi di maggiore lavoro anche 1 milione e
200-300 mila. Nei periodi di "picco" accettano anche di
lavorare 10 ore anziché 7-8, per 70 mila lire giornaliere.
Molti di loro raccontano che in estate si spostano in Puglia,
per la raccolta dei pomodori, dove lavorano però a cottimo: un
cassone viene pagato 7-8000 lire, e lavorando fino a 13 ore si
riescono a fare anche 150-200 mila lire al giorno. In ogni
caso, c'è sempre la quota da versare al "caporale", il 10%
della giornaliera per il trasporto nel posto di
lavoro. Cosa fanno con i loro soldi gli immigrati? Alcuni
hanno le proprie mogli e i figli in Marocco, e mandano buona
parte del denaro in patria. Gli altri li tengono per sé, per
il cibo, i vestiti e altre piccole spese. Se volessero una
casa più confortevole potrebbero spendere 100 mila lire al
mese - il costo medio di un posto presso gli affittuari del
paese - ma dicono che poca gente del luogo è disposta ad
affittare loro una casa. "Questi lavoratori vivono nella
clandestinità ormai da parecchi anni ed è difficile che
possano venirne fuori con la legge Bossi-Fini - spiega Botte -
Prima, con la Turco Napolitano, si poteva almeno praticare la
via dello `sponsor', il datore di lavoro che garantiva per te
e ti regolarizzava. Se passa la nuova legge, invece, la
permanenza sarà legata immediatamente al contratto di lavoro,
provvedimento poco adatto alla manodopera che serve di più in
campagna: gente formata, anche per fare lavori come quello del
potatore o dell'innestatore, che i giovani del luogo non
vogliono fare più, e attivi tutto l'anno, perché qui si lavora
praticamente in tutte le stagioni, a seconda delle diverse
coltivazioni". Penetrare con il sindacato tra gli immigrati
è molto difficile, e bisogna rendersi conto che non hanno
bisogno soltanto di un sostegno sul piano contrattuale (in
realtà, da clandestini, o accettano quello che viene offerto o
non lavorano), ma necessitano di assistenza per l'abitazione,
la sanità, la formazione, la scuola. Mai come nel caso degli
immigrati clandestini, privi di qualsiasi diritto di
cittadinanza, si vede come il lavoro si leghi immediatamente a
tutto il resto, ed essere scoperti in un versante è
automaticamente esserlo in tutti gli altri. I raccoglitori
locali - quei pochi che sono rimasti - prendono ad esempio 54
mila lire a giornata, in base ai cosiddetti "contratti di
riallineamento" concordati per l'emersione dal nero: poco più
della giornata di un clandestino, dunque, ma hanno tutta una
serie di tutele di cui gli altri sono totalmente privi. "Se
subiamo un infortunio - raccontano i clandestini di San Nicola
Varco - i padroni non ci accompagnano in ospedale perché hanno
paura delle denunce. Dobbiamo cavarcela da soli, uscire dalla
proprietà e chiamare l'ambulanza o sperare che qualcun altro
di noi abbia una macchina". La sfida dei prossimi anni è
quella di assicurare più diritti nel lavoro, ma anche nei
servizi abitativi e sociali. A questo proposito, la Flai Cgil
ha promosso per il 19 marzo a Eboli il convegno "La presenza
degli immigrati in agricoltura nella piana del Sele", dove
interverranno rappresentanti degli enti locali e della
Regione.
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