06 Marzo 2002
 
 
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"Non sono un terrorista, quella voce non è mia"
Negano tutto i sei musulmani arrestati a Roma in base a intercettazioni. Perquisite due giornaliste
ALESSANDRO MANTOVANI - ROMA

Negano tutto i presunti terroristi. Ieri, nel carcere romano di Regina Coeli, il gip Di Donato e i pm Amelio e Ionta hanno sentito il pakistano Ahmet Naseer, il tunisino Ben Khalifa Mansour detto Naim e l'algerino Chaid Goumri, finiti in carcere venerdì con l'accusa di aver costituito un'organizzazione legata ad Al Quaeda e alle formazioni islamiste algerine. Lunedì erano stati interrogati i tre "iracheni", tre profughi curdi con passaporto iracheno, catturati nell'ambito della stessa inchiesta. Sono tutti accusati di associazione sovversiva e di violazione della legge sulle armi. Armi, però, i carabinieri non ne hanno trovate. Circa venti perquisizioni, venerdì, hanno portato solo al rinvenimento di videocassette inneggianti alla guerra santa. Le ordinanze di custodia cautelare, firmate dal gip Rando, sono basate su intercettazioni in cui gli indagati accennano a pistole, mitra, fucili, bombe e cianuro. Nelle trascrizioni non si trovano mai discorsi compiuti, eppure il gip ipotizza l'esistenza a Roma di un "nucleo integralista islamico del quale Naseer e Naim costituiscono i referenti".
Le intercettazioni sono state contestate durante gli interrogatori, prima dei quali gli indagati non hanno potuto parlare con i legali per decisione della procura. Ahmet Naseer, il pakistano 39enne ritenuto il capo del gruppo, titolare del contratto d'affitto del locale adibito a moschea ("al Hamini") in via Gioberti (nel quartiere multietnico dell'Esquilino, accanto alla stazione Termini), è stato sentito per ultimo con l'assistenza dell'avvocato Simonetta Crisci, che farà ricorso al tribunale del riesame. "Non ho mai sentito parlare di armi, né partecipato a riunioni in cui si sarebbe parlato di atti terroristici", ha detto ieri il pakistano. Naseer sostiene che la voce intercettata non sia la sua. Non ha bisogno dell'interprete, è laureato in fisica e in matematica e vive in Italia da dieci anni. Gestisce un'agenzia di viaggi (la Raval international, sempre all'Esquilino), è piuttosto noto tra i pakistani di Roma, ha collaborato in passato con l'associazione Senzaconfine ed è considerato "un uomo religioso, ma non certo un fanatico, né un politico". Lo dicono anche i pakistani cattolici.
Naseer ha confermato di conoscere i due interrogati prima di lui: il tunisino detto Naim e l'algerino Chaid Goumri, entrambi poco più che trentenni e gravemente handicappati. Il primo ha le gambe fuori uso e cammina a fatica: incensurato, è difeso anche dall'imam Samir Khaldi della moschea "al Huta" di Centocelle, un centro islamico per nulla "chiacchierato" attivo dal `94. Il secondo, l'algerino Goumri, ha subito anni fa l'amputazione della gamba sinistra: gli inquirenti ritengono che abbia contatti con un esponente del Gia, il Gruppo islamico armato algerino, Ferdjani Mouloud. Secondo l'ordinanza, Goumri era "un mero partecipe dell'associazione, probabilmente impiegato nel recapito di messaggi, ma non per questo meno importante per il rapporto di fiducia che lo lega a Naim e, per suo tramite, a Naseer".
Naim, per l'accusa, si occupava delle armi. Il 12 dicembre scorso parlava di una pistola con un uomo non identificato. Il 14 gennaio diceva a Naseer: "...quell'uomo non ci tiene al fucile", il pakistano rispondeva "neanche al mitra, tienilo nascosto", e un terzo aggiungeva "Oh, io uccido Bush". Il 17 febbraio Naim accennava a un attentato: "Il colpo sul carabiniere lo spari te... lo devi fa'". Ieri il tunisimo, difeso dall'avvocato Cynthia De Conciliis, ha respinto ogni addebito: "Non ho mai parlato di armi, né di un colpo da sparare a un carabiniere". Si è definito invalido civile. "Ha problemi gravi, è affetto da un tremolio costante", ha detto il suo legale dopo averlo incontrato. Ha negato tutto anche l'algerino: "Alla moschea andavo per pregare e per l'assistenza di cui avevo bisogno per i miei problemi fisici", ha spiegato Goumri. E lunedì i tre curdi iracheni - impauriti perché clandestini e semi-analfabeti, spiega l'avvocato Manuela Lupo - erano caduti dalle nuvole di fronte alle intercettazioni in cui avrebbero parlato di vestiti e... cianuro. Era l'unico filo con i nove marocchini in prigione da quindici giorni, accusati di voler attentare all'ambasciata Usa con il ferrocianuro trovato dai carabinieri.
Ieri, intanto, i militari, su iniziativa del procuratore di Roma Vecchione, hanno perquisito le redazioni di Corriere e Repubblica e le abitazioni delle giornaliste Fiorenza Sarzanini e Claudia Fusani, che avevano pubblicato stralci delle ordinanze e brani delle intercettazioni. Non si è trattato di perquisizioni amichevoli, sono stati sequestrati computer e cellulari. Una spiegazione seria è difficile: gli atti erano già a disposizione dei legali, non si può certo parlare di fuga di notizie.

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