02 Marzo 2002
 
 
Tra guerra e sanatorie
La nuova legge sull'immigrazione non soddisferà il mercato del lavoro. E peggiorerà la vita di molti
ENRICO PUGLIESE

Tanto tuonò che piovve. Finalmente la legge Bossi-Fini sull'immigrazione è giunta in dirittura d'arrivo: una gran bella soddisfazione. La legge è passata al Senato e già da parte di un partito al governo (la Lega) si sentono minacciare guai per chi tenterà di modificarla alla Camera. Insomma possiamo dire che il guaio è fatto. Il provvedimento approvato - dopo un lungo periodo di clandestinità - già da parecchio tempo circolava in sostanza nella sua forma attuale: quella stessa che nei mesi scorsi aveva determinato notevole indignazione da parte di chi lavora con gli immigrati e per gli immigrati, in particolare le organizzazioni del mondo cattolico e laico, nonché i sindacati. Anche le organizzazioni padronali avevano espresso qualche perplessità, non tanto per motivi etici o di principio, quanto per lo scarso realismo della proposta. C'è tuttavia qualche piccolo elemento di novità nel male, ma anche nel bene, il che esprime la complessità delle posizioni all'interno del governo, dove presenza democristiana deve comunque fare i conti con una sua base, bigotta e reazionaria quanto si vuole, ma anche benevola nei confronti degli immigrati, soprattutto quando fanno i serv, o le serve.
E infatti, insieme alle solite norme inutilmente vessatorie, già esistenti nelle versioni precedenti del provvedimento, c'è una grande novità rappresentata da una ennesima sanatoria relativa - non si capisce perché, o forse si capisce troppo bene - alle sole domestiche. Dunque: non c'è Bossi che tenga, la sanatoria è una pratica italiana che non cambia per il solo fatto che cambiano i governi. Così come i governi che si succedono non saranno mai capaci di introdurre norme volte a rendere inutili le sanatorie.
Si ricorderà come gli anatemi contro le sanatorie sono stati un motivo di fondo che ha accompagnato tutta la storia della immigrazione italiana. Data la sostanziale impossibilità di ingresso regolare in Italia (a parte casi rari ed eccezioni), il paese, nella misura in cui assorbiva immigrati, assorbiva per ciò stesso clandestini. E poi, una volta raggiunto un certo numero di lavoratori clandestini, scattava una pressione, tra il solidaristico e il clientelare, volta ad attivare una nuova sanatoria. In mancanza di forme alternative più chiare e sistematiche di regolarizzazione, questa è risultata l'unica strada percorribile. Ora la sanatoria, relativa alle sole lavoratrici domestiche la troviamo come parte integrante del provvedimento. Che siano clandestine o no, che le abbiano portate dei "mercanti di carne" o che siano venute da sole, non ha alcuna importanza. Le badanti - come presumo si dica in Padania - servono anche all'elettorato fascista e leghista. E allora basta con le questioni di principio: l'uso delle navi da guerra - introdotte da questa legge - va bene contro i clandestini, ma se tra loro qualcuno ha deciso di fare la badante (credo che voglia dire assistente per gli anziani, nonna sitter, bambinaia) allora meriterà la sanatoria. Contento Bossi, contento Fini, contenti - diciamolo pure - noi.
Poi c'è il problema di quante sono: 43.000 o 200 mila. La cosa a mio avviso non ha importanza, ma Il Sole 24 ore si preoccupa del "balletto di cifre sulla sanatoria" e noi non possiamo trascurare l'informazione. E giacchè parliamo di Confindustria è bene ricordare un altro aspetto di rilievo che sta per diventare legge dello stato: il contratto di soggiorno. In questo modo - se ne è parlato spesso su questo giornale - si lega, in maniera innaturale quanto improbabile, il lavoratore immigrato al posto di lavoro per il quale ha ottenuto il permesso di soggiorno. E' stato il presidente della Ducati, Guidalberto Guidi, tempo addietro, a dire che non se la sente di impedire a un suo dipendente di lasciarlo per un lavoro migliore, o - viene di aggiungere - che qualcuno assunto con contratto di soggiorno da un'altra ditta, vada a lavorare per lui. E in realtà, con la carenza di offerta di lavoro che c'è in alcune aree del Nord, il carattere restrittivo di questo provvedimento sta cominciando a diventare una seccatura anche per padroni.
Infine le navi da guerra. Non si sa proprio a che possano servire, ma certo hanno un elevato valore simbolico. Se il messaggio non è che l'Italia ha una domanda di lavoro insoddisfatta e che ci vogliono gli immigrati, bensì che l'Italia è sotto assedio, allora le navi da guerra vanno benissimo. E non era forse una nave da guerra quella che il venerdì santo di quattro o cinque anni addietro affondò nelle acque pugliesi la carretta di mare la Kater I Rades? Molti ricorderanno come l'on. Silvio Berlusconi, attuale presidente del Consiglio, andò a piangere su quelle coste. Chissà quanti pianti si potrà fare in futuro. O forse no. Forse le navi da guerra servono solo per far vedere, per ricordare che siamo invasi da clandestini e che è necessario portare avanti un guerra senza tregua contro di loro. Una guerra virtuale, ma ben publicizzata.
Ho già scritto più volte che il resto dei provvedimenti non sono altro che emendamenti peggiorativi del testo della legge 40, della Turco Napolitano, che non ne modificano il quadro. Ma certo non è bello per gli immigrati rischiare di perdere più facilmente il permesso di soggiorno, o essere deportati se in assenza di permesso. La legge non modifica il quadro, ma lo peggiora. E soprattutto lancia dei messaggi, che mettono gli immigrati in cattiva luce e ne aumentano il rischio di irregolarità.
Di questo provvedimento non c'era alcun bisogno. Non c'era bisogno di infelicitare ulteriormente la vita degli immigrati, che è già così difficile. Ma l'inutilità del provvedimento sta proprio nel fatto che gli organi preposti al controllo e alla repressione non hanno avuto bisogno del via per cominciare ad operare. Le retate degli immigrati non in regola con in permesso di soggiorno (non solo clandestini, ma anche con il permesso di soggiorno scaduto) sono già incominciate da parecchi tempo. Si sono moltiplicati i posti blocchi, le richieste di documenti, i fermi e gli arresti di gente che ha commesso il puro e semplice delitto di esistere.
Io non so cosa sia uno stato di polizia. E sono convinto che in Italia non viviamo in uno stato di polizia. Tuttavia se fossi un immigrato forse la penserei in modo diverso. Il messaggio della Bossi-Fini sta diventando sempre più operativo. La precarietà dell'esistenza per chi non ha le carte non perfettamente in regola - come è normale comune per gli immigrati - sta diventando sempre più rischiosa. La legge - continua a ribadirlo - è più brutta per i messaggi che lancia che per i suoi specifici provvedimenti. Il dramma è che questi messaggi sono già stati recepiti. E' perciò necessario contrapporre ad essi una più forte e attiva solidarietà sociale.