01 Marzo 2002
 
 
"Così peggiora la mia vita"
Le nuove norme e i destinatari. Parlano due immigrati e un profugo
CINZIA GUBBINI - ROMA

Iqbal è comprensibilmente preoccupato. Questa storia del permesso di soggiorno che ora si chiama "contratto di soggiorno" non lo convince neanche un po'. Non capisce con chi è che deve "contrattare" il suo soggiorno in Italia, dove sta da dieci anni e fa l'operaio a Brescia. Lo hanno assunto con un contratto a tempo indeterminato, ma l'idea di mettersi d'accordo ogni due anni con il suo datore di lavoro per poter rinnovare il permesso di soggiorno non gli va proprio giù. Perdipiù adesso che non basta avere un contratto di lavoro, il padrone deve anche assicurare un alloggio e impegnarsi a pagare il viaggio di ritorno in Bangladesh semmai venisse espulso. Lui che è uno sindacalizzato con il datore di lavoro contratta lo stipendio, la sicurezza delle norme sul diritto di lavoro, i giorni di vacanza. I suoi diritti in quanto lavoratore, insomma. Non in quanto straniero residente in Italia. Secondo Iqbal, non sono questioni che riguardano il suo padrone. E se dovesse essere licenziato da un momento all'altro, perché magari aboliscono l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e a quel punto il contratto a tempo indeterminato è molto più indeterminato? E perché deve trovare un nuovo lavoro nel giro di sei mesi, e non ha più un anno di tempo, proprio ora che le garanzie di assunzione si vanno assottigliando e molto spesso prima di strappare un contratto bisogna passare attraverso un'"esperienza" al nero?
Sarebbe un bel problema, tanto più che la legge Bossi-Fini parla chiaro: in caso di espulsione il provvedimento "è immediatamente esecutivo con accompagnamento alla frontiera per mezzo di forza pubblica". In pratica ti fermano, ti mettono in mano il decreto di espulsione e ti caricano sull'aereo. Sempre che ci sia un volo disponibile, altrimenti il passaggio obbligato è nel centro di detenzione. Dove il tempo massimo di "soggiorno" non è più di trenta giorni, ma di sessanta. E non sarà neanche più possibile fare ricorso, non dall'Italia. Il ricorso Iqbal, che sente la "clandestinità" come una possibilità sempre più tangibile, dovrà farlo dal Bangladesh. E pensare che gli avevano spiegato che il diritto alla difesa è inalienabile e vale per tutti, lo ha ripetuto anche una sentenza della Corte di Cassazione qualche giorno fa. Insomma, ha il forte sospetto che dieci anni passati in Italia a lavorare non gli garantiscano un bel niente. Neanche i contributi che hanno iniziato a riconoscergli sono più i suoi. Quando se ne andrà dall'Italia - o lo espelleranno - non li potrà più riscattare. Quei soldi servono al ministero dell'interno per costruire i dieci nuovi centri di permanenza. Iqbal ride per non piangere.
Ma c'è anche chi tira un sospiro di sollievo, come Mehmet, che è kurdo, ha 20 anni ed è scappato dalla Turchia dopo che il padre e il fratello sono finiti in prigione. E' arrivato in Italia sopportando un viaggio allucinante, ha pagato i trafficanti e i militari turchi, aspetta da un anno di essere ascoltato dalla Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, e si è sempre lamentato del fatto che in Italia, unico paese in Europa, non esista una legge sul diritto d'asilo, ma solo le norme della Convenzione di Ginevra. Ma capisce che se fosse sbarcato in Italia dopo l'approvazione della legge Bossi-Fini le cose sarebbero andate molto peggio. Certo avere una Commissione già pronta ad esaminare le richieste d'asilo sul luogo dello sbarco può essere utile. Addirittura la nuova procedura si chiama "procedura semplificata", lascia ben sperare. Ma che come contrappasso abbiano complicato l'attracco sulle coste italiane, è uno scherzo di cattivo gusto. Trovarsi su quei piroscafi malmessi di fronte a una nave militare della Marina italiana ben equipaggiata aggiunge orrore a un'esperienza già orribile. E Scajola non fa per niente ridere quando assicura che nessuno sparerà sui profughi. E poi la Commissione sarà pure più veloce. Ma che ci fanno, nella Commissione, un rappresentante della questura, uno del prefetto, e un "rappresentante degli enti locali"? Che ne sa un poliziotto se la richiesta d'asilo politico è giusta o meno? L'unico ad avere competenza in materia è il rappresentante dell'Alto commissariato per i rifugiati dell'Onu. Ma quello è uno, gli altri sono tre. Per non parlare della trovata dei fantomatici centri di accoglienza che funzioneranno tali e quali ai centri di permanenza temporanea per "clandestini".
E che fortuna avere ancora diritto al ricorso in caso di respingimento della domanda di asilo. Secondo la legge Bossi-Fini le espulsioni immediate valgono anche per i profughi. I ricorsi si fanno in patria. Che per i kurdi, naturalmente, è la Turchia.