"Così peggiora la mia
vita" Le
nuove norme e i destinatari. Parlano due immigrati e un
profugo CINZIA GUBBINI - ROMA
Iqbal è comprensibilmente preoccupato. Questa
storia del permesso di soggiorno che ora si chiama "contratto
di soggiorno" non lo convince neanche un po'. Non capisce con
chi è che deve "contrattare" il suo soggiorno in Italia, dove
sta da dieci anni e fa l'operaio a Brescia. Lo hanno assunto
con un contratto a tempo indeterminato, ma l'idea di mettersi
d'accordo ogni due anni con il suo datore di lavoro per poter
rinnovare il permesso di soggiorno non gli va proprio giù.
Perdipiù adesso che non basta avere un contratto di lavoro, il
padrone deve anche assicurare un alloggio e impegnarsi a
pagare il viaggio di ritorno in Bangladesh semmai venisse
espulso. Lui che è uno sindacalizzato con il datore di lavoro
contratta lo stipendio, la sicurezza delle norme sul diritto
di lavoro, i giorni di vacanza. I suoi diritti in quanto
lavoratore, insomma. Non in quanto straniero residente in
Italia. Secondo Iqbal, non sono questioni che riguardano il
suo padrone. E se dovesse essere licenziato da un momento
all'altro, perché magari aboliscono l'articolo 18 dello
Statuto dei lavoratori, e a quel punto il contratto a tempo
indeterminato è molto più indeterminato? E perché deve trovare
un nuovo lavoro nel giro di sei mesi, e non ha più un anno di
tempo, proprio ora che le garanzie di assunzione si vanno
assottigliando e molto spesso prima di strappare un contratto
bisogna passare attraverso un'"esperienza" al nero? Sarebbe
un bel problema, tanto più che la legge Bossi-Fini parla
chiaro: in caso di espulsione il provvedimento "è
immediatamente esecutivo con accompagnamento alla frontiera
per mezzo di forza pubblica". In pratica ti fermano, ti
mettono in mano il decreto di espulsione e ti caricano
sull'aereo. Sempre che ci sia un volo disponibile, altrimenti
il passaggio obbligato è nel centro di detenzione. Dove il
tempo massimo di "soggiorno" non è più di trenta giorni, ma di
sessanta. E non sarà neanche più possibile fare ricorso, non
dall'Italia. Il ricorso Iqbal, che sente la "clandestinità"
come una possibilità sempre più tangibile, dovrà farlo dal
Bangladesh. E pensare che gli avevano spiegato che il diritto
alla difesa è inalienabile e vale per tutti, lo ha ripetuto
anche una sentenza della Corte di Cassazione qualche giorno
fa. Insomma, ha il forte sospetto che dieci anni passati in
Italia a lavorare non gli garantiscano un bel niente. Neanche
i contributi che hanno iniziato a riconoscergli sono più i
suoi. Quando se ne andrà dall'Italia - o lo espelleranno - non
li potrà più riscattare. Quei soldi servono al ministero
dell'interno per costruire i dieci nuovi centri di permanenza.
Iqbal ride per non piangere. Ma c'è anche chi tira un
sospiro di sollievo, come Mehmet, che è kurdo, ha 20 anni ed è
scappato dalla Turchia dopo che il padre e il fratello sono
finiti in prigione. E' arrivato in Italia sopportando un
viaggio allucinante, ha pagato i trafficanti e i militari
turchi, aspetta da un anno di essere ascoltato dalla
Commissione centrale per il riconoscimento dello status di
rifugiato, e si è sempre lamentato del fatto che in Italia,
unico paese in Europa, non esista una legge sul diritto
d'asilo, ma solo le norme della Convenzione di Ginevra. Ma
capisce che se fosse sbarcato in Italia dopo l'approvazione
della legge Bossi-Fini le cose sarebbero andate molto peggio.
Certo avere una Commissione già pronta ad esaminare le
richieste d'asilo sul luogo dello sbarco può essere utile.
Addirittura la nuova procedura si chiama "procedura
semplificata", lascia ben sperare. Ma che come contrappasso
abbiano complicato l'attracco sulle coste italiane, è uno
scherzo di cattivo gusto. Trovarsi su quei piroscafi malmessi
di fronte a una nave militare della Marina italiana ben
equipaggiata aggiunge orrore a un'esperienza già orribile. E
Scajola non fa per niente ridere quando assicura che nessuno
sparerà sui profughi. E poi la Commissione sarà pure più
veloce. Ma che ci fanno, nella Commissione, un rappresentante
della questura, uno del prefetto, e un "rappresentante degli
enti locali"? Che ne sa un poliziotto se la richiesta d'asilo
politico è giusta o meno? L'unico ad avere competenza in
materia è il rappresentante dell'Alto commissariato per i
rifugiati dell'Onu. Ma quello è uno, gli altri sono tre. Per
non parlare della trovata dei fantomatici centri di
accoglienza che funzioneranno tali e quali ai centri di
permanenza temporanea per "clandestini". E che fortuna
avere ancora diritto al ricorso in caso di respingimento della
domanda di asilo. Secondo la legge Bossi-Fini le espulsioni
immediate valgono anche per i profughi. I ricorsi si fanno in
patria. Che per i kurdi, naturalmente, è la Turchia.
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