06 Ottobre 2001
 
 
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Senza rifugio
L'Italia espelle 113 profughi. Il Cir: violate le norme sul diritto d'asilo
TIZIANA BARRUCCI

Sei giorni di speranza, e poi il ritorno forzato a casa, nella lontana città di Colombo, in un paese dilaniato da anni di guerra civile. E' la storia di 113 cittadini dello Sri Lanka, tutti di etnia tamil, arrivati a Portopalo, in provincia di Siracusa, lo scorso 28 settembre, velocemente trasferiti dalla polizia nel centro di permanenza temporanea Regina Pacis di Lecce. Ad aspettarli già il console dello Sri Lanka. Accertata la loro provenienza, nel primo pomeriggio di giovedì scorso i 113 sono stati scortati da più di cinquanta agenti della polizia verso l'aeroporto di Brindisi e da qui rispediti in patria, con molta probabilità con un aereo militare.
"Dai commissariati ci è stato negato qualsiasi accesso a informazioni e allo stesso centro", denuncia il Consiglio italiano per i rifugiati, che parla di aperta violazione delle norme di diritto internazionale, nazionale e in generale del principio fondamentale di non respingimento. Velocità di trasferimenti, divieto di accesso agli operatori - non solo Cir - ai centri d'accoglienza e l'immediato contatto con il consele, fanno pensare, secondo i funzionari del Consiglio per i rifugiati, che un'eventuale volontà di richiedere protezione al governo italiano non sarebbe potuta essere realizzata. Eppure è arcinoto che nello Sri Lanka è in corso da anni una guerra.
"Non siamo stati avvisati degli eventi e solo tramite una nostra indagine siamo riusciti ad avere notizie di quanto accaduto - spiegano gli operatori Cir - queste persone non hanno avuto neanche la possibilità di essere informate del loro diritto a chiedere asilo".
Attualmente ci sono più di 100 cittadini dello Sri Lanka nel centro Regina Pacis di Lecce, in circostanze identiche a quelle dei loro connazionali rimpatriati giovedì, e il Cir ora teme che i commissariati e le questure riservino lo stesso trattamento anche a loro. Per questo lo stesso direttore del consiglio, Christopher Hein, ha scritto una lettera al ministro degli Interni, ma non ha ricevuto ancora nessuna risposta.
Mentre la versione della questura di Siracusa e dello stesso dipartimento di pubblica sicurezza sono abbastanza vaghe e non riescono a giustificare una situazione che non ha nulla di legale. "Durante gli interrogatori fatti per conoscere le loro generalità nessuno delle 113 persone ha chiesto l'asilo politico, mentre tutti hanno dichiarato di essere nel nostro paese per cercare lavoro - ha spiegato Corrado Basile dalla questura di Siracusa - essendo clandestini, sono stati tutti rimpatriati". E perché le organizzazioni umanitarie non hanno potuto incontrarli? "Di queste cose non sono informato, non posso dirle nulla". Stessa musica dal dipartimento di pubblica sicurezza presso il Viminale per il quale i "clandestini non avrebbero presentato nessuna domanda di asilo politico e per questo sarebbero stati rimpatriati". E sulla questione della denuncia da parte delle organizzazioni la confusione è ancora maggiore: "posso dire che c'è stato un contatto e pare che si sia ragiunto un accordo", spiega un funzionario, peccato che il contatto venga smentito dalle organizzazioni interessate.
Intanto, sul pericolo di un utilizzo strumentale della guerra al terrorismo come pretesto per non concedere asilo politico a chi ne ha veramente diritto, si è espresso ieri lo stesso commissario Acnur, Ruud Lubbers: "La convenzione, quando correttamente applicata, non salva i criminali, non si devono isrtaurare ingiustificati legami tra rifugiati e terrorismo, tra rifugiati e crimine".

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