da "Il Manifesto"

09 Giugno 2001

Etnografia del nuovo controllo sociale

GUIDO CALDIRON

 

"Quel che fa sì che il potere regga, che lo si accetti, ebbene, è semplicemente che non pesa solo come una potenza che dice no, ma che nei fatti attraversa i corpi, produce delle cose, induce del piacere, forma del sapere, produce discorsi; bisogna considerarlo come una rete produttiva che passa attraverso tutto il corpo sociale, molto più che come un'istanza negativa che avrebbe per funzione il reprimere". Potrebbe apparire paradossale utilizzare questa citazione di Foucault per presentare un libro sulle forme contemporanee del controllo sociale, sulla sua articolazione più espressamente votata alla coercizione e talvolta alla violenza, quale è la polizia. Eppure proprio l'autore di Sorvegliare e punire offre alcuni spunti interpretativi fondamentali alla ricerca che Salvatore Palidda ha dedicato a questo tema (Polizia postmoderna, Feltrinelli/Interzone, pp. 248, L. 32.000). Palidda, uno dei rari ricercatori italiani che affronta da molti anni i temi legati al rapporto tra "sicurezza" e vita sociale, tra forme della repressione, processi sociali e mutamenti economico-produttivi, costruisce infatti la propria inchiesta descrivendo il prendere forma (anche) nel nostro paese di un "fatto sicuritario" globale che coinvolge sempre più soggetti, oltre agli addetti tradizionalmente preposti delle forze di polizia. "Le polizie della società postindustriale - spiega Palidda -, tendono ad essere sempre meno istituzioni che, secondo una visione funzionalista, servono innanzitutto al dominio del potere politico sulla società. Al contrario, esse tendono sempre più a caratterizzarsi come potere socialmente costruito con la partecipazione della maggioranza dei cittadini". Mutuando dalla forma produttiva postfordista, in questo caso, una sorta di distribuzione capillare della gestione della "sicurezza", sembra suggerire Polizia postmoderna, si produce non tanto un'accellerazione e un imbarbarimento delle tecniche repressive, quanto il loro riposizionarsi all'interno di un nuovo "senso comune", socialmente sostenuto e condiviso. Una considerazione che non può certo essere considerata marginale nella situazione italiana, anche per il ruolo giocato dai temi sicuritari nella recente campagna elettorale. Eppure - sottolinea Palidda - proprio mentre le vicende legate al tema della sicurezza, e dunque in larga parte alle funzioni e all'organizzazione interna degli apparati di polizia, si proiettavano al centro del panorama sociale e politico del nostro paese, da sinistra veniva progressivamente meno quell'interesse che, fino agli anni '70, si era manifestato per le funzioni classicamente repressive e antioperaie esercitate dagli agenti di questa componente del controllo sociale. Ed è forse inutile aggiungere come alla vigilia del G8 di Genova, percepito finora dai media italiani quasi esclusivamente come un laboratorio dell'ordine pubblico, e mentre si va insediando il governo delle destre plurali, che sull'amplificazione dell'allarme sociale legato alla sicurezza ha costruito una parte importante delle proprie fortune, interrogarsi su questi temi sia tutt'altro che compito esclusivo degli specialisti. Anche perché la ricerca di Palidda offre in realtà, per il tramite di una "etnografia del nuovo controllo sociale", una visione articolata di come è andata ridefinendosi la società italiana perlomeno negli ultimi vent'anni, all'interno delle grandi modificazioni che hanno investito tutto il mondo occidentale e non solo. Come testimoniano i molti studi prodotti su questi temi nel mondo anglosassone e nel resto d'Europa, e come sottolinea lo stesso Palidda, il punto di osservazione delle "sirene blu", rappresenta una lettura accessoria e utile del quadro sociale complessivo. Come sostiene Patrick Bruneteaux (Maintenir l'ordre, Presses de Sciences Po, '96), lo studio sistematico dei meccanismi di funzionamento interni dei corpi di polizia, finora non ha rappresentato un antidoto certo a soprusi e violenze, ma ha certificato per lo meno come non potesse esistere, almeno sulla carta, una zona d'ombra esclusa dal diritto e dal controllo democratico. Diverso è purtroppo il quadro che si va delineando con "l'ordine postmoderno" descritto da Palidda. Perché accanto a ciò che si potrebbe definire come una parziale trasformazione sicuritaria del legame sociale - i comitati per la sicurezza sorti dall'inizio degli anni '90 a Milano, lo stretto rapporto tra media e azioni di polizia, il ruolo assunto su questi temi dagli enti locali, a cominciare dai comuni del nord - l'altro grande processo che attraversa gli apparati preposti al controllo più coercitivo, riguarda la ridefinizione globale dell'idea di cittadinanza, il posizionamento delle nuove frontiere di inclusione e esclusione nel nostro mondo, a partire dalle vicende dei migranti. Come spiega Palidda: "La polizia non è più soltanto lo strumento utile al primato di quella minoranza di persone che hanno sempre costituito la minoranza dominante o lo strumento di controllo dello stato su una società considerata come potenzialmente ostile o nemica, ma la forza che incarna e assicura il potere sociale dei cittadini nei confronti dei non cittadini, cioè della società nei confronti di chi ne è escluso". In questo quadro i margini di "rispetto delle regole", seppure formali, non sembrano neppure essere posti, come mostra la vicenda dei "centri per espellendi", spazi di non diritto, pensati per una popolazione sospesa in un "altrove" privo di regole se non quelle dell'occupazione militare del territorio. Palidda sottolinea che questa progressiva militarizzazione dello spazio di intervento tradizionale delle forze dell'ordine nei paesi occidentali, simboleggiato dal successo globale della formula della "tolleranza zero", si compie in stretta connessione con la torsione poliziesca che vanno assumendo le vicende belliche in questi ultimi anni (le "operazioni di polizia internazionale" dal Golfo ai Balcani) nel quadro dei nuovi assetti di potere planetari. Il ridefinirsi dello "spazio di sicurezza" interno alle singole società, si compie nel quadro di un riposizionamento delle forze sul piano complessivo (l'edificazione della "fortezza Europa") e mondiale: il tutto seguendo la fisionomia che vanno ri-assumendo le frontiere, in una sorta di geopolitica delle nuove esclusioni e dei nuovi poteri (cfr. I confini della globalizzazione, manifestolibri, 2000). In Polizia postmoderna Palidda parte da un lavoro minuzioso e paziente, svolto tra le volanti e i commissariati di periferia, raccogliendo le voci e gli umori degli operatori di polizia, ricostruendo come il tema della sicurezza si è fatto "sociale" interrogando cittadini e giornalisti, magistrati e sociologi. Ripercorrendo le trasformazioni organizzative della macchina poliziesca, dalle prime unità mobili fino all'istituzione degli uffici di prevenzione generale in tutte le questure, con il compito di rendere il più possibile "visibile" la presenza degli agenti, delle auto e delle insegne della PS nelle nostre città. Tra le centinaia di testimonianze raccolte, che esprimono gli umori e le ansie dei poliziotti, oltre che preziose informazioni sui nuovi modelli di funzionamento del corpo, emerge soprattutto quel che gli agenti vivono come una pressione fortissima: le attese che la società sembra riporre in loro. Nei racconti non si parla solo delle chiamate da parte di cittadini inquieti per la presenza di un gruppo di "marocchini" davanti a casa, quanto piuttosto del fatto che molti chiamano per segnalare disfunzioni della macchina amministrativa pubblica, per chiedere non un aiuto materiale, quanto piuttosto per poter cogliere il senso di una presenza. Nella progressiva "privatizzazione" dello spazio pubblico, non sarà forse che l'ultima struttura percepita come "pubblica", una sorta di moncone inquietante di quello che fu il sistema di welfare, sia proprio quella destinata a esercitare il controllo sociale? Basterebbe forse solo questo interrogativo per cogliere il ruolo nuovo e contraddittorio, ma rivelatore di molte trasformazioni in atto, che la "polizia postmoderna" descritta da Palidda, è chiamata a occupare nella nostra società.