da "Il Manifesto"

01 Giugno 2001

I populisti della natalità

La destra xenofoba e l'uso politico della demografia nel libro "Il demone delle origini" di Hervé Le Bras

DAVID BIDUSSA

La tesi de Il demone delle origini. Demografia e estrema destra (Feltrinelli, L. . 50.000) è semplice e Hervé Le Bras la espone fin dalle righe di apertura. "La demografia in Francia sta per diventare un mezzo di espressione del razzismo. Si tratta di una tesi che suscita scandalo, perché mette in relazione due ambiti che tutto sembra opporre: l'impulso esecrabile e la scienza matematica, il populismo e l'universo ovattato dell'École Polytécnique, il Front national e una prestigiosa istituzione di ricerca, tribuni che arringano dai giornali di estrema destra e professori che pubblicano nelle riviste di scienze morali e politiche". L'affermazione è sicuramente forte, tanto da richiedere una precisazione preliminare, proprio per non cadere nell'errore opposto: quello di screditare complessivamente un'"arma della critica" e di consegnare quella disciplina, o meglio il suo uso pubblico e politico, proprio nelle mani di coloro che sono individuati come i promotori di questa stagione politica. E, infatti, a difesa di una disciplina e di un mondo di studi a cui appartiene, Le Bras subito aggiunge: "Sarebbe falso dedurne che la demografia è una scienza razzista o che i demografi sono razzisti. L'affermazione di partenza significa piuttosto che in questa disciplina, nella sua forma, nel modo in cui definisce il proprio oggetto (le popolazioni chiuse), nei metodi che utilizza (la nozione di popolazione stabile), nel tipo di indici che essa privilegia, si sta manifestando una tendenza alla naturalizzazione della società, a trasformare cioè circostanze storiche, fatti sociali ed eventi politici in eventi naturali ed evoluzioni biologiche. La nozione che permette questi slittamenti è quella di organismo" (il corsivo è nostro). Nella sua indagine, Le Bras considera molti fattori, ma soprattutto li rilegge all'interno della storia francese del '900. Un paese che ha raccontato la sua progressiva decadenza da grande potenza mondiale e imperiale a potenza entro un sistema concertato di alleanze come conseguenza del dissanguamento della I guerra mondiale come il lungo lutto di una generazione in gran parte sacrificata nelle trincee del nord-est. E' per questo motivo che il primo indicatore saliente nel lavoro di Le Bras è l'uso della retorica della fine della Francia come tracollo del tasso di natalità. Un aspetto che richiama molte delle retoriche eugeniche, popolazioniste e nataliste della Francia tra le due guerre, ma soprattutto la retorica di una popolazione naturale, di famiglia contadina, di ruolo dei giovani teorizzato e legislativamente favorito dall'attività normativa e di sostegno sociale promossa dalla Francia di Vichy. Discende da questo dato un secondo aspetto, anch'esso condensato nella cultura politica della Francia di Vichy, ma che ha una lunga storia nell'opinione pubblica francese, almeno a partire dagli anni dell'"Affaire Dreyfus": quello della contabilità della riproduzione. Una riproduzione che separa i tassi di crescita numerici delle popolazioni immigrate, o dei figli di immigrati, da quelli riguardanti il tasso di fecondità che invece sono calcolati e collegati con la popolazione autoctona. Per questa via ciò che è definito sul piano della giurisprudenza, ovvero la cittadinanza giuridica, e ciò che viene introiettato nel senso comune - la francesità - si separano e la dimensione della cittadinanza non prevede l'inclusione, ma, nel migliore dei casi, la dimensione dell'"asilo". Ma dietro la retorica della Francia come terra d'asilo si cela un'ideologia profonda: quella della "società chiusa" che non accetta o guarda con diffidenza ipotesi di ibridazione, di multiculturalità (aspetto che si sposa con l'ideologia dell'antiamericanismo francese e su cui è da vedere M. Nacci, La barbarie del comfort, Guerini e Associati). Il fatto che l'ideologia dell'ospitalità coabiti con la difesa anche rigida della francesità comporta un'esasperazione del confronto sui tassi demografici e la riproposizione costante dell'immagine dell'accerchiamento e dello snaturamento, proprio in conseguenza del calcolo separato dei tassi di natalità che tendono a produrre l'immagine di un paese a due velocità: da una parte una popolazione nazionale che cresce a un ritmo da società opulenta, dall'altra una popolazione non assimilata che avrebbe comportamenti riproduttivi più accelerati che, nel lungo periodo, porterebbe a una perdita del primato della nazione francese. Su questo insiste opportunamente Le Bras, proprio a partire dalla retorica e dalla terminologia assunta dall'Institus national d'études démographiques (Ined, l'istituto di ricerca in cui anche Le Bras lavora, autonomo sia dal Cnrs che dall'università) all'inizio degli anni '80. Tutta la seconda parte del suo studio si concentra sull'uso retorico, sulla terminologia, sui modelli di classificazione e indagine, sulla modalità di costruire serie statistiche proprie da parte della direzione dell'Ined. Ma non è solo un dato statistico o di matematica applicata, quello su cui invita a riflettere Le Bras, quanto sulla la commistione tra figure professionali e circuiti culturali orientati ideologicamente nell'area della Nouvelle droite. Un territorio in cui il linguaggio tecnico della demografia della francesità e della nazione da salvaguardare è omologo a quello della sociologia differenzialista di Alain De Benoist. Un procedimento culturale e un linguaggio che fa della demografia una scienza principe perché la sua lettura orientata della contabilità delle popolazioni rispetto a un territorio è funzionale alla costruzione del paradigma identitario nazione-suolo. La storia della Francia nel '900 non è estranea a tutto questo e certo il nome di Alfred Sauvy, figura di primo piano della demografia storica francese negli anni centrali del secolo, può spiegare molte cose. Gli orientamenti di Population, la rivista dell'Ined, nel secondo dopoguerra, infatti, seguono i dettami di un testo di Sauvy che costituiva il manuale di riferimento nella Francia di Vichy (Richesse et population, 1943), e su quel testo e sulle posizioni espresse da Sauvy si costruisce una politica della famiglia che esprime varie assonanze con quella enunciata negli ultimi quindici anni dai demografi e dagli intellettuali vicini al Front nationale di Le Pen o sensibili alle tematiche della salvaguardia etnica. Sono questi gli aspetti che devono far riflettere. Quando si parla di razzismo, si immagina un discorso politico arretrato, forse anche grezzo. Ma non è così. Nelle culture politiche del Novecento in cui il razzismo non ha assunto i toni del paganesimo anticristiano, il discorso razzista è stato legato ai temi della medicina sociale, delle profilassi di prevenzione, delle terapie di separazione. Il libro di Le Bras è quindi un'utile lettura per renderci sensibili e accorti a un linguaggio che talora assumiamo come "naturale" e che invece ha una storia ed è sorretto da una ideologia. Ma non solo. Forse sulla scorta del testo di Le Bras, un libro come quello scritto da Roberto Maiocchi sull'ideologia della medicina sociale in Italia negli anni del fascismo (Scienza italiana e razzismo fascista, La Nuova Italia), pubblicato nel '99 e rimasto marginale nel dibattito culturale italiano, costituirebbe un ottimo esercizio per comprendere i depositi ultimi di un linguaggio, quello appunto dell'uso politico della demografia. Ma anche per costruire cortocircuiti interpretativi e analitici che sarebbe miope o irresponsabile trascurare.