da "Il Manifesto"

 

12 Maggio 2001

La quadratura del triangolo

Quali sono i confini d'Europa? Demolito il muro di Berlino, è a est la grande incognita. Quanto la Russia sia parte d'Europa, quanto dell'Asia è difficile dire. Non è poi stato così lineare il processo d'integrazione pragmatica dei paesi della Cortina di ferro. E più che di mercato ha bisogno di solidarietà

JEAN CHESNEAUX

 

L' Europa - designazione che risale all'antichità greco-romana - rappresenta un progetto politico forte, che si appoggia a una ricca cultura storicizzata. Ma il campo spaziale della realizzazione di questo progetto resta vago, fluttuante, controverso. Almeno all'est, poiché gli altri tre lati del quadrilatero europeo sono reperibili senza ambiguità sulla carta. Al nord, le zone polari, a lungo inaccessibili e che assicurano oggi - la terra è rotonda... - un contatto con l'Asia o l'America grazie alle "nuove tecnologie". All'ovest, l'oceano Atlantico, spazio politico-culturale che resta ben tracciato, anche se alcuni pretendono di cancellarlo in nome dell'ideologia "euroatlantica". Al sud, il Mediterraneo, il cui doppio status pone un problema strategico di primaria importanza: per gli uni, è una barriera dietro la quale bisognerebbe ripegarsi, chiudersi nella cittadella nordista difendendo i propri privilegi; per altri, è una zona di contatto e di responsabilità nei confronti del Maghreb, del Medioriente, di tutto il "grande sud" in miseria. Ma all'est, la base geografica dello spazio europeo è imprecisa, se non inesistente. Dove finisce l'Europa? Questa domanda ha un senso? I confini orientali ampiamente aperti sono - principale paradosso - in una situazione di continuità oggettiva verso l'Asia, mentre la costruzione europea esigerebbe di tracciare una linea di discontinuità. Mentre tre lati dello spazio europeo sono stabili, poiché proposti dalla realtà fisica, il quarto dipende da scelte politiche, quindi da equilibri sempre rimessi in causa. Dove finisce l'Europa verso est? Domanda resa ancora più complessa dalla linea di divisione interna che attraversa da secoli tutta la storia europea. Un'Europa cattolica, anche protestante dal XVI secolo, e a Oriente un'Europa ortodossa. Un'Europa occidentale dove il capitalismo è decollato precocemente e un'Europa del "secondo servaggio". Un'Europa che l'espansione colonialista ha spinto verso il dominio del mondo e un'altra Europa rimasta ai margini di questa espansione. Un'Europa degli stati-nazione, molto affermati in occidente dal XIX secolo e un'Europa degli imperi continentali, russo, austro-ungarico, turco, il cui smembramento è stato tardivo. E più vicino a noi un'Europa del liberismo pro-americano e un'Europa del "socialismo reale". Certo, il tracciato che separa questi due versanti si è spostato tappa dopo tappa, per esempio con la spinta del cattolicesimo verso est nel Medioevo; ma una dinamica binaria abbastanza costante, anche se sotto forme molto variate, ha da molto tempo opposto "due Europe". Precisiamo tuttavia che entrambe sono ben lungi dall'essersi irriducibilmente voltate le spalle. Le avventure della Casa d'Anjou in Europa orientale nel Medioevo, la diffusione pan-europea della filosofia dell'Illuminismo nel XVIII secolo, il radicamento della "Seconda internazionale" negli imperi austro-ungarico e russo, il dialogo ecumenico contemporaneo tra le chiese cristiane d'oriente e d'occidente, sono quattro esempi tra mille della vitalità degli scambi tra le "due Europe". Scambi che, anche sotto il regime di Yalta, non si erano mai del tutto interrotti. Dopo il novembre 1989 e la caduta della "cortina di ferro", la forza di attrazione della Comunità europea - quadro e simbolo del dinamismo occidentale - posa con un'acuità nuova la questione dei limiti orientali dell'Europa. Alcuni avevano potuto pensare che le ineguaglianze sociali ed economiche sarebbero sopravvissute a lungo alla dualità dei regimi politici. E che di conseguenza sarebbe stato più realista, più conforme agli interessi di lungo periodo dei paesi interessati, di lasciare all'esterno della Comunità i paesi ex socialisti; contemporaneamente contribuendo attivamente al loro sviluppo "endogeno", con aiuti finanziari e tecnici appropriati. Ma è stata l'altra opzione a prevalere, con un effetto di traino sia delle opinioni pubbliche che delle classi dirigenti. E' stato deciso di aprire agli stati successori del "blocco", diventati d'altronde più numerosi, il pieno accesso alla comunità. Ma la situazione di questi paesi era troppo disparata, il loro peso politico troppo ineguale, i livelli di vita troppo diversi. Le date hanno così dovuto essere scaglionate, delle tappe intermedie hanno dovuto essere definite, delle partnership elastiche hanno dovuto essere previste, e sopratutto abbiamo dovuto essere indulgenti, se non lassisti, sui "parametri di convergenza". La grande debolezza di questa politica di integrazione pragmatica, stato per stato, è aver presupposto come risolta una questione più generale: come concepire, nel loro principio, i limiti orientali dell'Europa (il "quarto lato del quadrato")? Domanda che ne nasconde un'altra: come si organizzeranno le relazioni tra questa Europa allargata a est e la Russia? L'idea della Russia parte integrante dell'Europa ha avuto padrini illustri: Pietro il Grande, de Gaulle e la sua Europa "dall'Atlantico agli Urali", Gorbaciov e la sua "casa comune". Ma questi progetti visionari si sono tutti scontrati con un fatto brutale: l'unità della Russia certo radicata in Europa, ma che poco per volta è penetrata in Asia fino a Vladivostock - molto lontano dall'Europa... Questa potenza rappresenta una "aporia geopolitica", una situazione ad hoc; intende farsi riconoscere come europea, ma sa bene che trae ampiamente il proprio peso internazionale dagli immensi territori non europei... Il problema è ancora complicato dai legami e dalle influenze di cui dispone la Russia in Europa orientale: prestigio del "grande fratello maggiore" in Bulgaria o in Serbia, base extra-territoriale di Kaliningrad-Königsberg, continuità vaga con la Bielorussia o l'Ucraina. All'epoca d'oro della costruzione europea (i Sei nel 1956, i Nove, i Dodici...), il "quarto lato" dell'Europa istituzionale in cantiere era il più leggibile, il meglio tracciato, cioè era la stessa cortina di ferro. Dopo la scomparsa di quest'ultima, l'analisi non è stata approfondita. Abbiamo pensato che fosse sufficiente riprodurre all'est il processo che aveva permesso l'integrazione della Grecia o del Portogallo in Europa. Sembrava evidente che nel futuro come nel passato la costruzione europea sarebbe progredita all'interno di uno spazio territoriale ben inquadrato, ben delimitato - qello per esempio implicato dall'applicazione dei "controlli di Schengen". Semplicemente, avremmo spostato "da qualche parte un po' più all'est" i limiti di questo spazio. "Da qualche parte"? Ma dove? Questa logica lineare semplicistica è oggi presa in difetto. E' estremamete dubbioso di poter tracciare, attraverso l'istmo est-europeo che va dal Baltico al Mar Nero, una linea di demarcazione chiara e stabile. Abbiamo evocato più sopra tre ragioni: l'autonomia secolare dell'Europa centrale e orientale rispetto al "modello" europeo occidentale; la disparità delle condizioni di vita di questi paesi, a misura che ci si allontana verso l'est; e il "caso" russo. In questo campo, non si può far riferimento né alla linearità euclidea di un tracciato che è sufficiente a se stesso, né alla logica cartesiana binaria del "o dentro o fuori". Il quarto lato dell'Europa può piuttosto venire analizzato come una di quelle "strutture molli" alle quali si interessa la fisica moderna. E' una zona di confini, che ci riporta alla vecchia categoria medievale della "marca" come zona dallo status intermediario. E l'Europa, a gran danno degli eurocrati la cui riflessione si chiude nei modelli rigidi e nelle procedure meccaniche, non potrà mai condurvi una politica empirica, evolutiva, adatta ad ogni singolo caso, sempre alla mercé del contingente. Ma una politica degna di questo nome, che non sacrifichi le società umane agli imperativi dell'economia. Benché alcuni non vi vedano che un Mercato, l'Europa del'est è prima di tutto per gli europei occidentali un grande spazio di solidarietà.