da "Il Manifesto"

11 Maggio 2001

Migranti in mezzo al guado

Integrazione possibile Un libro sull'immigrazione di Guido Bolaffi in cui l'autore, consulente della ministra Turco, propone un patto tra italiani e immigrati

ENRICO PUGLIESE

Nel corso della campagna elettorale il tema dell'immigrazione è stato sbandierato in maniera aggressiva dalla destra, mentre la sinistra di governo ha scelto di tenerlo sullo sfondo della sua campagna elettorale. E questo non desta grandi sorprese. E' infatti noto che nei paesi sviluppati le forze progressiste glissano sulle questioni poste dall'immigrazione, anche quando portano avanti politiche di apertura nei confronti dei migranti. Tuttavia, non si capisce il motivo del perché in questo appuntamento elettorale i manifesti di Rutelli parlavano degli immigrati solo in termini di lotta all'immigrazione clandestina, magari come paragrafo del capitolo sicurezza e lotta alla criminalità. Dei bisogni degli immigrati e del loro contributo alla produzione della ricchezza in questo paese, anche e soprattutto nelle aree dove maggiormente essi sono oggetto di aggressioni ideologiche e a volte fisiche, si parla poco. Per questo vale la pena discutere il libro di Guido Bolaffi (I confini del patto: il governo dell'immigrazione in Italia) appena edito da Einaudi, che entra nel merito delle questioni generali partendo ovviamente dal suo punto di vista politico nonché - e questo aspetto è importante - dalla sua collocazione istituzionale (è stato consulente sull'immigrazione della ministra per gli affari sociali Livia Turco). La complessità rappresentata dall'attuale immigrazione non sfugge a Bolaffi, sia per quel che riguarda gli aspetti del mercato del lavoro e dell'economia, sia per quel che riguarda i processi di inserimento degli immigrati. E allora, giacché siamo in clima elettorale, è bene richiamare alcuni punti fermi trattati nel libro e che sono stati assenti dalla discussione elettorale di queste settimane. Innanzitutto risulta sempre più chiaro il fatto che l'economia italiana trae notevole vantaggio dalla presenza degli immigrati provenienti da paesi del Terzo Mondo. Contrariamente a quanto avveniva solo dieci anni fa, la presenza degli immigrati in fabbrica è infatti sempre più significativa, soprattutto nelle zone del paese dove l'offerta di lavoro locale è ormai molto modesta. Gli immigrati - Bolaffi lo dice e lo dimostra a chiare lettere - servono. "Pochi sanno - si legge già nella quarta di copertina - che nel milanese ben il 63% delle imprese impiega personale straniero". E tuttavia, a fronte di questi dati, la concorrenza tra lavoratori è la minaccia fantasma agitata da "imprenditori politici del razzismo", anche se non vanno sottovalutati i problemi e le tensioni tra immigrati e alcuni settori particolarmente svantaggiati della società italiana. E' per questi motivi che l'autore propone un patto tra italiani e immigrati, "un patto - continua Bolaffi - basato su un preciso sistema di doveri e di diritti reciproci". Per quel che riguarda il ruolo delle istituzioni italiane Bolaffi propone alcune linee di intervento e individua alcune pratiche da evitare tra cui le cosiddette "sanatorie", le regolarizzazioni degli immigrati presenti in Italia senza permesso di soggiorno (con permesso scaduto o non valido per lavoro). Questo è un antico tema di disaccordo con Bolaffi. Come è noto, in occasione delle emanazioni dei vari provvedimenti legislativi sull'immigrazione sono state sempre emanate "norme a sanatoria" riguardanti gli immigrati in condizione di irregolarità. La posizione di Bolaffi è sempre stata di opposizione a provvedimenti del genere; e ora egli li prende come esempio e dimostrazione della scarsa serietà politica e istituzionale con la quale è stata affrontata la questione dell'immigrazione in Italia. In alternativa egli propone una programmata seppur flessibile politica di ingressi. Sia chiaro: sulla specifica proposta di una politica di ingressi più aperta non si può non essere d'accordo. Più è alta - tra coloro che entrano - l'incidenza dei regolari, meglio è per tutti. Soprattutto per gli immigrati. Ma va comunque sottolineato che in passato le sanatorie sono state rese necessarie a causa delle politiche di chiusura che hanno fatto aumentare invece che diminuire il numero gli irregolari. Inoltre, sono state deliberate per fare fronte alla difficoltà (o la mancanza di volontà) di trovare soluzioni più agevoli al problema degli irregolari. Se non ci fossero state le "sanatorie" avremmo ora forse lo stesso numero di immigrati (o poco meno) e 800 mila irregolari in più (oltre tre quarti del totale). Va comunque riconosciuto a questo libro il merito di un'argomentata opposizione all'idea del "reato di ingresso clandestino", grande cavallo di battaglia della destra, che non ha certo la funzione di disincentivare gli ingressi irregolari: al massimo riuscirebbe ad affollare ulteriormente le patrie (per gli italiani) galere di immigrati. Naturalmente a questo proposito saremmo più contenti se Bolaffi facesse un passo ulteriore in avanti: se cioè riconoscesse la validità della proposta di Magistratura Democratica e dell'Asgi, per cui gli immigrati (anche se entrati irregolarmente) vadano regolarizzati, purché regolarmente inseriti in una attività lavorativa e senza pendenze penali. Alcuni obiettano che queste proposte incentiverebbero gli ingressi illegali. Va detto che gli ingressi illegali, se ci sono, ci sono comunque, indipendentemente dalla maggiore aperura o chiusura delle frontiere. Chi arriva viene per necessità, anche a costo di restare irregolare. I kurdi, che spesso sbarcano sulle coste pugliesi, non vengono perché c'è la sanatoria fra tre anni in Italia. Vengono perché c'è la guerra e la repressione in Kurdistan e perché hanno dei familiari in Germania, dove infatti sperano di arrivare. Su questo si potrebbe continuare a discutere a lungo, ma non è questo l'argomento che sembra stare più a cuore a Bolaffi. Il centro del suo discorso è un altro: egli si pone il problema della efficienza delle istituzioni e della loro capacità di portare avanti un programma di inserimento degli immigrati nella società italiana, in una prospettiva multiculturale. E' su questo aspetto che insiste Bolaffi, facendo riferimento agli aspetti della seconda generazione degli immigrati e dei minori così come sono stati affrontati dalla letteratura che ha studiato le esperienze straniere. Nell'affrontare la questione della possibilità di realizzazione del patto, Bolaffi passa in rassegna le forme di governo istituzionale dell'immigrazione e argomenta il suo convincimento secondo il quale la soluzione migliore per portare avanti un processo di inserimento è l'istituzione di un ministero per l'immigrazione per evitare la frammentazione degli interventi e il mancato coordinamento delle iniziative. Non ho molta passione per per questo tipo di problematica. Avrà pure ragione Bolaffi, ma certo è che una politica xenofoba - o una buona politica di accoglienza - si possono fare con o senza ministero. D'altro canto non mi sembra che sia stato radioso il periodo in cui avevamo come ministra per gli immigrati Margherita Boniver (approdata dopo la lunga militanza craxiana in Forza Italia). Come si ricorderà, a quell'epoca (all'epoca cioè dell'indecoroso episodio dello stadio di Bari, dove furono segretati più di mille albanese) chi svolse le funzioni di ministro dell'immigrazione fu Scotti, allora al ministero dell'interno, e non certo la Boniver. La proposta istituzionale di Bolaffi è convincente solo nella misura in cui riesce a sottrarre al ministero dell'interno, e quindi alle questure, una buona parte dei compiti che esso ha: compiti che non hanno nulla a che fare con questioni di polizia. E che rendono oltremodo complicato l'ottenimento e il rinnovo dei permessi di soggiorno e soprattutto i ricongiungimenti familiari. Da questo punto di vista l'Italia è molto arretrata (e Bolaffi avrebbe potuto sottolineare, tra le tante, questa specifica arretratezza). Si pensi che anche sul piano della documentazione statistica le informazioni sugli immigrati in Italia derivano da fonti di polizia. Non è così negli altri paesi europei. La verità dei fatti, a mio avviso, è che in Italia si è andata determinando una situazione di razzismo istituzionale, che si esprime anche nell'inefficienza delle istituzioni che hanno a che fare con gli immigrati (come Bolaffi stesso mette in evidenza). La proposta di Bolaffi contiene elementi certamente utili di orientamento alle istituzioni, ma anche proposte francamente non condivisibili, quali ad esempio la delega al mercato di compiti propri di istituzioni statali: "si tratta - scrive l'autore - di investire sul settore del mercato che per competenza e professionalità possono avere un ruolo di supplenza rispetto a quelle pubbliche sia nella fase di ricognizione e definizione dei problemi, che in quella della loro implementazione". Quanto poi al "patto" Bolaffi ha ragione a chiedere maggiore chiarezza politica e correttezza istituzionale al paese di accoglienza. Ma nel formularlo stride quella distinzione che egli fa tra immigrato meritevole e immigrato immeritevole. Una distinzione che ricorda un'analoga e inopportuna differenziazione tra buoni e cattivi fatta qualche secolo addietro per la classe operaia.