da "Il Manifesto"

06 Maggio 2001

Curve pericolose

GUIDO LIGUORI - ANTONIO SMARGIASSE

Lo striscione antiromanista ("Squadra de negri, curva d'ebrei") comparso in Curva Nord nell'ultimo derby capitolino ha riproposto la questione del razzismo negli stadi. La reazione che c'è stata, in primo luogo da parte della Società Sportiva Lazio, con la denuncia contro gli autori della scritta (è la prima volta che una società di calcio denuncia alcuni dei propri "sostenitori"), la squalifica del campo per razzismo (anche questa è una "prima volta"), gli interventi di molti tifosi laziali nelle trasmissioni in filo diretto delle radio romane, fanno pensare che potremmo essere a una svolta. Si è alzato però anche un polverone, fatto di stereotipi e posizioni preconcette. Additando il tifo laziale come razzista, si chiudono gli occhi davanti a una realtà complessa e si commette un errore grave. Non solo perché razzisti e fascisti sono oggi in ogni tifoseria (per restare a Roma, quattro tifosi giallorossi di ritorno dal derby hanno insultato e aggredito una donna di colore). Ma perché se si è incapaci di una "analisi differenziata", non si troveranno mai le contromosse efficaci. Proviamo dunque a ragionare sulla questione. Sapendo che se Cragnotti ha, nella battaglia al razzismo, una logica legata al suo ruolo di grande imprenditore del mercato internazionale (il razzismo non gli conviene per l'immagine, ma anche per la necessità che il capitale ha di "giocare a tutto campo"), la sinistra deve affrontare la questione da un altro punto di vista. E al più presto "scendere in campo". Poiché è stata anche la sua latitanza storica a permettere che si arrivasse al punto in cui siamo. Che risultati avremmo se domenica 13 mettessimo un seggio elettorale in ogni stadio italiano? Probabilmente sarebbero gli stessi degli altri seggi dislocati nello stesso territorio, corretti alla luce del voto giovanile e del voto di sesso maschile. Questo per dire che la gente che si reca allo stadio non è "altra" rispetto a quella che incontriamo per strada. Si fa dunque un primo, grave errore quando si parla di "tifosi fascisti". I tifosi in generale hanno orientamenti diversificati (tra l'altro, il calcio è una grande macchina interclassista), uguali grosso modo a quelli del resto della popolazione. E se non si può negare che negli ultimi dieci-venti anni la società italiana si sia spostata a destra, tale spostamento lo si registra anche in quella parte di paese che frequenta gli stadi. Cambia in parte il discorso se si passa a parlare delle "curve", i settori dove si raccoglie il tifo più "caldo". Premesso che in genere solo una delle curve è davvero diversa dal resto dello stadio, anche all'interno di questa curva più "militante" vi è solo una parte di pubblico che vive il tifo calcistico in modo qualitativamente e quantitativamente diverso: gli "ultrà". Cosa distingue l'ultrà dal tifoso "normale"? Non la violenza o la disponibilità alla violenza. Non solo. Non soprattutto. Il calcio è stato sempre accompagnato da manifestazioni di sporadica violenza. Il tifo ultrà, che data dagli anni '70, si caratterizza perché pone il calcio al centro della vita, della propria cultura, del proprio mondo simbolico. Di quali elementi è composta la cultura ultrà? Non tutto è negativo. Non si può ignorare la ricerca di "comunità", di un modo di stare insieme fondato sull'amicizia, sulla solidarietà, sulla generosità, sottratto ai valori della società basata solo sul mercato, con episodi derivati positivi (aiuti per orfanotrofi, per i più bisognosi: proprio gli ultrà della Lazio sono particolarmente attivi in questa direzione). E sono presenti, e da seguire, componenti, pure minoritarie, del movimento ultrà che cercano di battersi contro le derive razzistiche. La tendenza oggi prevalente è però un'altra. Nella concezione del mondo ultrà vi sono elementi vitalistici, irrazionali, totalizzanti, anche violenti, intolleranti, basati sulla logica amico-nemico. La scritta offensiva nei confronti della Roma apparsa durante il derby, grande come l'intera curva ("A.S.Roma mer.."). riflette l'idea che l'ultrà ha della squadra e del tifo nemico, che deve essere irriso e disprezzato. Ma non va confusa con lo striscione razzista ricordato all'inizio, apparso solo pochi secondi. Quest'ultimo è solo di una parte, piccola ed estremista; la scritta offensiva è invece accettata da tutti gli ultrà, è omogenea a quella cultura, potrebbe essere accettata, rivolta alla Lazio ovviamente, anche dalla Curva Sud romanista (e non richiama forse il famoso "Vi ho purgato ancora", esibito addirittura da Totti?). Un primo quesito è dunque il seguente: già di per sé il tifo ultrà è l'"anticamera" di un tifo razzista e fascistoide? E' vero che negli anni '70 molte "curve" erano di sinistra (alcune lo sono ancora), contigue a Lotta continua o Autonomia operaia. Ma non è vero che anche in quei movimenti e nella loro cultura erano presenti le stesse spinte vitalistiche e irrazionalistiche di cui sopra? La questione è aperta, va approfondita, non può essere affrontata in poche righe. Questo è il paesaggio di fondo nel quale si è innestata, ormai da decenni, una realtà che spesso si finge di non vedere. Anche grazie - è bene sottolinearlo - alla cecità snobistica, astratta, "illuministica", di tanta parte della sinistra, incapace di mettere a fuoco la realtà popolare e di massa del tifo sportivo. Molta acqua è passata sotto i ponti da quando Togliatti, nelle sue Lezioni sul fascismo, spiegava il ruolo strategico delle strutture del "tempo libero", o invitava i dirigenti del Pci ad andare allo stadio la domenica, per stare tra il popolo. Negli ultimi dieci-venti anni è stata una nuova destra, aggressiva e non sciocca, a scegliere nuovi strumenti di iniziativa politico-culturale. Chi a Roma ascolta le radio private (spesso strano impasto di informazione politicamente orientata e di informazione calcistica) se ne è reso conto da tempo. Allo stadio, poi, la destra estrema ha avuto la possibilità e la capacità di condurre un'opera di infiltrazione politica nelle curve. Forse agevolata dalla stessa visione del mondo degli ultrà. Sta di fatto che questa operazione è stata portata a termine con successo: oggi molte curve, con poche eccezioni, sono "egemonizzate" da formazioni di estrema destra. Egemonia gramscianamente intesa, come insieme di forza e consenso, dominio militare (provate, col manifesto in mano, a farvi un giro per le curve degli stadi italiani...) e direzione culturale (la creazione di un'opinione pubblica reazionaria attraverso gli slogan, i linguaggi, non solo razzistici). Questo fenomeno è vero per la Roma non meno che per la Lazio, come per molte altre tifoserie. Non a caso ultrà romanisti e laziali non venivano alle mani da più di un decennio, anzi si univano in spedizioni ad esempio contro le tifoserie "nordiche" vicine alla Lega. Cosa significano gli scontri nell'ultimo derby, a colpi di coltello? Si è aperta una contraddizione tra destra eversiva e destra "di governo"? Potrebbe essere anche la chiave per spiegare lo striscione razzista dei laziali, subito fatto togliere dallo stesso gruppo dirigente della curva, che è stato forse sorpreso e scavalcato da una iniziativa "estremistica". Beninteso, non si vuole sostenere che i gruppi ultrà siano delle semplici appendici dei gruppi neofascisti. Al loro interno - e in misura differente da gruppo a gruppo, da squadra a squadra - vi sono però militanti di organizzazioni neofasciste che di fatto li dirigono, stando sempre attenti a non sovrapporre questa dimensione a quella del tifo vero e proprio (perderebbero i legami con la massa della curva, più legata alla squadra che alla politica), a far passare più parole d'ordine culturalmente orientate che discorsi politici veri e propri, ecc. Un'operazione egemonica. Dove non mancano le contraddizioni: contrariamente a quanto scritto in questi giorni, il giocatore di colore Winter, accolto nella Lazio anni fa da qualche scritta razzista, divenne in poco tempo un idolo di quella Curva Nord che avrebbe dovuto "odiarlo". Per la stragrande maggioranza della stessa curva, i colori della maglia restano più importanti del colore della pelle. Che fare? Che fare per uscire da questa situazione e fare degli stadi luoghi quanto meno più democratici, meno violenti, non più culla di una cultura dell'intolleranza, politica e razziale? In primo luogo, in modi non indiscriminatamente repressivi, lo Stato dovrebbe garantire nuovamente il rispetto delle libertà democratiche anche nelle curve, che oggi sono luoghi in cui non vige la legge e dunque in cui vige la legge della giungla, col risultato che una minoranza organizzata e determinata allo scontro può "controllare" una grande maggioranza che va lì solo per vedere una partita e non per rischiare di farsi spaccare la testa. Gli esempi di altri paesi europei hanno mostrato che questo è possibile. In secondo luogo (ma l'ordine è puramente espositivo), i tifosi democratici debbono trovare il modo di far sentire la propria voce. All'Olimpico, ad esempio, anche su "istigazione" di qualche conduttore radiotelevisivo democratico, vi sono tifosi laziali che hanno acquistato addirittura dei fischietti per coprire di fischi eventuali "buu" razzistici (il fenomeno è stato ascoltato anche in tv, ma la stampa non vi ha dato mai risalto). Queste e altre forme di mobilitazione dal basso devono essere incoraggiate per ingaggiare una battaglia culturale contro la violenza e l'odio. La situazione è più variegata e aperta di quanto si creda.