da "Il Manifesto"

18 Aprile 2001

Operai dell'est, usa e getta

Immigrati a tempo Dal "Sole 24 ore" un'idea: affittiamo dall'est solo operai a termine poi li rimandiamo a casa, per salvare la produzione e il nostro welfare

LORIS CAMPETTI

Tra un paio di mesi l'Unione europea dovrebbe definire la sua politica sui flussi immigratori in relazione all'allargamento a est. La Commissione europea ha già preso posizione con un documento che sarà il copione su cui discutere per addivenire a una scelta. Facciamo conto che i paesi orientali in lista d'attesa si comportino bene, mettendo ordine (economico) al proprio interno e completando le privatizzazioni. In questo caso, intorno al 2005 saranno magnificate con la dicitura "europeo". Il loro territorio sarà europeo, così come le loro banche, e le fabbriche risanate e occidentalizzate nei conti e nella ragione sociale. Ma si tolgano dalla testa l'idea di esportare insieme al made in Italy (le scarpe e le felpe costruite sottocosto dai nostri imprenditori nei Balcani) anche i loro lavoratori, peggio i loro ex lavoratori trasformati in disoccupati proprio dalle privatizzazioni e chiusure suggerite dall'Ue e imposte dal Fmi. L'embargo per i nuovi europei dell'est dovrebbe durare almeno fino al 2010, meglio se fino al 2012. Tutto questo in nome della democrazia: vorremo mica scatenare in Occidente il dumping sociale (l'antico nodo dell'esercito di riserva, forza lavoro disponibile a salario minore, orario maggiore e diritti stracciati), e dunque l'inevitabile ondata razzista tra i nostri lavoratori e disoccupati? E in nome dell'economia: se arrivano da noi in massa - lavoratori potenziali con il bagaglio appresso dei figli e delle mogli - il nostro striminzito e costosissimo welfare va a farsi benedire. Possiamo permettercelo? No che non possiamo. Quest'odioso impianto è stato smontato pezzo per pezzo, in modo convincente, da Mario Deaglio, con un editoriale liberale pubblicato venerdì scorso dalla Stampa. Deaglio contesta l'idea che si possa aprire le porte alle banane o a qualsiasi altra merce e chiuderle alle persone, e ripropone una dichiarazione di Montesquieu di trecento anni fa: "Francia e Inghilterra hanno bisogno della Polonia e della Moldavia". Sul versante opposto, Renato Brunetta sostiene con un editoriale in prima pagina del Giornale di ieri la campagna che quel quotidiano sta portando avanti contro gli immigrati e al tempo stesso contro il centrosinistra, reo di aver spalancato la porta all'odiato straniero. Ma il problema non è di natura solo o prevalentemente etica, quanto piuttosto economica. Per gli imprenditori italiani, un'applicazione troppo rigida del documento della Commissione europea porrebbe qualche problemino: se bloccassimo in modo radicale l'immigrazione da est, quante fabbriche e fabbrichette del nordest, del centroest, della Lombardia, sarebbero costrette a chiudere i battenti, per mancanza di forza lavoro? Quante fonderie, quante cave di marmo, quante concerie, quanti suolifici? Bisogna trovare il sistema per avere la botte piena e la moglie ubriaca. Chi è più legittimato della Confindustria a proporre la soluzione? E' proprio dal cappello del padronato italiano, infatti, che esce il coniglio: l'editoriale di prima pagina del Sole 24 ore, a firma Tito Boeri, realizza la quadratura del cerchio. Con tono garbato e preoccupazioni sinceramente democratiche, Boeri illustra un punto di vista diffuso nella Confindustria, e la collocazione dell'editoriale conferma il feeling tra il professore bocconiano e i nostri padroni. La preoccupazione di partenza è quella solita: dobbiamo difendere i nostri pensionati dagli scippatori "slavi" e la nostra sanità dai profittatori rumeni che portano il nonno asmatico a curarsi nei nostri ospedali. Ce ne preoccupiamo proprio perché siamo democratici e vogliamo sconfiggere sul nascere ogni tentazione xenofoba nel "popolino". Al tempo stesso, fatta salva questa esigenza, dobbiamo pur trovare qualcuno disposto a raccogliere le nostre fragole e i nostri pomodori che crescono maledettamente in basso, rasoterra. Niente di più facile: stipulare soltanto contratti a termine, per restare all'esempio, della durata della stagione delle fragole. Per non correre il rischio di prendere chi capita, l'arruolamento degli stagionali andrebbe fatto a casa loro, in quei paesi dell'est in via di europeizzazione così "ricchi" di forza lavoro da esportare. L'editorialista del Sole, nel suo ragionamento si preoccupa di anticipare una critica scontata: tutto bene, però poi quelli (i lavoratori immigrati) arrivano, finiscono il lavoro e una volta assaporato l'odore dell'occidente e il sapore del benessere, col cavolo che se ne tornano a casa. Niente paura, ci pensa la Confindustria in prima persona a far rispettare quelle regole che lo stato fatica a imporre: una volta affittata una squadra di tessili in Ukraina o di muratori in Moldavia, il padrone italiano dovrebbe impegnarsi a pagare una cauzione per ogni paio di braccia temporaneamente importato (mica possiamo pretendere che a pagarla sia l'immigrato!). Al termine del contratto, il ritorno a casa dell'operaio sarà garantito dall'imprenditore stesso, che farà il possibile e l'impossibile per infilarlo in una nave, in un treno, in un pullman che lo riportino a casa, se vorrà tornare in possesso dei suoi soldi versati come cauzione. Pensare all'est come a un supermercato delle braccia abitato da popoli senza diritti; sognare per quei popoli una flessibilità che, un giorno sperimentata, potrebbe essere importata a casa nostra; prefigurare imprenditori che si fanno stato: tutto questo a noi fa pensare a una forma moderna di schiavitù, per realizzare la quale è fondamentale mettere i lavoratori gli uni contro gli altri, nonché abolire lo stato in nome della globalizzazione e dei profitti. Su questi temi apriamo una discussione con servizi, schede, interviste, approfondimenti. E raccogliendo l'invito di Tito Boeri sul Sole 24 Ore, andiamo a vedere i luoghi in cui un meccanismo analogo a questo viene già sperimentato: oggi l'Emilia, domani il Texas e Israele.