da "Il Manifesto"

07 Aprile 2001

INTERVENTO

Quel no arabo all'antisemitismo

URI AVNERY

Anni fa un francese dalle posizioni anti-semite chiese un incontro a Issam Sartawi, emissario di Yasser Arafat a Parigi, per offrirgli l'aiuto suo e dei suoi colleghi nella lotta contro Israele. "Sir -lo interruppe Sartawi- le consiglio di raccogliere le sue carte e di andarsene". "Era un personaggio disgustoso" mi confessò il giorno successivo. Mi sono ricordato di quell'episodio alcuni giorni fa quando ho letto sul giornale il documento degli intellettuali arabi che, tra l'altro, ha convinto il governo libanese a cancellare un previsto meeting internazionale a Beirut di esponenti di varie correnti che negano l'esistenza dell'Olocausto. Tra i firmatari di quell'importante appello vi erano il poeta nazionale palestinese Mahmoud Darwish, il noto professore arabo-americano Edward Said, il poeta libanese Adonis, lo storico palestinese Elias Sanbar e altre stimate figure del mondo arabo. Si è trattato di un sonoro schiaffo nei confronti degli antisemiti e delle loro teorie purtroppo passato inosservato. Quei circoli vorrebbero infatti adottare la causa palestinese, dal momento che dall'Olocausto l'antisemitismo ha perso ogni rispettabilità mentre la lotta di liberazione palestinese è rispettata e sostenuta dalle persone per bene in tutto il mondo. Eppure da parte palestinese la tentazione di accettare tali offerte è indubbiamente forte: "Il nemico del mio nemico è mio amico" dice un vecchio adagio. Gli antisemiti lottano contro gli ebrei, gli ebrei sostengono il governo israeliano, il governo israeliano opprime i palestinesi. La conclusione può sembrare ovvia - ma è invece del tutto falsa dal momento che l'antisemitismo è in realtà il nemico peggiore dei palestinesi. Basti pensare che l'intero movimento sionista nacque come una reazione all'antisemitismo. Non c'è dubbio che il noto "affare Dreyfus" contribuì non poco a spingere Theodor Herzl a scrivere "Der Judenstaat", il documento fondativo del movimento. Fu l'antisemitismo, presente in tutti i movimenti nazionalisti in Europa, a impedire spesso l'assimilazione degli ebrei nelle nuove nazioni moderne e a convincerli ad orientarsi verso un separato movimento nazionale ebraico. Senza l'antisemitismo non vi sarebbero state le varie ondate migratorie ebraiche verso la Palestina. Naturalmente l'Olocausto non creò certo l'impresa sionista ma le dette comunque un grande slancio. Senza il (tardivo) risveglio della coscienza del mondo, lo Stato di Israele non sarebbe nato in quel momento e in quelle forme. E di nuovo in epoca recente l'antisemitismo in Russia ha spinto ancora verso Israele nuove ondate di immigrazione. Lo sotrico Isaac Deutscher ha paragonato il nostro conflitto ad un uomo che salta da una casa in fiamme e cade sulla testa di un ignaro passante. Se gli ebrei non fossero saltati dall'edificio in fiamme dell'Europa non sarebbero caduti sulla testa del popolo palestinese. Da questo punto di vista la lotta di liberazione palestinese si differenzia da quella di ogni altra lotta per la libertà. Quando i neri lottavano per i loro diritti in Sudafrica tutto il mondo detestò il regime razzista dell'apartheid. Tutti i popoli che si rivoltarono contro l'oppressione coloniale godettero della simpatia di tutti i buoni cittadini del mondo. Ai palestinesi è toccato invece di combattere contro le vittime dell'Olocausto alle quali va generalmente la simpatia di tutto il mondo. Essi sono "le vittime delle vittime". Tutti i governo israeliani hanno strumentalizzato la memoria dell'Olocausto per ottenere le simpatie del mondo nella loro lotta contro i palestinesi. Begin arrivò a chiamare Arafat "L'Hitler arabo". Persino oggi l'Olocausto viene usato in Europa per bloccare qualsiasi critica della politica israeliana. Tutti i dignitari esteri che vengono in Israele per per protestare per il trattamento riservato ai palestinesi vengono portati al nuseo dell'Olocausto e zittiti. Molti palestinesi vedono l'Olocausto come uno strumento in più per opprimerli. Un atteggiamento comprensibile ma non saggio. Edward Said a tale proposito ha sostenuto che i palestinesi non comprenderanno mai il comportamento di Israele senza prima capire la storia dell'Olocausto. Un ottimo suggerimento. Come peraltro non si può comprendere un palestinese senza capire il dramma della cacciata dalla sua terrae dell'occupazione israeliana che dura ancor oggi. Naturalmente l'espulsione di centinaia di migliaia di persone non può essere paragonata all'uccisione di milioni e milioni ma per chi lo subisce un disastro è un disastro, e la sofferenza è sofferenza. Per tutto ciò è molto bello e importante che il mondo arabo abbia detto a chi nega l'Olocausto, come fece Issam Sartawi tanti anni fa, "fate i bagagli e andatevene".