da "Il Manifesto"

31 Marzo 2001

ASSESSORATO ALL'IDENTITA'

Paflagonia, l'invenzione di un mito

PIERO BRUNELLO

Dopo le elezioni dello scorso anno, l'assessorato alla cultura della regione Veneto, retto da un esponente della Lega Nord, ha cambiato nome e si chiama "Assessorato alle Politiche per la Cultura e l'Identità Veneta". Che cosa c'è da aspettarsi da politiche che promuovono una "Identità Veneta"? Quale idea di democrazia e di cittadinanza, e quali usi politici della storia comportano? In nome del "federalismo" girano parole come "popolo veneto", "comunità", "etnia". Vecchie parole - come "civiltà contadina", "testimonianze orali" e "culture popolari" - assumono nuovi significati. Scopo di una raccolta di fonti orali diventa allora "riscoprire" e "valorizzare" radici e identità. La "storia locale" si trasforma in "storia del Veneto", e la "storia del Veneto" in "storia dei Veneti". Non mi riferisco alle cose che si possono trovare curiosando tra i cataloghi di piccole case editrici o nei siti internet che parlano di "popolo veneto". Non penso cioè a quelle mappe geografiche che rappresentano in sequenza le migrazioni dei "Veneti" avvenute a distanza di qualche millennio l'una dall'altra, dalla prima ondata migratoria dalla Paflagonia, ovviamente subito dopo la guerra di Troia, all'emigrazione transoceanica dopo l'Unità ("arrivano gli italiani, partono i Veneti") e così via; non penso neppure alle foto dei casoni di paglia dei braccianti, che diventano i resti delle palafitte dei Paleoveneti, o alle discussioni sul tema "I Veneti sono i più Celti tra i contemporanei?". Non dico che siano cose da sottovalutare. Sul Gazzettino di Venezia del 26 marzo 2001, la notizia di scavi archeologici in laguna fa sorgere per esempio la domanda sulle "nostre origini", anche qui con riferimento a Troia (ciò che per altro si presta a facili battute sui "Veneti figli di Troia"). Tuttavia, quando penso a come i discorsi delle scienze sociali e della politica si vanno strutturando attorno all'espressione "identità veneta", mi sembrano più importanti altri processi. Mi interessa cioè capire come, grazie al registro etnico, il vecchio lessico cattolico e ruralista si adatta al nuovo contesto politico ed economico facendolo sembrare "tradizionale" e "naturale" (penso al modello di sviluppo, al mito dell'imprenditore, alla presenza di manodopera straniera immigrata eccetera). Prendo a titolo di esempio la Prolusione a un recente convegno sul tema "Tra localismi e globalizzazione", promosso dalla regione Veneto, dalla Fondazione Cini e dal Comitato Scientifico per la Collana di Studi e Ricerche sulla Cultura Popolare veneta ("Notiziario bibliografico" della Giunta regionale del Veneto, luglio 1998). Scelgo questo brano anche perché si presta bene a quell'utilizzo didattico che è tra gli obiettivi dell'assessorato. Grazie alla "autonomia scolastica" infatti, l'assessorato finanzia progetti e corsi di formazione e ha in cantiere un sussidiario per le scuole. (La regione Veneto, tra l'altro, ha appena stanziato una ventina di miliardi alle scuole private sotto forma di "buoni scuola"). Il punto di partenza della Prolusione è questo: chiusa l'epoca dell'Illuminismo e del "vecchio classismo", gli studi sulle "culture locali" hanno per oggetto "l'identità culturale, etnica, sociale". Obiettivo degli studi è promuovere "radicamento territoriale", "radicamento nella cultura di appartenenza". Ora, le forme di "solidarietà naturale" sono due: la famiglia e l'etnia, come ha detto il papa Giovanni Paolo II. Sinonimi di "etnia" sono "comunità", "gruppo etnico culturale", "realtà culturale". Quanto al Veneto, è una "cultura" e un insieme di "etnie": "La cultura veneta [...] comprende bisiachi, istroveneti, trentini, giuliani, friulani, le isole germanofone dei Cimbri dei Tredici comuni veronesi o dei Sette comuni vicentini, i mocheni, i sappadini, i germanofoni di Sauris e Timau, gli sloveni della valle del Natisone e della Slavia veneta" e via catalogando. Queste sono "le antiche presenze". Poi ci sono "le nuove minoranze, centinaia di nuove etnie e realtà culturali". Dialogo tra "culture", allora: "L'esigenza di radicamento nella cultura di appartenenza è finalizzata alla partecipazione al dialogo multiculturale e plurietnico". Per fortuna "la nostra civiltà veneta [...] è una civiltà di dialogo". Morale. Un maschio adulto, che si presenta come veneto, parla ai veneti. Cerca di convincerli ad accettare le altre culture. In realtà vuole convincerli a) che si è veneti o non veneti, o meglio che si deve far parte o degli uni o degli altri; b) che i veneti sono più simili ai loro supposti antenati che ai contemporanei non veneti; c) a comportarsi da buoni veneti (secolare volontà pedagogica delle classi dominanti). Quanto agli immigrati, si possono muovere solo nel folclore: al di fuori, ridiventano le vecchie "classi pericolose". Non a caso, oltre a un assessorato "alle Politiche per la Cultura e l'Identità Veneta", ne è stato istituito uno "alle Politiche della Sicurezza e dei flussi migratori".