da "Il Manifesto"

30 Marzo 2001

Viaggio tra gli ex schiavi

CINEMA Il festival premia "Little Senegal" dell'algerino Rachid Bouchareb

ANTONELLO CATACCHIO - MILANO

Dopo avere cercato di portare l'attenzione sul cinema africano in senso letterale, il festival ha allargato i suoi orizzonti con materiali provenienti anche da altri paesi. E la conferma di questa necessità di superare i confini viene anche dal film premiato dalla giuria: Little Senegal dell'algerino Rachid Bouchareb che parte dall'isola di Gorée, dove venivano imbarcati gli schiavi per raggiungere gli Stati Uniti, il quartiere di New York dove molti africani giungono in cerca di fortuna. Nel racconto di Bouchareb emerge chiaramente come lo strappo violento abbia provocato lacerazioni. Gli afroamericani hanno atteggiamenti molto diversi nei confronti della realtà rispetto ai fratelli africani. Ancora l'asse afroamericano in evidenza con il secondo premio (e quello del pubblico) a Lumumba di Raoul Peck, regista di origini haitiane per una storia congolese dai risvolti internazionali. Non riesce invece a sfuggire al suo mondo e al suo destino Alì, protagonista del film che ha ottenuto il terzo premio, Ali Zaoua di Nabil Ayouch. Siamo infatti nei quartieri periferici di Casablanca dove si affrontano le bande rivali dei ragazzi di strada. E il piccolo Alì è colpito a morte, toccherà ai suoi amici organizzargli un funerale da grande marinaio, futuro che aveva sempre sognato. Infine il quarto premio al Gabon per Dolé di Imunga Ivanga, che proprio sul premio del gratta e vinci costruisce il suo racconto intriso di speranze, aspettative, delusioni e agguati del destino. La giuria dei lungometraggi ha così deciso, presieduta dal marocchino Nour-Eddine Sail e composta da Florinda Bolkan, Pedro Costa, Richard Walter Ismail e Rod Webb. Rimane, come spesso in questi casi, la perplessità nell'avere trascurato Room to rent, di Khaled El Hagar, ma evidentemente una giuria così composita si è trovata a dovere mediare approcci tra loro molto diversi, forse anche conflittuali. Presumibilmente più semplice il compito delle altre due giurie, quella dei corti, che ha assegnato il primo premio a Un soir de Juillet della tunisina Raja Amari, e quella dei video che ha scelto Letter from New York del maliano Mahamat Saleh Haroun. Tutti i premi sono corredati da un assegno che varia dai 10mila euro per il miglior lungometraggio ai 1500 euro del secondo premio video. Come sempre in conclusione si impone qualche bilancio che quest'anno è particolarmente contraddittorio. A fronte di un'ottima selezione dei film presentati, segno tangibile e inequivocabile della straordinaria maturità raggiunta dal cinema made in Africa, va segnalato uno strano rapporto del pubblico con gli orari di proiezione. Abbiamo già detto come la prima serata abbia fatto registrare un sostanziale esaurito nelle diverse sale, confermando il salto di qualità quanto a presenze che già si era registrato lo scorso anno. Curiosamente però al termine di questa sessione di proiezioni le sale si sono svuotate, lasciando sparute pattuglie di aficionados. In alcuni casi questo avrebbe potuto essere ascritto a quell'allargamento di orizzonti, le finestre sul mondo, che ha fatto inserire in cartellone anche altri film rispetto alla produzione africana. Insomma al pubblico milanese interesserebbe il cinema africano doc. Ma questo non è del tutto vero perché anche titoli decisamente ortodossi in questo senso hanno subito la stessa sorte. Quindi significa che c'è dell'altro, non ultimo il fatto che i trasporti pubblici milanesi non sono proprio da grande metropoli, soprattutto in orari notturni. Forse gli organizzatori peccano in generosità, offrendo una proposta troppo ricca nei confronti di una città che culturalmente è ormai assuefatta a dosi omeopatiche. Questo sarà motivo di riflessione. Ma come si fa a rinunciare al fiammeggiante West Indies di Med Hondo o ai materiali della tradizione classica egiziana che ha acquisito la lezione hollywoodiana del musical, trasformandola in un nuovo prodotto di estasiante fascinazione? Tra tanti dubbi, una certezza: Milano non può più fare a meno del festival del cinema africano.