da "Il Manifesto"

20 Febbraio 2001

DA NORDEST

Aggrappati al "mostro" espiatorio

GIANFRANCO BETTIN

Il sindaco di Treviso tace, di fronte ai delitti di questi giorni nel Veneto. Non ci sono albanesi da crocifiggere (ma forse avrà qualcosa da dire sul romeno appena fermato per un omicidio nel vicentino). In compenso, sfugge al sindaco di Padova, la signora Giustina Destro, di solito assai più misurata, la considerazione che il presunto serial killer di Padova "non è di Padova", bensì di Palermo (come gli investigatori che l'hanno preso, ribatte qualcuno). La battuta in realtà rivela di sentimenti assai diffusi. In una città frastornata da una sequenza di omicidi senza apparenti motivazioni, l'identificazione del presunto colpevole ha fatto tirare un doppio sospiro di sollievo: è un matto, e non è di qua. Michele Profeta potrebbe essere qualsiasi cosa, stando a quel che se ne sa, ma certamente non è veneto e, se colpevole, non è "normale". Dei quattro delitti di Padova, tuttavia, almeno due restano fuori dalle accuse rivoltegli: il misterioso assassinio di un netturbino - che i testimoni dicono assomigliare a una specie di esecuzione, secondo alcuni opera di più persone - e la sconvolgente uccisione del professore per mano del figlio (a suo dire, oppresso dal padre). L'eccitazione con la quale è stata subito accolta l'ipotesi del serial killer tradisce la voglia di trovare una spiegazione semplice a episodi che rinviano a oscure, complesse dinamiche sociali ed esistenziali, non riducibili all'azione di variabili impazzite. Avendo dedicato diversi anni, e qualche libro o saggio e decine di articoli e interventi a sostenere che il nostro tempo, e certi luoghi in particolare, generano anche "mostri", credo di non essere sospettabile di diffidenza verso tali ipotesi, che ho varie volte sostenuto contro una diffusa incredulità e contro chi temeva che il solo formularla mettesse a repentaglio il buon nome del Veneto, del Nord, e della buona società in generale. Ma in questo caso, vedendo attribuite troppe responsabilità al comodo "mostro" di turno, la cui funzione nel dibattito attuale - mancando gli abituali capri espiatori immigrati - non è altro che quella di rimuovere la possibilità di una riflessione più estesa e più radicale sugli squilibri e sulle contraddizioni più gravi della società locale, è opportuno richiamare a un'analisi più articolata. I mostri esistono, anche se va ricordato, con Adorno, che ciò che più ci deve spaventare è la loro ovvietà. Ben oltre le loro azioni aberranti, tuttavia, va studiato il contesto in cui avvengono, che ne produce tante altre non riconducibili a nessuna follia ma al modo corrente di funzionare di quel contesto medesimo. Al cupo Profeta, ora, si sta vedendo se non sia possibile appioppare anche la responsabilità di una mezza dozzina di delitti ancora irrisolti degli ultimi tempi. Ci si aggrappa al serial killer, o presunto tale, per non naufragare nelle innumerevoli onde anomale che scuotono e sconvolgono la superficie della normalità. E' comodo, appunto, ma è tremendamente rischioso.