da "Il Manifesto"

18 Febbraio 2001

Sorvegliati e puniti

Riedito da Ombre corte "La produzione della devianza" di Alessandro Dal Lago

MASSIMILIANO GUARESCHI

Agli inizi degli anni '80, Alessandro Dal Lago pubblicava un volume, dal titolo La produzione della devianza, nel quale si proponeva di tracciare, a partire da suggestioni foucoultiane, una genealogia del concetto di devianza percorrendo un itinerario che andava dalla criminologia positivistica alle posizioni espresse da classici della sociologia quali Durkheim, Parsons Merton. Il quadro che emergeva rimandava da una parte ai fondamenti morali, o se si preferisce ai presupposti politici, che supportavano il procedere di discorsi che si autorappresentavano come "imparzialmente" scientifici; dall'altra alla concreta operatività di un concetto come quello di devianza, che lungi dallo svolgere una funzione rappresentativa rispetto a un dato di fatto obiettivo, manifestava una concreta produttività sociale nel tracciare le linee di partizione che distinguevano i comportamenti leciti da quelli illeciti, il normale dal patologico. Assai rilevante, in tal senso, si rivelava il confronto con gli approcci della cosiddetta "labelling theory" che, a partire da un'analisi di matrice etnografica, hanno sottolineato l'incidenza dell'etichettamento nel determinare la "carriera" del deviante. La produttività delle definizioni sociali e dei concetti emerge infatti con forza negli studi di autori come Cicourel, Lemert o Becker, volti a descrivere i meccanismi attraverso i quali la profezia insita nell'etichettamento, in un complesso gioco di interazioni, finisce con l'autoavverarsi, portando il deviante a essere "ciò che la società o la comunità vogliono che sia". A vent'anni di distanza dalla prima edizione, La produzione della devianza viene ripubblicato dall'editore Ombre corte (Verona 2000, pp. 126, L. . 19.000). La lunga prefazione che apre il volume offre all'autore l'occasione per ritornare, alla luce delle urgenze problematiche dell'oggi, sulle questioni metodologiche e sui contenuti che avevano caratterizzato il suo primo libro. Al di là di qualche questione di dettaglio, Dal Lago dichiara di condividere nel complesso l'intentio metateorica o politica sottesa a quell'opera. Con le sue parole: "sono convinto, oggi come ieri, che i discorsi sociologici (e criminologici) sulla devianza non debbono essere trattati tanto come ipotesi scientifiche su certi aspetti della realtà sociale, quanto e soprattutto come dispositivi che costruiscono il proprio oggetto in base a strategie che hanno a che fare con il potere". Ogni definizione di devianza, ovviamente, presuppone, e contribuisce a costruire, una specifica immagine di ordine. Scendendo sul terreno del presente, la nuova prefazione sottolinea le mutazioni intervenute in proposito negli ultimi anni. Da un certo punto di vista, sembrerebbe di assistere a una sorta di regressione ottocentesca che trasforma la criminalità di strada nel fattore di inquietudine più diffuso e nel principale obiettivo delle politiche di sicurezza. Tuttavia, come mostra il recente studio di Salvatore Palidda Polizia postmoderna, le modalità attraverso le quali si sviluppano le politiche di controllo sociale sono caratterizzate da indubbi elementi di novità, in particolare dalla sempre più stretta interazione fra forze dell'ordine e società locali, in un contesto segnato da una percezione sempre più privatistica dello spazio pubblico. In tale ottica sicuritaria si delinea una tendenza alla drammatizzazione di comportamenti tutto sommato innocui. Viene da pensare, in proposito, ad alcune pagine di Parola d'ordine tolleranza zero di Loïc Wacquant, in cui l'autore sottolinea la progressiva criminalizzazione negli Usa e anche in Europa di una serie di infrazioni minori, quelle che in francese vengono deviante incivilité, quali gli schiamazzi notturni, l'ebbrezza o le attività dei graffitisti. Obiettivo privilegiato di tale criminalizzazione risultano ovviamente le classi subalterne, i giovani delle periferie, i migranti, in un quadro di complessiva ridefinizione delle politiche di controllo sociale che procede attraverso il trattamento penale della miseria, la massiccia riattivazione della risposta carceraria, l'inferiorizzazione dei gruppi destinati ai segmenti bassi del mercato del lavoro. L'insistente riproposizione dell'equazione immigrato-criminale, inoltre, mostra chiaramente come sulla figura dello straniero convergano massicciamente nel nostro tempo le pratiche di costruzione della devianza. A tal proposito, è necessario essere consapevoli di quali siano le poste in gioco. Come nota Dal Lago, la sociologia liberal degli anni '60 aveva colto nelle manifestazioni di "devianza" una reazione nei confronti di un'aspirazione a forme di socialità non conformista. A suo parere, oggi, la criminalizzazione del migrante, di chi cerca di evadere dal "proprio" ordine sociale, economico o politico, tenta di "falsificare la pretesa politica (in poche parole una nuova idea di cittadinanza globale, anche se in nuce e inconsapevole) contenuta nella stessa esistenza dei migranti".