da "Il Manifesto"

07 Febbraio 2001

Bologna la gabbia

SARA MENAFRA - BOLOGNA

Un nuovo carcere per Bologna. Servirà per chiuderci gli immigrati in attesa di espulsione. "I Cpt non saranno delle galere", aveva promesso la ministra Livia Turco siglando la legge 40 del 1998 che istituiva i "Centri di permanenza temporanea per immigrati in attesa di espulsione". Già tre anni fa era difficile credere all'impegno. Quale può essere infatti la linea che separa un carcere da un posto dove le persone sono rinchiuse senza possibilità di contatti con l'esterno (a parte il telefono)? A chi osserva la costruzione che sta sorgendo sulle fondamenta della ex caserma Chiarini, in via Mattei 60, appare evidente che quella linea è già stata spezzata. Un complicato mosaico di incongruenze giuridiche e di imbarazzanti silenzi da parte di chi non può non sapere, dimostra che la differenza non c'è. Il primo tassello è quello della somiglianza strutturale lampante fra il Centro che sta sorgendo alle porte di Bologna e una qualunque prigione. Ne è assolutamente convinto il consigliere comunale del Prc Valerio Monteventi che, dopo una serie di ricerche, è riuscito ad avere informazioni sul progetto edilizio: "Sappiamo che il piano su cui stanno lavorando prevede una struttura da almeno 170 posti con stanze da sei letti ciascuna, al cui interno non c'è molto altro spazio se non quello per rimanere sdraiati sulle brande", aveva detto in un'interrogazione a novembre, aggiungendo che "le stanze hanno come unico punto luce la porta di ingresso che, però, vede sorgere davanti un muro". Le altre indicazioni raccolte dal consigliere parlano di un cortiletto davanti ad ogni stanza circondato da una rete alta circa tre metri e mezzo, dove gli immigrati - pioggia e freddo bolognesi permettendo - dovrebbero passare la maggior parte del loro tempo. L'unica struttura ricreativa sarà un campo da calcetto di cemento disponibile a non più di 12 persone per volta, sempre rigorosamente scortate dagli agenti di polizia. E poi le "strutture di sicurezza": "Tutto attorno al fabbricato dove sono alloggiati gli immigrati correrà un camminatoio protetto con una cancellata continua alta circa 4 metri e mezzo e con la punta delle inferriate ripiegate alle loro estremità verso l'interno". A circondare l'intero centro (che comprende anche una mensa oltre che il campo da calcetto di cui sopra) sarà un muro di cinta esterno, limitato agli angoli da quattro torri faro, che potranno raggiungere l'altezza di 15/20 metri. Insomma i segni particolari da prigione ci sono tutti. Se le denunce fatte dal consigliere Monteventi si rivelassero esatte diventerebbe proprio difficile per gli amministratori della rossa emilia spiegare che via Mattei "non è un carcere". I criteri di abitabilità sanciti dalle Asl segnano limpidamente la differenza fra cosa è una prigione da ciò che non lo è: "Il problema è proprio lì - spiega Valerio Monteventi - Per essere considerata vivibile una struttura residenziale pubblica ha bisogno di una particolare metratura in relazione alle persone che dovranno risiedervi". Inutile dire che l'edificio che sta sorgendo sulle spoglie della ex caserma Chiarini non rispetta affatto quei parametri, mentre sarebbe perfettamente accettabile come prigione. Come se non bastasse, un altro fattore che parla di inquietanti somiglianze fra il futuro centro di detenzione di Bologna e un carcere è quello delle leggi che sono state applicate al cantiere edile aperto in via Mattei 60. Secondo le norme per la sicurezza sul lavoro, ogni volta che si apre un cantiere la ditta incaricata dei lavori deve fare denuncia formale alla Asl locale. L'unica eccezione è per le "strutture di sicurezza" quali caserme, basi Nato e, ovviamente, carceri. E guarda caso i lavori di via Mattei non sono stati registrati presso gli uffici sanitari competenti. Insomma gli stessi amministratori che da un anno non fanno che ripetere che il Cpt di via Mattei "non sarà una galera" poi, a riflettori spenti, applicano alla costruzione del centro esclusivamente le norme che riguardano le strutture detentive. Per la verità le regole cantieristiche, anche considerando quelle relative alle carceri non sono neppure applicate rigorosamente. I lavori per costruire il Centro di permanenza temporanea di via Mattei sono stati affidati dal ministero dei Lavori pubblici alla ditta Coge di Parma con un finanziamento di 8 miliardi e mezzo. Dall'inizio del 2001, nel cantiere lavorano stabilmente 20 persone. Ma solo due di loro sono state registrate alla cassa edile di Bologna. Chi sono dunque gli altri 18 fantasmi? Sul cartello posto all'interno (e non fuori) del cantiere, l'unica ditta che compare è appunto la Coge: "I subappalti vanno sempre segnalati - denuncia Valentino Minarelli, segretario del sindacato edile Fillea-Cgil - invece in via Mattei non è chiaro chi sono e per quale ditta lavorano quasi tutti gli edili. Una situazione preoccupante prima di tutto nell'ambito della sicurezza e particolarmente allarmante dato che il committente è proprio un ministero". Infatti, raramente accade che le irregolarità avvengano proprio in lavori finanziati dallo stato. Ma l'ex caserma Chiarini di via Mattei non è una struttura pubblica come le altre. Sarà per questo che da mesi la prefettura di Bologna non fornisce a nessuno chiarimenti su come sarà strutturato il centro? Il capo di gabinetto Matteo Piantedosi ha ripetuto più volte che "per quanto riguarda la struttura dove alloggeranno gli immigrati, il progetto è pubblico" ma allora perché le tante richieste di maggiori informazioni non hanno avuto ancora nessuna risposta? Forse la chiave dell'enigma sta proprio in quella somiglianza evidente fra i centri di permanenza temporanea e le prigioni. Il problema non è solo "umano". Dal punto di vista giuridico quella similitudine segna un incredibile squarcio legale nella legge sull'immigrazione: i centri di permanenza temporanea, infatti, "per legge" non possono essere delle carceri. Secondo la stessa legge che ha istituito queste preoccupanti strutture, l'immigrazione clandestina è un reato amministrativo e non penale. E stando alla nostra costituzione i reati amministrativi non possono essere puniti con il carcere. Se ne sono accorti benissimo alcuni giudici del tribunale di Milano che nei mesi scorsi avevano bloccato alcuni provvedimenti di "internamento" nel centro di via Corelli facendo poi ricorso alla corte costituzionale proprio sull'articolo della legge sull'immigrazione. Anche l'associazione YaBasta! di Bologna cita proprio questo elemento giuridico nell'appello lanciato in questi giorni contro l'apertura del centro di detenzione di via Mattei, l'unica strada legale per impedire che il centro apra i battenti. "No all'aberrazione umana e giuridica dei centri di detenzione per migranti" si legge nel testo firmato da singole persone, avvocati e giuristi (fra cui molti dell'Asgi e dell'Igd, le due principali organizzazioni di studi legale nel settore), ma anche da politici locali e nazionali. Proprio da alcuni di questi (i consiglieri del Prc in regione, provincia e in comune, Mauro Bulgarelli portavoce regionale dei Verdi, il consigliere regionale-comunale del Pdci Bruno Carlo Sabbi e anche la consigliera comunale di San Lazzaro Elisa Sangiorgi, unica diessina) nei giorni scorsi sono arrivati i primi segnali di disponibilità a lavorare sul tema. Un impegno non facile perché nasce nella regione che ambisce a diventare il "modello" di efficienza sulla gestione degli immigrati, l'unica che potrebbe avere addirittura 3 centri di permanenza temporanea (dopo Bologna sarà la volta di Modena e Rimini). Come spiegare che è proprio quella parola "gestione" della libertà individuale ad essere assurda, aberrante e crudele?