da "Il Manifesto"

06 Febbraio 2001

Gli apolidi del vecchio continente

La storia dei rom in Europa in un libro e nell'ultimo numero di "Lettera internazionale"

DANIELE ARCHIBUGI

C' è un modo tanto facile quanto sicuro per perdere le elezioni: schierarsi a difesa dei diritti degli zingari. E' assai più impopolare di quanto lo sia difendere immigrati, prostitute o omosessuali. Solamente i baciapile parrocchiali e gli stalinisti incalliti sono disposti a tutelarli. La popolazione percepisce infatti gli zingari come una costante minaccia da tenere lontana dalle proprie città. Occorre proteggere non solo la proprietà, ma anche i bambini, nella fantasia collettiva sempre a rischio di essere rubati dagli zingari. Basta poco perché gli abitanti di un quartiere organizzino ronde, compiano incursioni, si trasformino in giustizieri. La caccia allo zingaro è sempre stata una attività tipica della destra xenofoba e razzista, ma ha iniziato a fare proseliti anche a sinistra. I più illuminati liberali perdono la testa quando si parla degli zingari, le garanzie della difesa, riconosciute a tutti, criminali di guerra compresi, vengono sospese quando si tratta del popolo rom. Molte amministrazioni comunali progressiste hanno spesso richiesto e ottenuto l'intervento della forza pubblica per irruzioni, sgombri ed espulsioni illegali. Il modo in cui vengono trattati gli zingari in Italia ha attirato censure che certo non giovano alla reputazione di un paese civile: organismi internazionali quali il "Comitato per l'eliminazione delle discriminazioni razziali" delle Nazioni Unite, organizzazioni non governative come l'European Roma Rights Center, prestigiose testate certamente non sovversive come Business Week e l'Economist, hanno denunciato il trattamento riservato ai rom in Italia. Se ne trova una esemplare documentazione nel volumetto Il paese dei campi. La segregazione razziale dei Rom in Italia, curato dall'European Roma Rights Centre (I libri di Carta). Certo, il nostro paese non è l'unico a maltrattare gli zingari. Come si evince dal bellissimo dossier dedicato all'Europa degli zingari pubblicato sull'ultimo numero di "Lettera Internazionale" (n. 65/2001), la storia della loro persecuzione ed emarginazione è solo di poco più breve di quella del popolo ebraico. Generando, come dimostra il filosofo Rajko Djuric nel suo saggio "Dizionario zingaresco", una spirale basata sulla discriminazione a cui segue il nomadismo e si conclude con la segregazione. E, in alcuni casi esemplari, prima tra tutti quello del nazismo, anche il genocidio. Nei confronti di un popolo così maltrattato, è tanto paradossale quanto suggestivo il ragionamento svolto da Günter Grass, che da anni ha scelto di essere il tribuno degli zingari. Secondo lo scrittore tedesco, i rom sono il più autentico e forse unico popolo veramente europeo. "Sono loro - ha scritto lo scrittore tedesco - i veri, naturali abitanti dell'Europa senza frontiere che si tratta di costruire". Proprio perché non hanno mai avuto quello stato-nazione che tutti gli altri popoli europei hanno fortificato con le lacrime e il sangue e che oggi, con le varie carte e costituzioni europee, essi vogliono se non distruggere almeno ridimensionare. Lo zingaro è dunque antesignano del cittadino europeo del terzo millennio. Tuttavia, una domanda resta d'obbligo: come mai è così difficile integrare gli zingari all'interno delle comunità che li ospitano? Solo in Italia, paese tradizionalmente di emigrazione e che solo negli ultimi due decenni è diventato prevalentemente di immigrazione, abbiamo visto arrivare tanti migranti: polacchi, rumeni, marocchini, bengalini, cinesi, filippini. Nessuno di loro si è integrato perfettamente e tutti sono ancora oggi soggette a forti discriminazioni politiche, economiche e sociali. Ma certamente tutte queste comunità si sono integrate meglio degli zingari, nonostante essi siano solamente 100 mila, meno del 2 per mille della popolazione italiana. In alcuni paesi europei, è il caso della Romania e della Macedonia, gli abitanti di origine rom raggiungono quasi il 10% della popolazione. Una percentuale così elevata della popolazione non può sopravvivere di carità e di piccoli furti. E infatti, lì i rom sono una componente del mercato del lavoro, spesso con impieghi occasionali e mal pagati. Nei Balcani, i rom sono discriminati ma non segregati quanto da noi; la loro posizione assomiglia più a quella della comunità afro-americana in Nord America che a quella dei campi in Italia. In molti paesi dell'Est sotto i regimi del socialismo reale fu tentata una strategia di integrazione obiettivamente coraggiosa. Agli zingari venivano riconosciuti diritti e anche imposti doveri di cittadinanza. Casa, scuola e lavoro erano garantiti ma anche obbligatori. Eppure, non sono bastati quarant'anni di regime socialista per conseguire una integrazione soddisfacente e duratura. Anzi, appena caduto il sistema sovietico, abbiamo assistito nella Repubblica ceca, in Romania, in Bulgaria e in altri paesi ad una ripresa dell'intolleranza e delle persecuzioni contro i Rom, con il ritorno all'azione di squadre neo-naziste. Il razzismo contro i rom era stato sepolto, non spento, con la conseguenza che oggi gli zingari sono tra i pochi a rimpiangere il vecchio regime. Per quanto riguarda il nostro paese, non sorprende che le "Raccomandazioni" avanzate dall'European Roma Rights Center, tutte sacrosante, riguardino principalmente diritti che uno stato civile dovrebbe garantire a tutte le persone che si trovano sul proprio territorio: mettere fine alle discriminazioni e alle espulsioni, evitare pestaggi e detenzioni illegittime, risarcire le vittime. Tutto bene, tutto giusto, ma non è qui la soluzione della questione rom. Anche a rispettare rigorosamente questi precetti, come sarebbe già stato nostro dovere, il problema fondamentale degli zingari, quello dell'emarginazione e della discriminazione, continuerebbe a protrarsi senza tregua. La soluzione non può che essere quella già praticata in passato nell'Est europeo: garantire il diritto alla scuola, fornire alloggi, offrire posti di lavoro, addirittura praticare la discriminazione positiva. Non sarà certamente una passeggiata, anche perché i rom sembrano rassegnati e poco interessati a rivendicare i propri diritti. Andras Birò (ne "Il futuro di un popolo", sempre pubblicato sul "Lettera") richiede giustamente una spinta dal basso, ossia una partecipazione attiva dei rom a tutela dei propri diritti, che finora è venuta meno in tutta Europa. C'è addirittura chi paventa il rischio che così si smarrirebbe l'identità di quel popolo. Ma si tratta di un'idea da carta patinata, che spesso ha fatto capolino nella cultura europea. Miguel Cervantes nel Seicento ("La zingarella"), Prosper Mérimée e Charles Bizet nell'Ottocento ("Carmen"), Kusturica e Bregovic ai giorni nostri hanno tramandato un'immagine romantica degli zingari. Che sia tutelata la loro identità culturale, ma che questa non richieda tassi di mortalità infantile e di analfabetismo propri dei più poveri paesi del Terzo mondo! Un paese civile ha il dovere di tentare l'integrazione anche lì dove è difficile. Possiamo addirittura considerare la questione rom come la cartina di tornasole di una società multiculturale: lì dove essi sono rispettati, allora c'è una vera democrazia. Parafrasando Bertold Brecht: prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere i comunisti, e non dissi niente perché non ero un comunista. Poi vennero a prendermi, e non c'era rimasto più nessuno a protestare.