da "Il Manifesto"

01 Febbraio 2001

El Ejido dopo il febrero

L'anno scorso fece da terrificante scenario a un vero e proprio pogrom contro la comunità marocchina. Ma che cosa è diventato oggi questo paese andaluso in cui ci sono 49 banche e una sola libreria? Siamo andati a vedere

LIVIO QUAGLIATA - INVIATO A EL EJIDO (Andalusia-Spagna)

Arrivo a El Ejido che è sera ma sembra notte, un vento teso e freddo fischia tra le palazzine appena intonacate, poca gente in strada, strade uguali, silenziose e senza storia. Eppure una storia c'è tra queste case buie, ho appuntamento con alcune persone che possano cominciare a raccontarmela, mostrarmi ciò che è andato perduto, per sempre, qualcuno che possa dirmi che cosa è successo, qui, dopo...dopo che cosa? - dopo il febrero. Andiamo a chiamare Haziz, lui è uno di quelli rimasti, una rarità. Dobbiamo suonare diverse volte il campanello prima che si decida ad aprire. Dietro la porta di vetro tenuta in piedi dal nastro adesivo si intravede la sua sagoma. Romero lo rassicura, "siamo noi, volevamo vedere il bar", sussurra. Haziz infila la giacca, dice qualcosa alla moglie, esce, si guarda attorno, poche centinaia di metri a passo svelto, senza parlare, e siamo davanti al suo bar. Il rumore metallico della saracinesca che si alza fa lo stesso effetto di un vaso ming andato in mille pezzi durante un furto notturno. Prima del febrero Haziz aveva un bar, sempre qui, sotto questa palazzina di tre piani, al primo abita "la russa", e qui per russa si intende puttana. Durante il febrero - il secondo giorno, la domenica - venne sfasciato, completamente distrutto. Haziz è un marocchino di 46 anni dalla faccia timida, ora abbassa lo sguardo, appoggiato al bancone di piastrelline bianche e blu. I muri sono color giallo pastello, con delle decorazioni azzurre lungo i bordi. Le lattine di aranciata e coca-cola sopra gli scaffali, come piccole piramidi. Ha in mano una cartellina zeppa di fotografie, progetti, timbri dell'ufficio di igiene. Dopo il febrero aveva ricevuto come indennizzo dal Comune 350 mila pesetas, poco più di tre milioni di lire, come dire niente. Alla fine è comunque riuscito a rimettere in piedi il suo bar, ci ha lavorato un anno intero, tutte le domeniche, dalla mattina a notte fonda: "Era molto tempo che volevo ristrutturarlo" dice con il sorriso imbarazzato di chi si è appena accorto di aver fatto una battuta involontaria. Gli altri infatti ridono e gli danno una pacca sulla spalla, ma Haziz continua serio - "Ieri il Comune mi ha detto che non posso aprirlo. I vicini non vogliono, la russa ha fatto girare una petizione, dicono che c'è chiasso, io ho spiegato di aver fatto l'insonorizzazione..." - e allora ritorna il silenzio, e poi si cambia discorso. Basta parlar sempre del febrero. Il problema è prorio come chiamarlo - e qui tutti lo chiamano il febrero: "prima", "durante" e "dopo" il febrero. Il febrero è quella cosa accaduta giusto un anno fa, il 5, il 6 e il 7 del mese di febbraio, a El Ejido, estremo sud di Spagna, 30 chilometri a nord di Almerìa, ieri deserto e oggi California, ieri i sassi e la polvere, oggi il mare di plastica degli invernaderos - ogni anno 3 milioni di tonnellate di frutta e verdura da esportare in tutta Europa. Il 5 cadeva di sabato, e quella mattina un giovane marocchino, un matto, clinicamente matto, uccise una ragazza del paese, Encarnaciòn Lopez, 26 anni. Così, per tre giorni e per tre notti, il paese andò a cercare i marocchini. Tutti. Li cercò con le mazze da baseball, i bastoni e le catene urlando "seguridad, seguridad, vamos a tomar los moros". E li trovò. Andiamo a trovare anche Hassan. Marocchino, 34 anni, dopo il febrero è andato a vivere a Madrid. Stasera è tornato a El Ejido per vedere sua moglie, spagnola, che qui è rimasta. La sera del sabato - il 5 febbraio 2000 - era nel suo bar, aperto da neppure un mese proprio davanti alla sede del Comune: "Erano le sette, ero uscito per andare a comprare il pane al supermarket. Stavo per attraversare il viale principale quando ho visto da lontano non so quanta gente, migliaia. Ho pensato subito che fossero là per l'omicidio. Ho aspettato prima di andarmene, volevo parlare - bisogna sempre parlare con la gente - ma quando si stavano avvicinando sulle loro facce ho visto l'odio. C'era anche il capo della polizia, tranquillo, e per un attimo ci siamo guardati, da lontano. Poi sono subito corso al bar, ho detto ai clienti di andarsene a casa. Io dovevo aspettare mia moglie, aveva detto che sarebbe passata, non sapevo come avvisarla, a casa non rispondeva, doveva essere già uscita. E' arrivata poco dopo, ma ormai quella gente stava arrivando in piazza. Ci siamo chiusi nel bar, con la saracinesca abbassata e siamo rimasti così, al buio, in silenzio. Abbiamo sentito le loro grida, il rumore dei camion. Per ore. Pensavamo che non sarebbero entrati. Poi, verso mezzanotte, hanno cominciato a tirare sassi contro la serranda, e poi hanno cominciato a batterci sopra. Jolanda gridava por favor, por favor. Io ho preso in mano l'estintore e quando sono entrati mi sono difeso con quello. Mi facevano male i polmoni, non vedevo più Jolanda, non vedevo più niente. Gridavo e piangevo come un bambino, dicevo che noi non c'entravamo niente, li supplicavo. Ho sentito solo un colpo forte sulla faccia". Ora, al posto del bar di Hassan, c'è l'O' Brien Irish pub, per eventuali inmigrantes irlandesi. Jolanda la incontro al mattino, in casa, sono dieci anni che è sposata con Hassan. "Allora - mi racconta - tutte le ragazze del paese, anche quelle delle famiglie bene, le famiglie dei grandi fazenderos, facevano la fila per andare con i marocchini. Erano i primi ad arrivare qui per lavorare negli invernaderos, e anche se lavoravano già come degli schiavi avevano il taglio di capelli giusto, portavano i Levi's, insomma erano molto guapi. Poi è cominciato il periodo in cui le ragazze ci andavano, sì, ma di nascosto, si vergognavano a farsi vedere il sabato in discoteca con loro. E poi è venuto il tempo in cui non li hanno più guardati". Dopo il febrero e fino a fine settembre Jolanda non è più andata a lavorare, un fortissimo esaurimento nervoso l'ha costretta a rimanere a casa: "Camminavo per strada e fissavo la gente per vedere se riconoscevo qualcuno, qualcuno che quella notte era nel bar. Sembravo una pazza. Quando sono tornata in fabbrica, a ottobre, tutti mi hanno chiesto come stavo, ma nessuno mi ha più parlato del febrero. C'è una ragazza, non proprio un'amica, una di quelle con cui spesso andavamo in bagno a fumare e a chiacchierare insieme alle altre. Bene, ora non mi parla più, e soprattutto non mi guarda mai negli occhi, mai. Mi chiedo il perché, mi chiedo perché non mi guardi mai negli occhi....". Questo e molto altro è El Ejido dopo il febrero. Tutti sono rimasti al loro posto, ma terribilmente più forti di prima. Il sindaco, Juan Enciso, da più parti indicato come vero e proprio ispiratore del pogrom. Il capo della polizia, Antonio Martìn Dominguez, visto - secondo moltissime testimonianze (anche fotografiche e televisive) - mentre incitava e indirizzava la folla riunita sotto la sede del commissariato. Il proprietario di una delle aziende agricole più grandi del paese, Gabriel Barranco, che il primo giorno del febrero dichiarava a El Pais: "La colpa è di queste associazioni che difendono i delinquenti"; si riferiva a tre piccole associazioni che negli ultimi anni avevano cercato di fronteggiare il razzismo della gente e della amministrazione comunale: vennero completamente distrutte il secondo e terzo giorno del febrero. Tutti al loro posto. Facciamo per dire: il farmacista, il giornalaio, il panettiere, forse quella signora così gentile che vende quaderni e matite nell'unica libreria del paese, le 49 banche per una popolazione di 50 mila persone...Tutti al loro posto, tranne i marocchini. Sono pochi, oggi, quelli rimasti, che hanno visto e possono testimoniare. Del resto le loro denunce non erano servite a nulla. Delle 693 raccolte dagli avvocati di Sos Racisme - giunti sul posto in aprile perché nessun avvocato della provincia era disposto a farsene carico - solo 21 riuscirono a varcare le soglie del tribunale. Non una sola persona si è fatta più di qualche settimana di carcere, a parte l'assassino di Encarnaciòn. Gli arrestati furono 22, 11 spagnoli e altrettanti marocchini: par condicio. Le case "provvisorie" promesse alle circa 500 famiglie marocchine rimaste senza un tetto sono rimaste sulla carta: il sindaco si è giustificato opponendo una petizione firmata da 8500 "cittadini" contrari a che il Comune fornisse i terreni. Gli indennizzi sono stati ridicoli, soprattutto per quelli che avevano un negozio, un bar, una casa, più fortuna hanno avuto quelli a cui avevano sfasciato la macchina o la motocicletta. E un motivo c'è: "Hanno colpito tutto quanto potesse dire integrazione, stare insieme, ritrovarsi dopo 12 ore di lavoro da schiavi. Ad andare via per prime sono state le famiglie con i bambini. Gli schiavi - ci dice Mustafà - devono stare soli, lavorare e basta. E per vivere si accontentino delle baracche perse in mezzo agli invernaderos. Che non si facciano vedere". Anche lui per tanti anni ha lavorato in quei campi, fino a quando un trattore gli ha spezzato le gambe. Ora vive con 4 figli e una pensione di invalidità di 49 mila pesetas al mese, mezzo milione di lire, da allora si dà da fare per aiutare i suoi concittadini a raccogliere documenti per i permessi di lavoro, ad ascoltare le loro storie. Un giorno sì e uno a no a casa sua arriva una telefonata, e sono sempre minacce di morte: "A chi lo dico, alla polizia?". I marocchini che erano qui durante il febrero sono andati quasi tutti via, al loro posto ne sono arrivati altri. Come gli altri quelli di oggi guadagnano 4000/4200 pesetas al giorno (meno di 40mila lire), dormono nelle baracche ricostruite dopo gli incendi, oppure dentro le centraline elettriche perse nei campi: sono "meno visibili". Raramente vanno in paese, e quando ci vanno mai da soli, e mai di notte: massimo alle dieci si rientra in casa, o in baracca. Difficilmente entrano in un bar, e quando ci entrano vengono cacciati o - solo per loro - le consumazioni costano esattamente il doppio. Provare per credere: per una una birra noi paghiamo 250 pesetas, loro - stesso bar - 500. La polizia - raddoppiati gli uomini nel giro di un anno, unificata Guardia civil e Guardia national, formata una nuova squadra a disposizione del sindaco - gira in macchina, in jeep e a cavallo, ferma, maltratta, minaccia: in soli tre giorni abbiamo assistito a due episodi di questo tipo. Tutto questo "es normal", "aquì no pasa nada", non si può fare nulla, se non aspettare un papele e cercare di andarsene. Presto. Dopo il febrero, il terzo giorno, i marocchini organizzarono uno sciopero, per una settimana pochissimi andarono a lavorare, si stima che le aziende persero circa 9 milioni di euro al giorno. Non fu facile organizzare questi 6-7 mila lavoratori senza diritti sparsi su 32 mila ettari di invernaderos. Più di 40 i marocchini arrestati mentre facevano i picchetti. Eppure lo sciopero riuscì. E qualcuno, oggi, di notte, in un momento di ritrovato orgoglio, accanto a un fuoco acceso dentro la baracca di plastica e cartone, racconta al visitatore straniero di quando, a febrero, i marocchini fecero la loro prima e ultima "huelga".