da "Il Manifesto"

30 Gennaio 2001

Tutti o niente

SIN PAPELES
No alle proposte del governo

LIVIO QUAGLIATA - INVIATO A BARCELLONA

"Anch'io applico la legge, ci mancherebbe, solo che la mia è la legge del Vangelo". Prima di lasciare Barcellona e Santa Maria del Pi - dove da ormai dieci giorni circa 300 immigrati sono in sciopero della fame contro la nuova Ley Extrangerìa - salutiamo un ospite prezioso, l'anziano rector di questa chiesa gotica persa nei vicoli della Rambla. Monsignor Josep Vidal ha 79 anni suonati, e in tutti questi giorni ha messo a disposizione la "sua" parrocchia perché gli immigrati potessero sentirsi protetti durante la loro protesta: "Non è la mia, è di chiunque ne abbia bisogno. Almeno io la vedo così". La chiesa, invece, è sempre rimasta aperta ai fedeli per le funzioni religiose. Gli immigrati e le associazioni che li sostengono la usano solo una volta al giorno, quando c'è da riunirsi in assemblea per decidere se continuare la lucha oppure no. Decisiva quella che si è svolta domenica. Più di 600 persone giunte anche dalle altre 5 chiese occupate della città - cappellini di cartone bianchi e rossi gli scioperanti, ciascuno con la propria nazionalità, e poi turbanti, coperte, sciarpe di lana per difendersi dal freddo e dal mal di testa - hanno votato un documento che ancora ieri sera non avevano finito di tradurre nelle sei lingue ufficiali della protesta: spagnolo, inglese, francese, inglese, arabo e wolof. La decisione presa - ci dice al telefono Norma Falconi, l'ecuadoregna portavoce dello sciopero - è tanto battagliera quanto pericolosa: "Andiamo avanti, rigettiamo le proposte del governo, chiediamo un incontro ufficiale. I nostri compagni smetteranno di digiunare solo quando avranno il permesso di residenza e di lavoro tutte le persone la cui domanda di regolarizzazione è stata rigettata". Insomma, papeles para todos, hasta la muerte, fino alla morte. Le domande di regolarizzazione respinte dall'ultima sanatoria erano state circa 80 mila (in stragrande maggioranza quelle presentate da cittadini marocchini), il governo - tra una smentita e l'altra - era arrivato a proporre la revisione di circa 60 mila. La decisione è stata accolta con molta preoccupazione dai volontari della Croce rossa che occupano la piccolissima infermeria di Santa Maria del Pi. Ancora giovedì, sesto giorno di sciopero della fame, uno dei medici indiani che più si è dato da fare per assistere i ragazzi diceva che "molti di loro non possono sopportare ancora a lungo una protesta di questo tipo, presentano uno stato di debolezza fisica allarmante". Prima di andarcene cerchiamo alcune delle persone che avevamo incontrato nei primi giorni di sciopero. Erano già provate, ma ancora in grado di parlare, di alzarsi, di leggere, di scrivere. Ora invece se ne stanno rannicchiate sotto le coperte, i visi smunti, gli occhi cerchiati, incapaci di alzare una mano in gesto di saluto. Fuori da Santa Maria del Pi fino a tarda notte c'è sempre gente. Molti sono i familiari degli scioperanti, donne con bambini venute a trovare i loro familiari: "Non so se faccio bene o male a fare entrare anche mio figlio, è ancora piccolo, non voglio che veda suo padre così", mi dice una signora pachistana. Lei lavora nelle cucine di un ristorante, suo marito fa il lavapiatti: "Lavora in nero, certo, ma lavora. Non abbiamo capito perché ci hanno rifiutato il permesso". Elvira Posada, portavoce per il Collegio degli avvocati di Barcellona, di storie simili ne ha raccolte centinaia. Due giorni fa ha firmato un documento in cui dava del "bugiado" al governo: "Sì, il governo spagnolo mente in modo vergognoso quando dice che non può regolarizzare gli immigrati in ossequio al trattato di Schengen. Schengen non si occupa di queste questioni. Semmai è la stessa Ley de Extrangerìa che prevede la possibilità di regolarizzare gli immigrati per cause eccezionali o motivi umanitari. A lei non pare che queste due condizioni sussistano in questo momento?".