da "Il Manifesto"

26 Gennaio 2001

Disperata Barcellona

Da sabato scorso 400 immigrati in sciopero della fame occupano la chiesa di Santa Maria del Pi, nella capitale catalana, contro la "Ley de estranjeria". Parla Manuel Vazquez Montalban, penna di Barcellona: "Globalizzati contro globalizzatori, ecco la lotta"

LIVIO QUAGLIATA - INVIATO A BARCELLONA

Manolo, così lo chiama la segretaria, arriva un po' in ritardo negli uffici della Agencia Literaria Carmen Balcells. In perfetto italiano chiede notizie: se Berlusconi vincerà, se il manifesto sopravviverà, e poi lumi su alcuni "miti erotici" della sua gioventù. In realtà è informatissimo su tutto, Manuel Vazquez Montalban, icona catalana della letteratura, colore resistente di una sinistra che in Europa ha cominciato a stingere e a dimenticare molto tempo fa. In una chiesa poco lontana da qui, quasi 400 uomini si rifiutano di mangiare da ormai sei giorni. Chiedono nient'altro che un pezzo di carta. Dicono di essere disposti a morire. La vita appesa a un foglio, a un "papel". Questa è la situazione. Signor Montalban, non le sembra surreale? Surreale? No, al contrario, tutto questo mi sembra iperreale, è la più diretta conseguenza di ciò che vuole dire concretamente la strategia in atto che divide il mondo tra globalizzatori e globalizzati. Per questi ultimi l'Europa intera è diventata l'America, come in quel film italiano di qualche anno fa. Sono persone da sfruttare, da sfruttare nei paesi in cui sono nati e cresciuti, e da sfruttare qui. Non devono avere garanzie, né diritti di alcun genere. Questo sta scritto nell'attuale strategia dei globalizzatori. Lei parla di globalizzatori e globalizzati. Non sarebbe più facile parlare di ricchi e poveri? No, credo sia più corretto parlare esattamente di globalizzatori e globalizzati. Sono parole che corrispondono maggiormente alla fase attuale. Se vuole, però, possiamo dire che queste persone sono gli schiavi moderni. Non accade spesso - almeno non quanto si potrebbe supporre - che i globalizzati dicano basta. La battaglia, piccola e confinata che alcune persone stanno conducendo qui a Barcellona le dà più motivi di speranza o di disperazione per l'isolamento in cui si muove? Beh, sa, di motivi per essere disperati, letteralmente senza speranza, ce ne sono molti, direi troppi per non sforzarsi di vedere anche in battaglie come queste un piccolo segnale. Certo, si tratta di una forma di ribellione iniziale, una volta si sarebbe detto primitiva. Ma ogni cosa comincia così, ogni epoca ha i suoi piccoli e grandi soggetti che possono fare alcuni pezzi di storia, persone in carne ed ossa che sono diventate soggetti di un cambiamento politico. Anche il movimento operaio è nato così, senza molta organizzazione, in modo spontaneo e urgente. Certo, una volta - se mi consente il termine - era più facile, c'erano luoghi fisici come la fabbrica in cui le persone potevano vedersi ogni giorno, parlare, confrontarsi. Oggi quali sono i luoghi fisici in cui questa gente possa unire i propri destini. I campi degli stagionali? I sottoscala dei ristoranti? Piccoli cantieri sparsi nelle città? Per loro credo che sarà tutto più difficile, ma che si cominci mi sembra già un buon segnale. Spagna e Italia. Per anni i nostri paesi hanno esportato braccia per lavorare. Poi che cosa ci è accaduto, siamo solo diventati più ricchi? Sì, siamo tutti come nuovi ricchi, e siamo diventati abbastanza terribili. Ma io credo che un altro elemento sia centrale per capire che cosa ci è successo, ed è la perdita del ruolo della memoria. Gli anni in cui gli spagnoli o gli italiani emigravano erano anni per loro molto difficili, non fortunati, questo ha una forza psicologica molto forte. Si vuol dimenticare, c'è una volontà potente che ci spinge a farlo. Gli immigrati di oggi ci ricordano troppo un passato che non vogliamo ricordare. Del resto il razzismo dei poveri o degli ex poveri è sempre stato il più crudele. Qui in Spagna il nemico principale contro cui poter esprimere il proprio razzismo sono sempre stati gli zingari. E i più razzisti nei confronti degli zingari sono sempre stati i più poveri. Come per poter fondare una gerarchia nella povertà: io sono povero, tu lo sei più di me. Io sto sotto molti altri, tu stai più sotto di me. La regione di Almeria, nel sud, dove l'anno scorso si è aperta una terribile caccia "a los moros", è stata fino a pochi anni fa la regione più povera del paese, quella da cui tantissimi sono fuggiti per sopravvivere. Oggi ha scoperto le tecnologie per le coltivazioni intensive... Torniamo a Barcellona, la sua città. Molti dicono che qui tutto è cambiato con le Olimpiadi del '92. Lei è d'accordo con questa lettura? Ma sa, le ragioni e le strategie economiche non sono decise da una Olimpiade. Però è senza dubbio vero che nell'immaginario quel fatto ha voluto dire molto, possiamo parlare di un prima e di un dopo. Prima Barcellona era una città composta da una borghesia molto potente, architettonicamente squadrata, ma anche una città molto meticcia. Ora tutto questo è letteralmente sparito, nel corso di pochissimi anni. E' come se fosse stata compiuta una immensa opera di disinfezione. Prima era una città scorretta. Altamente scorretta. Ora è una città molto, molto corretta. Di notte, per le strade, c'è un nuovo gioco. Alcuni ragazzi vestiti come diavoli si nascondono in un vicolo per poi saltare accanto al primo che passa e fargli "buh!". Buh? Solo buh? Sì, per spaventarli un po'. Le altre persone guardano, ridono e danno una monetina. Non lo sapevo, insomma una specie di spettacolino di strada, notturno. Esatto. Era solo un'immagine per un'altra domanda. Di che cosa oggi dobbiamo avere paura? Ancora del diavolo? No, del diavolo no. Io credo che dobbiamo avere paura dello Sviluppo, quello con la S maiuscola, quello senza controllo sociale, che non tiene conto dell'ambiente in cui viviamo. E questo da un punto di vista, diciamo così, oggettivo. Da un punto di vista più soggettivo, invece, credo che bisogna avere paura - io almeno ne ho - della perdita generale di una coscienza critica. Questo è ciò che oggi ci manca irrimediabilmente. Una coscienza critica, quella per cui sia possibile pensare di poter cambiare il mondo e non di doversi attenere sempre a quello presente credendo di poterlo modificare un pochettino. A livello politico le destre hanno introdotto il sentimento della paura sul mercato elettorale, e lo hanno fatto avendone un'idea ben chiara, precisa. Le sinistre, invece, hanno cominciato a muoversi nella più totale incertezza. Anch'io sono per l'elogio del dubbio, ma qui si è andati oltre, fino al punto di non sapere dire qual è una lettura del mondo "di sinistra". In questo quadro il discredito delle sinistre diventa totale, mentre le destre possono andare fiere del fatto che finalmente sono riuscite a costruire una storia senza colpevoli. Credo che questa sia la responsabilità maggiore che hanno avuto i governi di sinistra che hanno guidato la Spagna negli anni passati e oggi l'Italia. Sono delle sinistre possibiliste, certo, riformiste, capisco perfettamente che debbono stare alle regole del gioco. Ma avrebbero potuto formare una coscienza critica dei cittadini. Non lo hanno fatto. E della "vaca loca", lei ha paura? No, niente affatto, a me le vacche non hanno mai fatto paura. I politici, quelli sì. I politici e chi con loro ha ordito una cospirazione ai danni di coloro che essi stessi hanno creato: i consumatori. Politici, scienziati, venditori, per dieci anni hanno messo in atto una vera e propria cospirazione per interessi economici, semplicemente per fare più soldi. Hanno fatto tutto questo in piena luce, sotto un sole democratico. E hanno potuto farlo perché - io credo - la nostra è una dittatura democratica.