da "Il Manifesto"

18 Gennaio 2001

Tra quei palazzoni, i sinti

G. BOU. - ROMA

Via Nono è una strada tranquilla, in fondo alla via Prenestina, periferia est della capitale. Qui vivono una settantina di sinti, da dieci anni su uno spiazzo circondato da case e palazzi. E' un campo piccolo, per poche famiglie, come dovrebbe essere ovunque, per i rom e sinti ormai sedentari in Italia. All'ingresso c'è un cancello e, come sempre, ci accolgono i bambini. Sorridono e raccontano che stanno preparando una recita. C'è, infatti, un grande pannello, composto da disegni colorati e poesie che i piccoli hanno scritto in sinto e in italiano e attaccato con l'aiuto delle suore. Tutto è pronto, montato sulla ghiaia, vicino alle roulottes, che qui chiamano campine. Saranno una trentina, tutte bianche, alcune con la veranda, il bucato sugli stendibiancheria e gli attrezzi del lavoro appoggiati fuori. Molti, qui, vanno ancora per mercati. Vendono centrini, fiori o robavecchia. Poi, d'estate, fanno i giostrai, come la maggior parte dei sinti in Italia. Per loro è mestiere antichissimo. Un tempo giravano le fiere con gli orsi e i cavalli, adesso gli restano le giostre, tirassegni e calci in culo, e vanno per le feste di paese, da maggio a settembre. Aldo è qui da almeno dieci anni. Lui ne avrà quaranta. E' figlio di una rom e un italiano che lo ha lasciato piccolissimo ma adesso è tornato e vive con lui: "Si chiama De Luca - scherza - e presto mi darà il suo cognome, così cambio Hudorovic e divento più italiano". Poi ricorda: "Ci siamo fermati qui un'estate. Adesso i nostri figli vanno a scuola. Noi lavoriamo. Abbiamo ottimi rapporti con il quartiere. La gente ci conosce e ci difende. Quando il comune voleva mandarci via abbiamo fatto ricorso al Tar e al Tribunale per i diritti umani, e abbiamo vinto. Anche quello della villa lì davanti teneva per noi. Prima eravamo abusivi, ma due anni fa è arrivata la ghiaia. Poi la rete intorno e la luce, che paghiamo regolarmente. L'unica cosa che ci manca è l'acqua, ed è per questo che ci sono solo i bagni chimici". In effetti l'acqua, in via Nono, non c'è ancora. E non si capisce perché. Chi ci abita ha la cittadinanza italiana e la residenza qui. Ma, spiega Mina, "l'acqua dobbiamo andarla a prendere a piedi, a un chilometro, con le taniche sulle carrozzine, per lavarci, cucinare e fare il bucato. E' faticosissimo, per la schiena, per il peso". In realtà l'attacco dell'acqua è stato fatto. E' all'ingresso del campo, ma nessuno lo allaccia. "Basterebbe un'ora - si lamenta Aldo sconsolato - e invece ci lasciano in sospeso. Pure il civico abbiamo, ma l'acqua non vogliono darcela". Annuiscono anche le due suore francescane che nel campo abitano da un anno. Anche loro in una campina, davanti all'ingresso. In un'altra, vicino, hanno allestito la chiesetta: con due panche e il crocifisso, dove, al posto di Gesù, c'è un piccolo paiolo di rame.