da "Il Manifesto"

17 Gennaio 2001

Via Corelli, 10 passi avanti, 10 indietro

Viaggio di ritorno nel centro di detenzione milanese. Chiuso perché "inumano", poi riaperto. Ecco come Chi c'è dietro le gabbie Un kosovaro in Italia da 20 anni. Una sudamericana che accudiva un anziano. Un rumeno che faceva l'infermiere. Una marocchina madre di due figli...

LUCA FAZIO - MILANO

Ancora qualche sacco della spazzatura e poi il turno finisce. Quando si tolgono l'impeccabile divisa da lavoro sembrano cinque indiani qualsiasi che se la sono cavata con un mesetto di prigione. Invece no. Attraversano il piazzale rannicchiati nelle spalle e poi suonano al tecnologico posto di guardia blindato. Sono liberi. Si capisce però che il lavoro non deve essere una festa per gli indiani della cooperativa che pulisce la nuova prigione per stranieri in attesa di espulsione di via Corelli. Là dentro, gli altri, stanno male? Gli addetti sorridono di paura, meglio non parlare sotto gli sguardi muti dei poliziotti. Non un rumore, solo il fruscìo della tangenziale e di qualche uccellino che svolazza su una parvenza di giardinetto. Sembrava un lager, dicevano in tanti. Venne chiuso, e "ristrutturato". Ora sembra una clinica psichiatrica camuffata da bunker, o viceversa. Luci da stadio e telecamere. Si potrebbe ficcare il naso nella spazzatura dei prigionieri per cercare di capire come se la passano, perché anche questa volta (l'ennesima) l'ingresso è vietato ai giornalisti. Le autorità dicono che la delegazione è una cosa - ieri ci hanno provato quelli del Partito Umanista a riportare l'attenzione su questo carcere modello cui hanno assegnato perfino il numero civico: via Corelli 32/34 - ma la stampa un'altra. Il funzionario della prefettura, dott. Aversa (sempre lui) è inflessibile: "La volontà di un ospite di parlare con la stampa la decidiamo noi". Il capitano della Croce Rossa, Cappelletti (sempre lui), è gentile come un maitre ma "non è autorizzato a rilasciare dichiarazioni". La Prefettura spiegherà poi che è solo questione di corrette procedure per poter accedere alla struttura. Obbediamo. E' sufficiente anche una breve, sorvegliatissima, passeggiata intorno al grande blocco di cemento che "ospita" circa un centinaio di persone, color giallo Lombardia e con le sbarre alle finestre. Tra un blocco e l'altro un cortile quadrato buono appena per dieci passi avanti e dieci indietro. Impossibile avvicinarsi: tra il blocco e il perimetro c'è uno spazio vuoto ingabbiato da sbarre alte oltre quattro metri. Gli Umanisti, con il segretario Giorgio Schultze in testa, ben consapevole che oggi è complicato anche solo tentare un piccolo presidio per tornare a dire che un posto così va chiuso comunque, escono dopo un'ora. Qualcuno col groppo in gola. Non aveva mai visto. Solite storie. Appunti. Un piccolo campionario che ben rappresenta tutto quello che "abbiamo fatto e stiamo facendo" - come raccontano i leader dell'Ulivo in tv - contro l'immigrazione clandestina". C'è Yon, rumeno. E' stato arrestato lunedì. Faceva l'infermiere e curava un diabetico grave a Cinisello Balsamo, lo hanno convocato giorni fa in questura, gli hanno fatto una foto e preso le impronte digitali. Comunque è fiducioso, come se si trattasse di un brutto sogno: un amico, dice, verrà presto a tirarlo fuori. Mensur dice che è kosovaro e bisogna credergli anche se parla un italiano perfetto: sta in Italia da 22 anni e ha una compagna italiana. Che ci fa in via Corelli? Non ha rinnovato il permesso di soggiorno. Oljaca è bosniaco, non un pittore affermato, ma comunque lavorava con partita Iva. Un delinquente? Eccolo, Mustaphà, palestinese con alle spalle otto mesi di carcere per spaccio e una richiesta che non fa una grinza: "Il mio reato l'ho già scontato, perché non mi mandano a casa subito invece di farmi fare un altro mese?". Sahra, marocchina: mentre rosolava brochettes al mercato di San Donato milanese è coinvolta in una rissa con vigili e polizia. E' successo domenica scorsa, i giornali hanno scritto che lei avrebbe picchiato un poliziotto. Ha due figli e non sa dove sono, uno di 8 e uno di 2, "che senza la mamma non riesce a dormire la notte". C'è poi una sudamericana, in Italia da 5 anni, fino a pochi giorni fa assisteva un anziano. Le è costata cara una visita a un'amica di Varese: è rimasta a dormire la notte in un albergo di Legnano ma l'albergatore ha fatto la spia. Senza permesso di soggiorno, polizia, via Corelli. Nessuno di loro, almeno questa è la sensazione di chi ieri con loro ha parlato, ha la ben che minima percezione di quali siano i propri diritti, di come si contattano gli avvocati d'ufficio. Sanno però (è il passaparola) che qualche giudice ha sollevato dubbi di costituzionalità sulle disposizioni della legge che consentono la loro reclusione. Ma non sanno che in Tribunale l'aria è già cambiata. Appena fuori da via Corelli, sul cavalcavia dove due anni fa terminò una grande manifestazione antirazzista che chiedeva la chisura del "lager", il faccione del candidato Rutelli annuncia la sua "scesa in campo" con un maxi manifesto che guarda nel vuoto: "La sicurezza è un diritto di tutti. Garantirla è mio dovere".