Migrazioni: dai fatti alle parole
Belle parole, migliori propositi. Ma per gli immigrati la vita in Italia è sempre molto dura
 

ENRICO PUGLIESE

da "Il Manifesto" del 25 Febbraio 2000

E' davvero difficile valutare cosa stia succedendo nel campo dell'immigrazione. Da una parte si ascoltano benevole dichiarazioni di alte cariche dello stato o di esponenti del padronato. Dall'altra, se si osserva da vicino la vita quotidiana degli immigrati, emerge un quadro di una durezza impressionante. Ci sono, ormai, persone residenti da dieci o quindici anni, che hanno difficoltà a far venire la famiglia; ragazzi che qui sono diventati maggiorenni; gente che è passata attraverso le forche caudine delle questure e ora ha un permesso di soggiorno per un lungo periodo, ma anche gente che ha un permesso di soggiorno per un periodo breve e non ha il coraggio di allontanarsi dall'Italia; gente che continua ad avere difficoltà di accesso ai servizi sanitari (nonostante la legge in vigore presenti proprio su questo tema uno dei punti più dignitosi). E ci sono immigrati regolari che non riescono a cambiare il tipo di permesso di soggiorno, perché, entrati da studenti, hanno cominciato a lavorare e vorrebbero non farlo al nero; ragazzi, infine, arrivati chissà come, che si trovano sempre sull'orlo della deportazione. Poi ci sono gli ultimi arrivati: quelli che trovano inenarrabili difficoltà nel tentativo di regolarizzare la propria posizione, pur avendone pieno diritto, e che sono costretti a rivolgersi a spicciafaccende intrallazzati con le locali istituzioni. Il numero delle persone in bilico è pari a 100-200 mila unità, e tutti hanno una pessima collocazione nell'immaginario collettivo perché "clandestini", nonostante siano persone che credono alle leggi dello stato italiano e che in questa prospettiva hanno fatto domanda di regolarizzazione. L'immigrazione è aumentata nelle nostre strade ma soprattutto nelle nostre scuole, campi e officine; è aumentata nell'utenza dei servizi sanitari, come nelle nostre galere: anzi, sono le galere ad essere aumentate, essendo state create quelle specifiche per immigrati. Eppure si ha l'impressione che la sindrome da invasione sia in calo. Sono finiti i tempi in cui Gasparri comunicava l'esistenza di 4 milioni di immigrati, e quelli del più moderato Fassino che ne sparava 1 milone in Tv mentre la Caritas stimava fossero 300mila. Se non altro, ora più o meno sappiamo quanti sono gli immigrati. Purtroppo, però, alla sindrome da invasione si è sostituita un'altra e più contraddittoria ideologia: quella della suddivisone degli immigrati in buoni e cattivi. Tutti ricorderanno l'on. Scalfaro suddividere gli immigrati tra regolari - "che vengono qui per lavorare" - e clandestini - "che vengono qui per delinquere". Che poi oltre l'80% degli immigrati abbia necessariamente vissuto una fase di clandestinità o irregolarità sfuggiva all'allora presidente. E, purtroppo, non solo a lui. Ora l'attuale prima carica dello stato esprime un orientamento sicuramente e, suppongo, sinceramente più aperto. Ma non per questo del tutto rassicurante. Qualche settimana addietro - cito a memoria - il presidente Ciampi ha detto che criminali non sono gli immigrati clandestini ma quelli che li portano. Frase a primo acchito condivisibile, ma in realtà espressione di una visione falsata della realtà. Se ho ben ascoltato, il presidente ha detto "li portano", non ha detto "li trasportano". Sembra una distinzione da nulla, ma è abissale. Il trasportare si riferisce al fornire un servizio - illegale, a volte gestito da criminali - a persone che hanno comunque un autonomo progetto. Esse comprano un servizio e cercano di andare dove hanno comunque pensato di andare. Chi porta gli immigrati, invece, traffica in immigrati: li recluta, li avvia a datori di lavoro senza scrupoli, ne ha il controllo, giacchè essi non sanno dove andare, e magari li invoglia a partire. In questa immagine tutto si tiene: il reclutatore criminale, il datore di lavoro senza scrupoli, la passività degli immigrati, l'immigrazione illegale come pratica che esiste in quanto organizzata da questi figuri. Ed essa è ben piazzata nell'immaginario collettivo, soprattutto nella mente di chi si crede di sinistra ed è informato dal Tg3. Solo che l'immagine è falsa. I reclutatori-trasportatori-commercianti di forza lavoro, in realtà non esistono. O meglio: non esistono come categoria unica o come categoria integrata. Mi risulta anche che il ruolo di "reclutatore", in particolare, proprio non esista nella immigrazione da lavoro, almeno stando a quello che mi hanno detto le centinaia di immigrati e esperti con i quali ho parlato negli ultimi anni. Ma se il nesso reclutatore-scafista-padrone-senza scrupoli che sfrutta gli immigrati al nero esiste solo nell'immaginario collettivo (o in ricerche lautamente finanziate), su scala molto più ridotta esistono le vere organizzazioni criminali che operano nel campo dello sfruttamento sessuale degli stranieri, in genere di povere ragazze portate con il consenso esplicito, ma più frequentemente con l'inganno o la violenza. Questi rackets non hanno nulla a che fare con il lavoro nero in Puglia o in Campania o con lo sfruttamento degli edili albanesi nella Val d'Elsa o nella Val d'Era. Questo tipo di sfruttamento c'è, e assorbe allegramente mano d'opera straniera e italiana a pieno ritmo perché non c'è nessuna voglia di reprimere (proteggendo i lavoratori) il sistema del lavoro nero. Non a caso ci hanno insegnato per anni che "informale è bello". Mettere sullo stesso piano e confondere lo scafista con l'organizzatore di traffico della prostituzione non aiuta a lottare contro il traffico della prostituzione. Mettere sullo stesso piano l'odioso imprenditore che non paga gli operai immigrati e li ricatta con il criminale che organizza lo spaccio di droga è pericoloso e fuorviante. Non tutti i personaggi odiosi partecipano degli stessi delitti. Ho l'impressione che anche chi finisce nella piccola criminalità e nella devianza in generale non ci finisce per colpa di una organizzazione criminale che lo avrebbe portato qui, ma per problemi suoi, oltre che per le difficili condizioni della immigrazione italiana: è l'effetto della abissale differenza tra dichiarazioni di principio e politiche sociali nei confronti degli immigrati. Infine. Uno dei temi che caratterizza i vaniloqui sugli immigrati è quello relativa alla cittadinanza. Non si tratta naturalmente dell'accesso alla cittadinanza giuridica. Su questo è meglio tacere: acquisire la cittadinanza italiana tranne che per matrimonio è ancora in larga misura impossibile.La chiacchiera istituzionale riguarda la cittadinanza in senso più generale, cioé l'accesso ai diritti sociali di cittadinanza, cioè a quei benefici propri di un paese sviluppato.In Italia è difficile - tranne che in qualche enclave leghista o fascista - trovare chi a parole sia contrario a questa prospettiva. E si sentiranno negli infiniti convegni, da parte di esponenti governativi e paragovernativi, più o meno dotti sermoni sulla cittadinanza, sui nuovi diritti, sull'estensione dei diritti di cittadinanza, sull'estensione del concetto stesso di cittadinanza. Tutto ciò ovviamente a patto che il riferimento a persone o cose realmente esistenti, cioè agli immigrati in carne e ossa della cui dura vita si è appena parlato, sia del tutto casuale. La cittadinanza sta nelle parole, i centri di detenzione nella pratica.