I sindacati contro la legge Bossi-Fini
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lavoratori immigrati scendono in piazza, a Roma, insieme ai confederali. Inferiore alle aspettative la partecipazione. Dal palco parlano i segretari generali di Cgil e Cisl. Epifani: «I diritti non hanno colore, la legge va cancellata»

CINZIA GUBBINI
SARA MENAFRA

I tamburi battono mentre i camion pompano musica araba o latinoamericana. I lavoratori immigrati sono scesi di nuovo in piazza ieri, a Roma: stavolta con Cgil, Cisl e Uil che hanno voluto una manifestazione nazionale in occasione della giornata internazionale del migrante. Un modo per dire no alla Bossi-Fini e per denunciare la morsa in cui è finito quel 4% di popolazione italiana che va sotto il nome di «immigrati». «I diritti non hanno colore» dirà Guglielmo Epifani, mentre il corteo scende dal Pincio e arriva con il contagocce a piazza del Popolo. Qualche italiano si è presentato alla manifestazione, raramente sono colleghi di fabbrica, e a parte qualche «pensionato Uil» più preoccupato per la riforma delle pensioni, si tratta soprattutto di persone impegnate sul fronte della difesa dei diritti degli immigrati. Tra i quali si vede di tutto: dai marocchini di Siracusa che cantano i loro slogan in arabo, ai bambini nati in Italia, agli studenti universitari, insieme a uomini e donne diventati dirigenti sindacali o politici che possono raccontarti com'era l'Italia 20 anni fa. E' fuor di dubbio che la decisione dei confederali di dire qualcosa insieme sul tema dell'immigrazione è di straordinaria importanza dal punto di vista politico, ma sono molti, in piazza, quelli che sospirano per l'«occasione mancata»: una manifestazione unitaria dei movimenti e dei confederali anche nelle differenze, come sintetizza l'europarlamentare Luisa Morgantini. Tanto più che i numeri di ieri hanno deluso le aspettative: quando dal palco qualcuno annuncia «80 mila» presenze, i sorrisi si sprecano. Qualche quadro intermedio sussurra che il problema dei lavoratori immigrati non ha ancora permeato a fondo la cultura del sindacato. Qualcun altro osserva che si sono spese poche risorse per far parlare della manifestazione. Ma soprattutto c'è la brutta divisione con la manifestazione del 4 dicembre, quella autorganizzata dagli immigrati. Una divisione che non deriva soltanto dall'idiosincrasia di Cisl e Uil per i movimenti. Basta guardare i volantini con la piattaforma «ufficiale» («nuove norme sui diritti e sulle responsabilità, per una politica vera di accoglienza e integrazione, con mezzi e strumenti adeguati che valorizzino la risorsa immigrazione») e quello della Fiom («per la piena libertà di circolazione, per la chiusura immediata dei cpt, no alla logica regolarità/irregolarità») per capire che a sinistra bisogna ancora lavorare per costruire un orizzonte comune sull'immigrazione.

E tuttavia l'investimento politico c'è stato: dal palco parlano due segretari generali, Pezzotta e Epifani, oltre al segretario confederale Loy. Pezzotta si sbraccia più di tutti. Parla esplicitamente del «superamento dei Cpt», di «manifesti che parlino di quante persone si sono integrate e non di quante sono state respinte alla frontiera». Epifani (Cgil) dice che la legge Bossi Fini «va completamente cancellata» e che «bisogna arrivare a un punto in cui i migranti non siano considerati solo `utili' ma persone dotate di dignità». Il più timido di tutti è Guglielmo Loy della Uil che sui permessi di soggiorno di 12 mesi, prima croce della stragrande maggioranza dei partecipanti, si lascia sfuggire: «Basterebbe una piccola modifica della legge, e invece il governo non la fa». Significativo l'intervento dell'Anci, che ha aderito alla manifestazione, il cui rappresentante Fabio Sturani, sindaco di Ancona, sale sul palco per dichiarare la disponibilità anche economica dei comuni italiani a lavorare per l'integrazione.

Piero Fassino, segretario dei Ds, parla di «grande successo della manifestazione» e di «politica fallimentare del governo». Piero Soldini, responsabile immigrazione della Cgil, segna la manifestazione di ieri nel firmamento delle tre manifestazioni sindacali che hanno cambiato la politica dell'immigrazione: «Quella dell'89 che influenzò l'approvazione della legge Martelli, quella del '95 che strappò la sanatoria del governo Dini». E quella di ieri? «Per influenzare la politica di domani, con questo governo l'interlocuzione non esiste. Per dire che la Bossi-Fini va cancellata e che va superata la Turco-Napolitano. Permettendo alla gente di venire in Italia regolarmente per cercare lavoro e facendo dei cpt centri di accoglienza in contatto con il territorio». «Contro la Bossi-Fini sciopero generale», dice lo striscione degli immigrati Cgil di Brescia.

Intanto lungo il corteo si possono raccogliere storie di tutti i tipi, storie di chiunque, se non fosse per quel maledetto permesso di soggiorno che fa la differenza, e grande. Arden, albanese, in Italia da 15 anni, in piazza ha portato tutta la famiglia: moglie e tre figli. Dice: «Io non capisco, se lavoro e pago le tasse, perché l'aiuto per chi ha tre figli minori va solo nelle tasche degli italiani?». Per loro, gli immigrati, la legge 30 sul lavoro e la crisi economica significano una precarietà più profonda, il rischio di perdere tutto da un momento all'altro. «E non venissero a dirci che gli immigrati fanno abbassare il prezzo della manodopera - dice Haziz Abdel, da 25 anni in Italia e delegato sindacale per la Cgil a Milano - il costo della manodopera immigrata si abbassa quando bisogna lavorare al nero perché uno non ha il permesso di soggiorno. E con la Bossi-Fini tantissima gente sta diventando clandestina. Purtroppo i lavoratori italiani hanno poche informazioni». «Io rimango in Italia solo per mio marito, che è italiano - dice Shan, una ragazza cinese di Alessandria - per avere la cittadinanza ho dovuto aspettare tre anni. E sono stati terribili».