ERO STRANIERO E MI AVETE ACCOLTO:
I MOTI DELLE BANLIEUE FRANCESI

di Sara Gioia

Il 27 Ottobre 2005, un gruppo di 10 studenti di scuola superiore sta giocando a pallone nel sobborgo parigino di Clichy-sous-Bois. All’avvicinarsi della polizia francese per un controllo sull'immigrazione, i ragazzi scappano e si nascondono. Tre teenager, pensando di essere inseguiti dalla polizia, si arrampicano su un muro per poi nascondersi in una cabina elettrica. Due di loro, Zyed Benna di 17 anni e Bouna Traoré di 15, vengono fulminati dal trasformatore situato nella cabina elettrica, mentre il terzo, Muhttin Altun, di 17 anni, rimane gravemente ferito e dichiara successivamente di non aver memoria dell’incidente.
L’indagine che dovrebbe chiarire l’esatta dinamica dei fatti è tuttora in corso ma non cambierà le conseguenze di quel tragico incidente.
Per più di due settimane, prima a Parigi e poi in tutta la Francia si sono susseguiti scontri fra giovani delle banlieue (le periferie urbane) e forze dell’ordine. Il coprifuoco notturno per i minorenni che vigeva in molti centri è stato revocato da poco e l’elenco dei danni sembra essere infinito.
Automobili, scuole di ogni grado, caserme di polizia, centri commerciali, luoghi di culto e pullman turistici sono stati i bersagli dei giovani delle periferie.
Le dichiarazioni del Ministro degli Interni Nicolas Sarkozy, che ha insultato pubblicamente gli insorti e ha promesso l’espulsione immediata dal Paese degli stranieri coinvolti nelle sommosse, hanno senz’altro infuocato un clima già rovente.
Visto che la percentuale degli stranieri coinvolti nei moti di violenza francesi è minima (5%) però, si dovrebbe forse guardare altrove per risolvere il problema.

Dopo la II Guerra Mondiale, il desiderio e la necessità dei francesi di ricostruire il Paese, spianò la strada all’arrivo di molti giovani provenienti dalle colonie dell’Africa settentrionale e occidentale. In un primo tempo questi lavoratori si sistemarono nelle baraccopoli che già ospitavano i francesi di nascita che non potevano permettersi altro.
La carenza di strutture abitative sopraggiunta immediatamente dopo, portò alla costruzione di case popolari che furono occupate in un primo tempo dagli esponenti del ceto medio. Quando questi ultimi si poterono permettere soluzioni abitative migliori, furono gli immigrati delle colonie a sistemarsi vasti casamenti popolari di periferia, abbandonando le baraccopoli dei primi tempi.
Va sottolineato che secondo la concezione urbanistica in voga all’epoca inoltre, le aree dei centri urbani dovevano essere divise per funzione: abitativa (le schiere dei casamenti), commerciale e lavorativa.
Gli immigrati restarono isolati dal resto della popolazione francese.

La crisi energetica dei primi anni ‘70 e la crescente disoccupazione degli anni ’80 hanno contribuito a diffondere nelle aree periferiche urbane della Francia un senso diffuso di disperazione e ingiustizia. La situazione non è migliorata con il tempo e oggi il tasso di disoccupazione fra i 25-40enni che abitano nelle periferie francesi supera a volte il 40%.
La maggior parte di quei 25-40enni però è ormai francese di nascita con genitori di nazionalità o origine straniera. Esiste un’intera fascia di popolazione nata e cresciuta in Francia, che ha però una cultura familiare (e quindi anche religiosa) diversa da quella francese.
L’atteggiamento laico di cui fanno sfoggio le autorità francesi, se da una parte non sembra permettere discriminazioni, dall’altra non favorisce l’accettazione di pratiche e luoghi di culto diversi da quelli già diffusi.
La realtà di un paese la cui seguitissima nazionale di calcio è composta quasi integralmente da neri e magrebini e il cui governo ha solo due esponenti non bianchi, dovrebbe far riflettere. Soprattutto una nazione come l’Italia che ha a che fare da poco con la presenza crescente di immigrati delle più varie nazionalità.

Come alcuni osservatori hanno rilevato, i giovani delle banlieue sembrano aver preso di mira i simboli del successo sociale da cui si sono sentiti esclusi. Ai loro occhi l’ascensore sociale è immobile.
Se si guarda con attenzione al mondo dell’informazione e in genere ai programmi diffusi a livello globale, sembra proprio che sia in atto una campagna dell’Occidente volta a omologare tutte le culture alla propria, in base a valori condivisi nei paesi sviluppati. In questo modo si creano bisogni e aspettative che, se non soddisfatti, possono creare rabbia, malcontento e, come abbiamo visto, violenza.
Se si vogliono veramente accogliere gli stranieri, non gli si può negare il contatto con la cultura e la lingua d’origine (luoghi di aggregazione contro l’autoghettizzazione) e l’inserimento nella società d’arrivo, tramite la valorizzazione dell’autonomia e della capacità d’iniziativa degli immigrati.
La scuola poi deve poter riflettere questo atteggiamento, inserendo i minori, formando gli adulti e incoraggiando la nascita di mediatori interculturali.

In Italia non esistono, come in Francia, intere zone urbane dove la polizia non entra mai. Ed è anche vero che noi non abbiamo un passato (e un presente) coloniale ingombrante come quello francese o la presenza di immigrati di seconda o terza generazione. Il Ministro degli Interni Pisanu però ha recentemente dichiarato: “Per noi europei è obbligatorio guardare all’immigrazione come a un fenomeno da governare con intelligente realismo e profonda umanità, per coglierne tutte le potenzialità positive… Ci vuole una politica dell’integrazione, senza pretendere la rinuncia all’identità religiosa, in modo da prevenire in futuro preoccupazioni come quelle che affliggono la Francia… Noi possiamo evitarlo puntando al dialogo e alla cooperazione tra civiltà. L’integrazione è la storia dell’Europa ed è l’unico futuro per il mondo…”.

Per una riflessione completa sui recenti fatti francesi, non si può tralasciare certamente la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948.
Secondo la Dichiarazione ogni individuo in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale nonché alla realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.
Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.
Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia.
L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l'amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi.

Il rispetto di questi diritti, una diffusa cultura dell’accoglienza, il dialogo e aiuti concreti alle fasce di popolazione più a rischio (di qualsiasi nazionalità, ascendenza o provenienza) non possono mancare a chi vuole farsi veramente fratello del prossimo.