Appunti di Giornalismo interculturale 5-6/2009

IL PRINCIPE, L'IDIOZIA DEI MEDIA E "MILANO AFRICANA"
a cura di Maurizio Corte - Verona, maggio-giugno 2009

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Cominciamo con una citazione dal "Principe" di Niccolò Machiavelli: "Nasce da questo una disputa: s’elli è meglio essere amato che temuto, o e converso. Respondesi, che si vorrebbe essere l’uno e l’altro; ma, perché elli è difficile accozzarli insieme, è molto piú sicuro essere temuto che amato, quando si abbia a mancare dell’uno de’ dua". La paura, come ci insegna Machiavelli, maestro fiorentino dell'arte del potere, paga sempre ed è uno strumento "sicuro". Il buon Machiavelli non si doveva misurare, nella Firenze rinascimentale, con il problema della democrazia e della presenza dei mass media. Attualizzando il suo insegnamento, possiamo dire che il Principe dei nostri tempi – quello che mescola veline e potere, populismo e affari – si fa temere creando paure, angosce, rifiuto dell’Altro e proponendo soluzioni che non risolvono nulla.
Fin qui, nulla di nuovo. Neppure la finta miopia di chi si sveglia una sera e definisce “africana” una metropoli, come Milano, che come tutte le grandi città europee ha fra i suoi cittadini persone di colore. L’uso, con intenti razzisti e ansiogeni, della parola “africana” conferma quanto è ormai chiaro da molto tempo: l’uso politico della “questione immigrazione”, la pratica della “tautologia della paura” (un circolo angosciato che si autoalimenta), il rifiuto strumentale del “diverso” per cultura o aspetto fisico.
Ognuno fa il suo mestiere. E gli imprenditori della paura lo stanno facendo con molta professionalità e ottimi risultati politici. Fra il Principe e la “Milano africana”, però, si ripropone ad ogni pie’ sospinto il problema dell’idiozia dei media. L’appiattimento sui temi e i linguaggi del potere, quando si parla di cittadini stranieri o di immigrazione, non è minore rispetto all’asservimento alle “veline” (le notizie di regime) che il fascismo imponeva ai giornali.
Se Mussolini riuscì ad imporre una fascistizzazione della stampa, ora sull’immigrazione registriamo a una “razzializzazione” dei media. Quasi senza accorgercene, noi giornalisti ci misuriamo con la cronaca rinunciando al nostro ruolo di mediatori fra le fonti delle notizie e i lettori. Assumiamo i temi e le parole del potere. Noi giornalisti spianiamo la strada all’imbarbarimento della pubblica opinione. Anziché difendere quell’opinione pubblica dalla manipolazione dei ministri che propongono la “cattiveria” come contenuto di governo, i media italiani si fanno complici di una politica che alimenta le angosce e le insicurezze della gente, anziché proporre soluzioni vere per risolverle. I media si perdono così nella “idiozia” di chi rinuncia al proprio ruolo critico e interpretativo.
Su temi come l’immigrazione irregolare, l’inserimento dei bambini stranieri nella scuola, l’integrazione dei cittadini stranieri, i media italiani rivelano tutta la loro vacuità di letture rigorose, informate e critiche dei fatti. Si conformano a quanto il Principe – e i suoi vassalli aspiranti stregoni – dice. Vi è in questo una certa insufficienza culturale dei giornalisti, oltre una mancata frequentazione della libertà e della capacità di critica al potere. Vi è in questo un appiattimento poco nobile dei giornali anche sulla parte meno informata e illuminata della pubblica opinione. Il ruolo dei mass media non è quello di scrivere quanto detta il potere e quanto vuole sentire il lettore: il ruolo dei media, in una società pluralistica e complessa, è quello di spiegare che cosa sta succedendo, quali sono i significati del cambiamento sociale e culturale, quali trame di significati vi sono dietro i fatti e le notizie.
La scena pubblica italiana ha mostrato, ad aprile e maggio scorsi, uno spettacolo con precisi attori. Il tema del dramma è stato quello, noto, dell’invasione dei cosiddetti “clandestini”. Il Principe si è mostrato inflessibile verso i “devianti” e gli “irregolari”, mentre gli agitatori del popolo seminavano paura e certezze identitarie di bassa lega. Il tutto con un certo successo, va detto. Tutti, anche qui, a fare con egregia professionalità il loro mestiere. A rinunciare ai loro ruoli critici sono stati i giornalisti, perpetuando un’incapacità di fondo di essere autonomi dalle fonti, e l’opinione pubblica, che è caduta nel tranello della paura e della ignoranza. Il paradosso è che a fronte di problemi urgenti e reali – immigrazione, sicurezza, integrazione, vivibilità delle città, paura del diverso, devianza – si è imposta la linea della rinuncia a una soluzione seria dei problemi.
Una spia interessante della mancanza di autonomia dei media dalle impostazioni culturali del Principe la danno le spicciole cronache quotidiane, che preferisco sottolineare rispetto alle grandi “emergenze” che da sole mostrano l’insufficienza dei giornali. E’ in quelle spicciole cronache quotidiane che si traduce la “semina del conformismo”, la razzializzazione dei comportamenti, l’etnicizzazione del crimine.
Propongo qui di seguito due dispacci di agenzia. Vediamo come l'agenzia Ansa tratta con due pesi e due misure diverse due fatti di cronaca. Nel primo caso, a Ferrara, come si può notare dal linguaggio utilizzato, non vi è alcun riferimento all'appartenenza culturale, etnica o nazionale dell'assassino. La scelta è giusta perché quell'appartenenza non ha alcuna influenza sull'azione dell'uccidere. Va ricordato, infatti, come ben sanno i sociologi e gli studiosi dei media, così come sanno gli psicologi sociali, che fra i messaggi che ci invia l'ambiente in cui viviamo, fra i valori che ci propone (mass media inclusi) quell’ambiente e quanto noi traduciamo in convinzioni, atteggiamenti e azioni vi sono molte variabili: si tratta di variabili personali, sociali, culturali, economiche che influenzano i messaggi. Non solo: ciascuno di noi ha una sua personale, individuale modalità di interpretare quanto ci viene raccontato. Nel secondo caso di cronaca, nella “Milano africana” tracciata dal Principe, il linguaggio del dispaccio di agenzia insiste sull’appartenenza nazionale, etnica, culturale dei protagonisti.
Un esempio di questo diverso trattamento delle notizie lo abbiamo avuto anche domenica 7 giugno, nel Tg1 delle 20. La notizia dell’omicidio di Ferrara è stata trattata come un fatto di cronaca senza aggettivazioni particolari e senza letture “sociologiche”. Non si è approfondito – ed era il caso di farlo – il tema delicato e grave della violenza sulle donne; non si è spiegato che l’abuso di alcol da parte dell’omicida è stato uno degli elementi della violenza.
Nel caso, invece, dell’omicidio di un giovane ecuadoregno a Milano, il servizio del Tg1 – come anche il dispaccio diffuso dall’Ansa che riportiamo sotto – ha tentato interpretazioni sociologiche e criminologiche fondate su ipotesi e analisi prodotte dalle forze dell’ordine. Un altro servizio al Principe, alla tautologia della paura e un’altra rinuncia all’autonomia professionale dei giornalisti. Ancora una volta, una genuflessione di fronte al ministro dell’Interno e ai suoi collaboratori. Un modo poco “occidentale” di fare giornalismo, che molto ricorda la stampa nordcoreana e iraniana.

PICCHIA LA COMPAGNA,IN UN BAR LA DIFENDONO E LUI UCCIDE/ANSA
L’OMICIDIO A FERRARA. LA VITTIMA NEPPURE CONOSCEVA L’ASSASSINO

(ANSA) - FERRARA, 7 GIU - Ha ucciso a caso. Una coltellata al petto del primo che gli si è parato davanti tra quelli che poco prima avevano difeso la sua compagna, picchiata con violenza per l’ennesima volta. David Bisella, 42 anni, originario di Castelmassa (Rovigo), è stato arrestato dai carabinieri subito dopo aver tolto la vita a Massimo Ferraresi, di 34 anni, che neppure conosceva. La violenza assurda è andata in scena la scorsa notte a Ferrara in un bar di via Foro Boario, la strada in cui Bisella abita da alcuni mesi assieme alla compagna. La donna si è

presentata poco dopo mezzanotte, piangente, nel locale, portando sul volto e sulle braccia i segni delle percosse subite poco prima. Gli avventori, una decina, hanno cercato di consolarla, le hanno parlato, l’hanno anche invitata a chiudere la storia con quell’uomo, conosciuto nel quartiere come un personaggio violento, con qualche precedente di polizia per rissa. Poi è arrivato Bisella, che si è infuriato per quella

«intrusione» nella sua vita da parte di estranei, probabilmente non ha gradito i rimproveri di chi vedeva la donna in quello stato e ne è nato uno scontro. Bisella ha menato pugni ma, visto anche il numero degli avversari, ha avuto la peggio, è stato colpito più volte e ha lasciato il bar.

Non è andato lontano: è passato da casa, ha preso un coltello da cucina con una lama lunga venti centimetri ed è tornato al bar. Gli altri gli si sono fatti incontro e lui ha piantato con forza il coltello nel torace del più vicino, Massimo Ferraresi. Poi, mentre quell’uomo che stava per morire

quasi per caso restava a terra agonizzante, Bisella è scappato, ma per poco: i carabinieri, allertati dai gestori del bar, lo hanno bloccato a poche centinaia di metri di distanza. Poco dopo, mentre Ferraresi moriva durante il trasporto in ospedale, il pm di turno, Filippo Di Benedetto, lo ha interrogato ma Bisella non ha aperto bocca. Sulla dinamica di quanto è successo, però, ci sono pochi dubbi, perchè i tanti testimoni hanno ricostruito la vicenda in tutti i particolari. «Qui Bisella lo conoscevano in tanti. Si sa che è una persona violenta, abituata a risolvere le questioni menando le mani» ha raccontato uno dei presenti ai cronisti. Questa volta però è andato molto oltre.


SUDAMERICANO UCCISO A MILANO: MORTO PER GUERRA TRA GANG/ANSA

'CHICAGO' CONTRO I 'NEW YORK', NOTTE VIOLENTA IN CITTA'

(ANSA) - MILANO, 7 GIU - E' finita nel sangue, con un giovane ecuadoriano morto accoltellato e altri due feriti, l'aggressione legata alle rivalita' tra gang latinoamericane avvenuta all'alba di oggi alla periferia sud-est di Milano. L'agguato, pero', non e' stato l'unico episodio di violenza

tra ieri notte e questa mattina in citta'. Altri due gruppi di immigrati si sono picchiati, tra i passeggeri, su un autobus e tre di loro sono finiti in ospedale, mentre un eritreo, poi arrestato, ha preso a sprangate in un cascinale tre suoi connazionali, uno dei quali e' in gravi condizioni. In nottata, invece, un egiziano, ora in carcere, ha ferito con un cacciavite un suo cugino nel cortile dello stabile dove i due vivono. L'episodio piu' grave risale alle cinque in via Brembo, a pochi metri dal Thini, un ristorante discoteca frequentato da molti sudamericani dei 'New York' e dei 'Chicago'. Dalle testimonianze rese da alcuni dei giovani aggrediti - in tutto una decina tra ragazzi e ragazze italiani e sudamericani e anche

qualche minorenne dei 'New York' - fuori dal locale, dopo i saluti, mentre si stavano avviando verso le macchine, sono stati improvvisamente sorpresi da un gruppo, anche questo di una decina di persone con il volto travisato, che li ha assaliti alle spalle. Un vero agguato con lancio di sassi e cocci di bottiglia, uso di bastoni e con alcuni dei ragazzi bersagliati che urlavano ''scappa, scappa, corri via''. Quando gli aggressori,

pare della gang dei Chicago, sono scomparsi, alcuni di loro sono ritornati indietro e, davanti a un portone sempre di via Brembo, hanno trovato il loro amico a terra senza vita e gli altri due feriti. David Stenio Betancourt Noboa, 26 anni, irregolare e da poco uscito dal carcere per rissa, e' stato ucciso, non si sa ancora se con un coltello o un cacciavite: un colpo alla schiena, uno al fianco e quello mortale all'addome, proprio sotto lo sterno.I due feriti, Andres M., 21 anni, regolare e senza precedenti, e Carlos A., 22 anni, con precedenti per lesioni e rissa, anche lui accoltellato alla schiena, sono stati trasportati al Policlinico e alla Santa Rita, per poi essere dimessi qualche ora dopo. Le indagini, coordinate dal pm Mario Venditti, sono affidate agli agenti della squadra mobile che stanno ricostruendo la dinamica dell'omicidio e dando la caccia agli assassini. L'ipotesi e' che l'agguato sia dovuto o a rivalita' tra le due gang latinoamericane, forse per il controllo del territorio, o forse a qualche sgarro. ''Volevano uccidere un altro al quale l'avevano giurata da anni, uno che avevano gia' condannato nel 2002 e invece hanno colpito a caso e hanno preso lui: gliel'hanno fatta pagare per tutti', ha raccontato Katy, 24 anni, parente del giovane accoltellato. La ragazza nel pomeriggio, con il fidanzato e altri amici, si e' data appuntamento dove David e' morto e dove qualcuno, per terra, ha lasciato un lumino con due gerani, uno rosso e uno rosa.

- OSSERVAZIONE CONCLUSIVA. Spesso mi si chiede, quando intervengo a qualche conferenza, a che cosa si deve questo comportamento dei mass media. Quali sono le ragioni che stanno alla base delle scelte tematiche e di linguaggio dei giornalisti, spesso così appiattite sugli interessi e le parole del Principe, spesso così poco al servizio – vero – dei cittadini e della pubblica opinione.
Gli studi dei sociologi della comunicazione ci dicono molto, su questo tema. Voglio però dare una risposta al quesito attingendo alle mie personali esperienze e riflessioni. La scelta di molti giornalisti per temi e linguaggi asserviti al potere, e poco utili alla pubblica opinione, è determinata da un complesso di fattori che qui enumero: il retroterra professionale, la formazione culturale, l’ambiente (isolato) di vita redazionale, la non frequentazione di un giornalismo critico e indipendente, il non essere abituati a mettere in difficoltà il potere, l’influenza (diretta o indiretta) delle politiche editoriali del direttore della testata o dell’editore, il razzismo strisciante di un certo clima di opinione. Vi aggiungerei, infine, anche un elemento che non è facile da intercettare con una ricerca scientifica, ma che a mio avviso ha un suo peso importante, come posso notare comparando i contenuti di alcuni articoli con la personalità di chi li scrive: le considerevoli “frustrazioni” umane e professionali di certi giornalisti. Infine, vi è la cattiva abitudine del giornalismo italiano di non spiegare che i fatti di cronaca nera raccontati sono scritti sulla base di quanto dicono le forze dell’ordine e la magistratura. Anche qui, la stampa italiana è molto simile a quella nordcoreana e iraniana; e molto distante dalla stampa anglosassone. Quest’ultima non si sognerebbe mai di far passare come “oggettivo” un racconto che è ispirato da fatti, dati e riferimenti espressi dalla polizia. La libera stampa americana e inglese si premura infatti di inserire a ogni pie’ sospinto la fonte della informazioni (“according to the police”, “police said” eccetera). E non si sogna di sposare i temi e il linguaggio del Ministro della Paura o le stravaganze velinare-razziste del Principe di turno.

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