Appunti di Giornalismo interculturale 3/2009

L'8 MARZO, LA VIOLENZA SULLE DONNE E LA "TANTA DEFICIENZA" DEI MEDIA
a cura di Maurizio Corte - Verona, marzo 2009

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Cominciamo da una citazione di Giorgio Gaber, il poeta, cantautore, uomo di teatro che tanto piace (adesso) al ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini.
La canzone da cui traggo la citazione, che credo piacerà meno a tutta la classe dirigente italiana, è tratta dalla censurata e "maledetta" "IO SE FOSSI DIO", che Gaber fu costretto a incidere nel 1980 senza etichetta discografica, su un solo lato. Una lunga invettiva, con molte verità.
In un suo passaggio, ancora molto attuale, dedicato ai media, Gaber cantava:
"Io se fossi Dio,
maledirei davvero i giornalisti
e specialmente tutti,
che certamente non son brave persone
e dove cogli, cogli sempre bene.
Compagni giornalisti avete troppa sete
e non sapete approfittare delle libertà che avete,
avete ancora la libertà di pensare
ma quello non lo fate
e in cambio pretendete la libertà di scrivere,
e di fotografare immagini geniali e interessanti,
di presidenti solidali e di mamme piangenti.
E in questa Italia piena di sgomento
come siete coraggiosi, voi che vi buttate
senza tremare un momento:
cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti,
e si direbbe proprio compiaciuti.
Voi vi buttate sul disastro umano
col gusto della lacrima in primo piano.
Sì vabbè lo ammetto
la scomparsa dei fogli e della stampa
sarebbe forse una follia,
ma io se fossi Dio,
di fronte a tanta deficienza
non avrei certo la superstizione della democrazia!"
Questo passaggio di Gaber mi è venuto in mente ascoltando alcune cronache televisive e leggendo le cronache dei giornali dedicate all'8 marzo.Un esempio su tutti: SkyNews24 delle ore 13 dell'8 marzo. Ecco la sequenza dei servizi di quel telegiornale. Si comincia con un servizio sulle parole del Papa, Benedetto XVI, sul rispetto della dignità e del lavoro delle donne. Si passa poi alla manifestazione in Campidoglio, a Roma, per l'8 marzo, intervistando la ministra per le Pari Opportunità, Carfagna, e riportando le parole del presidente della Camera, Fini, il quale sottolinea che la violenza contro le donne non è solo quella commessa da cittadini stranieri. Fin qui tutto normale, ma poi che succede? A seguire, vi sono i servizi di cronaca e, guarda caso, hanno tutti come protagonisti persone straniere che hanno commesso violenza su donne: una banda di "albanesi" che ha violentato e costretto alla prostituzione una donna albanese; una violenza carnale commessa dall'ennesimo "rumeno"; il seguito della violenza carnale, forse commessa da "rumeni", del giorno di San Valentino, a Roma. Vi è anche una difesa, non richiesta, degli investigatori che lavorano proprio su quest'ultimo caso. Mentre il servizio sulla violenza ai danni della donna albanese assomiglia più a un "redazionale" (un "redazionale" è un articolo pubblicitario) della polizia che a una cronaca indipendente.

 

Alle ore 17.54 l'agenzia Ansa lancia il servizio di cronaca sulla violenza alle donne, estremamente "notiziabile" (= con un alto valore di notizia e di appetibilità per i giornali e, si crede, anche per i lettori o presunti tali). Ecco il testo completo:
VIOLENZA SESSUALE: NON SI FERMA SOPRAFFAZIONE SU DONNE/ANSA
DA MILANO A COSENZA STUPRI ANCHE OGGI, FESTA DELLA DONNA
(ANSA) - ROMA, 8 MAR - Non mancano le notizie di cronaca su violenze sessuali, perpetrate da stranieri e da italiani su minorenni e donne più mature, neppure oggi, 8 marzo Festa delle donne. Non è servita la dura condanna di ieri del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha definito come«l’ombra più pesante di tutte», la «vergogna e l’infamia delle violenze contro le donne», da condannare comunque, «non
fa differenza» la cittadinanza. Nè i messaggi e le proposte lanciate oggi durante una manifestazione a Roma che ha visto insieme politici, intellettuali e vip dello spettacolo e neppure i progetti politici per pene più severe e nuovi reati. Nulla sembra arginare questa spirale di violenza dell’uomo che sceglie vittime sempre più deboli, straniere disoccupate e senza lavoro, mogli sottomesse, ragazze giovanissime, figlie, nipoti,
non ha importanza: tutte vanno bene per esprimere sopraffazione e umiliazione.
MILANO: ALBANESE SEQUESTRATA E VIOLENTATA DUE VOLTE
Una donna albanese di 36 anni, che da oltre dieci anni vive regolarmente in Italia lavorando come addetta alle pulizie è stata sequestrata e violentata da suoi connazionali, due fermati dalla polizia, che la volevano obbligare a fare la prostituta.
Quindici giorni fa era stata rapita una prima volta, portata nella zona di Monza e messa sulla strada. Ma lei aveva spiegato tutta la situazione a un cliente convincendolo a riportarla a casa a Magenta (Milano). Il gruppo di persecutori, però, non si è dato per vinto e due giorni fa è riuscito nuovamente a sequestrarla portandola questa volta nell’appartamento di Milano dove è stata violentata. Ad un certo punto, facendo finta di
essere stata ’convintà da loro, con la scusa di chiedere dei vestiti adatti per prostituirsi, li ha fatti uscire di casa per acquistarli. Subito dopo si è calata dal balcone ed ha chiesto aiuto.
COSENZA: UN ROMENO VIOLENTA PER ANNI CONVIVENTE E FIGLIA
Un romeno, J.C., di 46 anni, è stato arrestato dai carabinieri a Cosenza per violenza sessuale nei confronti della convivente e della figlia di 22 anni. L’uomo maltrattava e sottoponeva a violenze sessuali la convivente e la figlia da quando era minorenne ed abitavano ancora in Romania. Le vittime dovevano anche chiedere l’elemosina per strada. La donna ha deciso di mettere fine alle violenze, denunciando l’uomo, solo quando si è resa conto che il compagno ben presto avrebbe rivolto le sue attenzioni anche alla nipotina di 11 anni.
ISCHIA (NAPOLI): A 19 ANNI VIOLENTA UNA RAGAZZA DI 13
Un ragazzo di 19 anni, D.V., incensurato, di Ischia, è stato arrestato ieri sera dalla polizia con l’accusa di violenza sessuale, reato aggravato perchè commesso nei riguardi di una ragazzina di 13 anni. Si è difeso asserendo che la tredicenne è la sua fidanzatina e sostenendo di provare per lei un sentimento di amore. A complicare però la sua posizione c’è anche la circostanza che il giovane lavora come bidello ausiliario, nell’ambito del servizio civile, nella scuola media da lei frequentata. Secondo l’accusa il giovane ha molestato la minore e le ha chiesto di avere rapporti sessuali ottenendo un rifiuto. Fra i due giovani c’era inoltre uno scambio di foto erotiche, inviate via internet e via cellulare.

I giornali, nelle pagine di cronaca, hanno seguito l'agenda informativa tracciata da SkyNews24 e dall'Ansa. In questo hanno applicato quel principio di "seguitazione mediale" di cui parlo nel mio libro "Comunicazione e giornalismo interculturale" (Cedam editrice, 2006). Vine da chiedersi, qual è il risultato di tutta questa "drammatizzazione mediale", di questo "copiarsi a vicenda" per scrivere lo stesso copione del dramma della violenza? La risposta è che - nonostante le parole del presidente della Camera, Fini - la "connotazione etnica" della violenza sessuale giganteggia sui giornali. Eppure gli studi ci dicono che - senza sottovalutare la gravità degli stupri commessi da persone estranee alla vittima - la maggior parte degli stupri e delle violenze ai danni delle donne sono commessi da persone conosciute dalle vittime e accadono spesso fra le mura di casa. I mass media italiani, però, ignorano questo dato nel giorno della Festa della Donna. Si fermano alle "veline" della polizia e dei carabinieri che fanno il loro mestiere, mal pagati e con grandi sacrifici come sappiamo, ma che non possono dettare l'agenda delle notizie ai giornali.
Se i media si fanno condizionare dalle fonti, se i giornalisti costruiscono il notiziario sulla base di quanto dicono le fonti istituzionali, allora viene meno il ruolo fondamentale degli operatori dell'informazione, di noi giornalisti: quello di essere "mediatori" fra la realtà, le fonti, i soggetti che si muovono nell'arena pubblica, e il pubblico. Se non siamo più mediatori, possiamo tranquillamente essere aboliti che nessuno sentirà la nostra mancanza. Qualcuno potrebbe dire: "E' la realtà, bellezza. Non possiamo inventarci i fatti che non ci sono". No, non è la realtà. E' ormai sempre più chiaro che la "realtà dei media", la "realtà della cronaca nera" - quella a sfondo etnico e che criminalizza lo straniero - prende solo spunto da fatti di cronaca e si autoproduce come una "realtà mediale" artefatta, con scopi politici. Gli autori della "sceneggiatura" del dramma della paura sono le forze dell'ordine (che, va ricordato, rispondono al ministro dell'Interno, ovvero a un uomo politico); i "messaggeri" del dramma della paura sono i mass media, con i giornalisti che hanno ormai da tempo rinunciato al loro ruolo di vaglio, controllo, selezione e mediazione. Da mediatori siamo diventati megafoni delle notizie confezionate in altra sede. L'esempio di quanto è accaduto l'8 marzo è significativo e dimostra quanto sto dicendo.
Tutti gli uffici stampa sanno che per rendere notiziabile (= appetibile per i giornali) un evento occorre fornire loro una notizia che si abbini all'evento. La notizia traina l'evento, ma a volte può essere l'evento che traina la notizia. L'importante è che l'informazione sull'evento e sulla notizia sia costruita secondo la "logica dei media": una logica che si fonda sulla ricerca di fatti appetibili, facili da comunicare, di immediata presa sul pubblico, capaci di destare l'attenzione dei lettori, dotati di una certa dose di spettacolarità e di drammatizzazione. Insomma, con tutto l'armamentario richiesto dai media e che, a detta di questi, soddisferebbe il palato dei lettori. A dire il vero, è falso pensare che i media sappiano soddisfare, con la loro logica e i loro "valori notizia", l'appetito e i bisogni informativi del pubblico: lo dimostrano i dati, drammatici, sul calo di lettori dei giornali e la pessima reputazione che noi giornalisti abbiamo fra il pubblico. A questo proposito, molto utile è la lettura del saggio "I fondamenti del giornalismo. Ciò che i giornalisti dovrebbero sapere e il pubblico dovrebbe esigere", scritto da Bill Kovach e Tom Rosenstiel (Lindau editore, 2007). All'edizione americana del libro si collega l'ottimo sito web sull'eccellenza nel giornalismo: www.journalism.org. Ma quello del rapporto fra logica dei media e pubblico è un discorso che merita altri approfondimenti...

Tornando all'uso politico della cronaca, sempre l'8 marzo, il sito di Repubblica.it ha pubblicato questo articolo:
Durante i due anni del governo Prodi (2006 e 2007) i tg hanno raddoppiato lo spazio della cronaca nera. Secondo uno studio del Centro d'ascolto dell'informazione radiotelevisiva (nato da un'iniziativa dei radicali) dal 2003 al 2007, il tempo dedicato ai servizi su delitti, violenze e rapine è raddoppiato (se non triplicato) passando dal 10,4% dei tg del 2003 al 23,7% di quelli del 2007. Dato significativo che potrebbe avere aumentato la percezione di insicurezza da parte degli italiani, e avere avuto un peso alle elezioni politiche del 2008, tesi sostenuta dal centrosinistra in molte occasioni. Come la convinzione che il senso di incertezza e paura sarebbe nato in parte per il battage dei media. "Adesso arrivano i dati, ma l'abbiamo sempre saputo, Prodi era stato il primo a rendersene conto" commenta Sandra Zampa (Pd) "Purtroppo ce ne siamo accorti a spese degli italiani". Il tema della sicurezza, e dell'uso che se ne fa, è molto sentito anche oggi: "Paura e insicurezza ci sono", ha detto il procuratore capo della Repubblica di Torino Giancarlo Caselli a Ercolano, al convegno "L'etica libera la bellezza" "dovrebbero essere sempre mali da curare ma spesso vengono ingigantiti anche dalla carta stampata e da certa politica".
I numeri dicono che nel 2003 il Tg1 ha dato notizie di cronaca nera per l'11% del suo tempo, il 19,4% nel 2006, il 23% nel 2007. Il Tg2 è passato dal 9,7% del 2003 al 21% del 2006, fino ad arrivare nel 2007, al 25,4%. Il Tg3 è la testata che registra il minore aumento, passando dall'11,5% del 2003 al 18,6% del 2007. Sulle reti Mediaset l'aumento è maggiore: per Studio Aperto, la percentuale è stata pari al 30,2 della durata totale dei tg del 2007, contro il 12,6% del 2003. Il Tg5 è passato dal 10,8% al 25,7%. Il Tg4, malgrado il raddoppio negli ultimi 5 anni, ha avuto l'incremento minore, dal 10,2% del 2003 al 20,9% del 2007. "Fare una valutazione di natura politica sarebbe sbagliato, bisognerebbe vedere cos'è successo nei diversi anni" spiega il direttore del Tg5 Clemente Mimun. "Prima non era Chicago ora non è Disneyland. La cosa che ha pesato di più, sempre, è stata la situazione economica, per cui l'idea che qualcuno abbia picchiato sulla cronaca per colpire X o Y, lascia il tempo che prova, se non si controlla cos'è accaduto in quegli anni. Esaminando questo bimestre, si è parlato molto di stupri, oggettivamente hanno colpito l'opinione pubblica. Poi se mi chiede: durante il governo Prodi voleva colpire Prodi?, rispondo no". "Un buon telegiornale racconta le cose che accadono" replica il direttore del Tg2 Mauro Mazza "ma imputare ai tg il fallimento delle elezioni non è accettabile, le ragioni vanno cercate altrove. Il pubblico di metà giornata è più attento alla cronaca e ne segue gli sviluppi. Alle 20,30 la quota diminuisce". Mario Giordano, direttore del Giornale, ha guidato Studio Aperto dal 2000 al 2007. "Ricordo la stessa polemica nel 2000, l'epoca delle rapine in villa. Poi c'è stato l'11 settembre. È vero, è aumentata l'attenzione per la cronaca nera, non solo quella che crea insicurezza. I grandi casi - Cogne, Erba, Garlasco - aumentano gli ascolti. Impiegando la nera in chiave politica pro o contro qualcuno si fa solo un pessimo servizio".


Se fate attenzione alle dichiarazioni di Clemente Mimum e di Mauro Mazza, vi trovate un richiamo alla realtà: "Bisognerebbe vedere cos'è successo nei diversi anni", dice Mimun. "Un buon telegiornale racconta le cose che accadono", osserva Mazza. Peccato che entrambi dicano cose non vere. Anzi, dicono proprio delle sciocchezze. La scelta di quelle che sono le notizie è un atto del tutto arbitrario. Noi giornalisti-sacerdoti della notizia siamo convinti di possedere la magica abilità di scegliere quei fatti che sono notizia e di scartare quei fatti che notizia non sono. La professionalità dei giornalisti si è fondata per decenni sul sogno e l'illusione di saper decidere che cosa è notizia e che cosa notizia non è. Gli studi sulle routines redazionali e sul "newsmaking", a partire dal fondamentale "Creare la realtà" di David Altheide (1976, edizioni Eri-Rai), hanno smentito e smentiscono questa presunzione. Anzi, inchiodano la "prospettiva giornalistica" a una sostanziale incapacità di raccontare i fatti e a un'inevitabile "manipolazione" degli accadimenti. Il solo fatto di estrapolare un fatto dal suo contesto, di sintetizzarlo e di presentarlo come notizia in un altro contesto, qual è quello della pagina di giornale o del notiziario radio-tv-web, porta a una "distorsione involontaria" prima ancora che volontaria.
Dice Altheide (cit. p.143): "Gli avvenimenti diventano notizie solo nella misura in cui rientrano nell'ambito di un punto di vista giornalistico e non per le loro oggettive caratteristiche". E aggiunge: "Il posto che occupano i notiziari nella nostra vita quotidiana richiede che ognuno di noi sappia come guardarli. E' questa una cosa necessaria, perché le immagini che abbiamo della realtà sono distorte dal lavoro giornalistico e di ciò dobbiamo essere consapevoli" (cit. p.144). E in un altro punto del suo lavoro, Altheide osserva: "Fanno notizia solo gli avvenimenti a cui i giornalisti riconoscono tale rango. Questo principio è raramente esplicitato, dal momento che il modus operandi dei giornalisti fa ritenere che i fatti accadano 'là fuori' e che loro li riferiscano solamente. Il dire che invece li fabbricano o li scelgono arbitrariamente sarebbe contrario al loro assunto epistemologico: una teoria della conoscenza costruita su precise procedure pratiche tese a risolvere altrettanto ben definiti problemi organizzativi". (cit. p.95).
Routines redazionali, organizzazione produttiva, ritmi e modi di lavoro: in questi passaggi del processo giornalistico di formazione della notizia si annida la "distorsione della realtà" operata dai media informativi. Prima e ben oltre le posizioni personali, i pregiudizi dei direttori e dei capiservizio dei giornali, gli stereotipi dei giornalisti, prima e ben oltre tutto questo vi è la macchina dei media a far sì che le notizie "non" siano uno specchio, neppure deformato, della realtà. E' proprio tutta un'altra realtà, dato che "i media creano la realtà", per dirla con Niklas Luhmann ("La realtà dei mass media", FrancoAngeli, 2000).
Ora, se la realtà dei mass media è strutturalmente altra rispetto alla realtà della nostra società. Se la costruzione dei notiziari e la scelta delle notizie sono operazioni altamente arbitrarie, che stravolgono il reale, lo mutano, lo adattano al formato dei giornali, delle radio, delle tv e dei siti web. Se tutto questo è - come è - vero, possiamo dire che i media danno una rappresentazione veritiera della "nuova società italiana", multietnica e multiculturale? La risposta non può essere che negativa. I media possono, al massimo, tracciare un abbozzo della società in cui viviamo.Possono tentare delle ipotesi. Possono suggerire delle chiavi di lettura. Possono, e a questo sono chiamati, offrire delle chiavi interpretative. E mai potranno vantare di rappresentare la realtà nella sua fattualità, realtà e veridicità. Sia chiaro, non stiamo facendo un processo ai media tale da invocarne una loro abolizione o censura. La provocazione di Gaber, in "Io se fossi Dio", fa comunque pensare...
I mass media sono attori nell'arena pubblica, di cui abbiamo bisogno, da un lato, per conoscere accadimenti e situazioni lontane da noi. Ma sono anche soggetti di cui dobbiamo dubitare in modo critico, per evitare di assolutizzare e credere vera una realtà mediale che vera non è.Detto questo, comprendiamo come non abbia alcun fondamento quella politica che si ispira ai fatti di cronaca nera, raccontanti dai giornali, per approvare provvedimenti, leggi, misure. Se tutta la politica sulla "sicurezza" si basa sulla paura e sul terrore, in alcuni casi, seminati dai media, possiamo ben dire che si tratta di una politica falsa e bugiarda quanto falsi e bugiardi sono i casi rappresentati. Non sosteniamo, con questo, che certi fatti di cronaca nera - stupri, omicidi, violenze - non siano accaduti. Quello che sosteniamo è che di quei fatti viene spesso data una lettura che può non corrispondere (e quasi sempre non corrisponde) alla realtà. Il "caso dell'8 Marzo" è lì a dircelo tutto.
Cos'è successo l'8 Marzo 2009, a livello mediale? Un altro piccolo "caso Erba". A fare notizia è stata, quest'anno, la violenza sulle donne. Una notizia prevedibile, vista la campagna mediale che da due mesi va avanti sui casi di violenza carnale addebitati a cittadini stranieri. I media hanno pensato bene di declinare il problema della violenza sulle donne individuando ancora un solo colpevole: lo "straniero". Il capro espiatorio è stato fornito loro dalle forze dell'ordine (vedi il caso della banda di "albanesi" e del "rumeno" violentatore). Non ci si è impegnati - troppa fatica, probabilmente - ad approfondire le centinaia di migliaia di drammi privati di donne molestate in casa, di donne violentate, di donne perseguitate da conoscenti. La "dimensione privata e italiana" della violenza sulle donne ha lasciato il campo alla "dimensione pubblica" della violenza. Ancora una volta hanno vinto le "fonti" (le forze dell'ordine, la magistratura) rispetto ai mediatori. I giornalisti hanno rinunciato al loro potere/dovere di indagine e hanno offerto al pubblico dei lettori una pietanza scelta e preparata da altri. Nulla da stupirsi se poi assistiamo al "declino" dell'informazione dei media e, nel pubblico più esigente, a una fuga dai notiziari e dalla stampa alla ricerca di canali alternativi sul web.

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