IL SEQUESTRO DI PERSONA E LA “BANDA DEGLI ITALIANI”

a cura di Maurizio Corte - Verona, 24 dicembre 2007


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Leggiamo l’articolo comparso lunedì 24 dicembre 2007 sul sito Repubblica.it con la notizia del ritrovamento del corpo di Iole Tassitani, a Bassano del Grappa (provincia di Vicenza). La donna era stata rapita da una banda il giorno 12 dello stesso mese. Ecco il titolo dell’articolo, corredato da un primo piano della signora Iole: “Iole Tassitani ritrovata uccisa / E’ stata una banda di italiani”. Il servizio è firmato da un inviato di Repubblica.it, Piero Colaprico.
BASSANO - Iole Tassitani è stata uccisa. La figlia del notaio di Castelfranco Veneto è stata trovata in un garage di Bassano del Grappa, dove da tempo si concentravano le ricerche dei carabinieri. L'esile speranza di trovarla viva è naufragata poco dopo l'una della notte scorsa, quando il nucleo operativo di Treviso e i Ros sono entrati in un garage e, nei sacchi neri della nettezza urbana, a pezzi, c'era questa povera donna quarantenne.
E' chiaro che la certezza matematica che sia proprio lei ci sarà solo dopo gli esami e l'autopsia, quando parleranno cioè il biologo e il medico legale. Ed è chiaro che è difficile, impossibile trovare conferme a questa notizia che rappresenta una tragedia insostenibile, per la sua famiglia e per i tanti che le hanno voluto bene. Ma uno dei rapitori è stato arrestato. E altri, tutti italiani, sono in queste ore ricercati.
A notte fonda, magistrati e carabinieri vanno a Castelfranco, per dare di persona all'avvocato e alla famiglia Tassitani la notizia più terribile da raccontare. Le indagini erano arrivate a un punto delicato poco prima delle 20 di ieri e, attraverso il legale Roberto Quintavalle, era stato chiesto il "silenzio stampa assoluto". Ma adesso in questa antica e civile cittadina fortificata, che annunciava di spegnere le luminarie per Natale in solidarietà con Iole, è entrato, proprio quando molti sembravano ottimisti, un feroce lutto.
Per la verità, nei giorni scorsi, un vecchio maresciallo aveva confidato la sua paura: "A capo di questa banda che non conosciamo c'è qualcuno che ha cervello, possiamo solo sperare che abbia anche un po' di cuore e la lasci in vita". Lo diceva per due ragioni. Sia perché chi mandava i messaggini con le richieste di riscatto alla famiglia lo faceva spostandosi in città diverse, in moto da tentare di depistare i cacciatori tecnologici. Sia perché - salvo sorprese che possono venire solo dalle indagini - sembrava quasi che i rapitori comunicassero tra loro non usando nessun mezzo intercettabile. Avere cervello non significa però non essere spietati.
La procura antimafia veneziana, impegnatissima su questo caso, aveva avviato la procedura per il blocco dei beni della famiglia. Nel frattempo l'analisi girava intorno al fatto che solo i tre cellulari di Iole avevano "parlato". Da uno, com'è noto, era partito un sms a un'amica: "Sono stata parità aiuto", e cioè sono stata rapita. Gli altri due erano stati riaccesi, per pochi istanti, in varie zone della trafficata campagna veneta ai confini tra le province di Padova, Treviso e Vicenza.
La prima volta a Cittadella, borgo antico diventato famoso nelle settimane scorse per l'ordinanza comunale che vuole cacciare gli stranieri senza reddito e lavoro. Poi, in un altro comune.
Via sms era stata intavolata la trattativa, con la richiesta di 800mila euro. Non una voce umana. Non una parola scritta a mano. Tutto via etere. Questa la strategia dei rapitori. Persone convinte che si possa "fare come i calabresi", e cioè come i clan che dominano interi territori in Aspromonte. Ma in questa provincia veneta molti passaggi di macchine e uomini non restano inosservati, molte sono le telecamere in funzione, e non esistono le omertà che vigono in Calabria.
I marescialli, che conoscono come funziona la polizia giudiziaria, hanno saputo restare con i piedi per terra. Iole Tassitani era sparita la sera del 12 dicembre. Nel garage di casa erano stati trovati i suoi occhiali da vista e un guanto: forse di uno degli uomini che l'ha portata via. Di uno di quelli che non ha mai fornito la "prova in vita".
Le indagini, anche se non hanno mai lasciato l'etere e i messaggini, si sono basate molto di più su interrogatori, sui riscontri e anche sulle "soffiate" degli informatori. Una è stata particolarmente utile. E così, passo dopo passo, i carabinieri hanno inquadrato, e poi escluso, alcune piste. Come, per esempio, quella di una sgangherata compagine di rapitori marocchini.
Anche le varie voci di avvistamenti di Iole, che girava da sola nelle campagne, non hanno mai trovato conferma. Gli investigatori hanno però tenuto in grande considerazione l'abitudine di Iole di conoscere persone via computer. E - questo era il loro sospetto - forse è stata qualche finta amicizia internettiana a indicarla come un obiettivo possibile e vulnerabile. Forse qualcuno, sapendola sola e senza una storia sentimentale importante, ha pensato di potersela portar via.
Dopo giorni e giorni di appostamenti, di pedinamenti, di difficile "aggancio" dei sospettati, ieri pomeriggio i militari del nucleo operativo hanno circoscritto un isolato di Bassano, dove un appuntato aveva visto posteggiare l'uomo che sospettavano essere il sequestratore.
A notte fonda, quando il sospettato numero uno è andato a dormire, uomini in borghese e in divisa hanno dato il via a un'irruzione in stile commandos, per evitare conflitti a fuoco. Una strategia simile era stata studiata anche nell'ultimo caso risolto tre settimane fa, quello di una ragazzina cinese rapita nella Marca Trevisana e portata a Milano, nella Chinatown di via Paolo Sarpi. Ma se allora l'ostaggio era stato liberato senza sparare un colpo e tutti i rapitori catturati, qua a Bassano per la povera Iole non c'era purtroppo più nulla di buono da fare. "Salvo prenderli tutti e mandarli, come si meritano, all'ergastolo", dice uno dei detective, che fatica a trattenersi, di fronte a un simile orrore, a un simile dolore.
OSSERVAZIONI CRITICHE. Possiamo intanto partire dal titolo, per notare come i media italiani ricorrano ancora alla contrapposizione criminalità italiana/criminalità straniera. I delinquenti non sono visti come persone che operano per interessi propri, o altrui, e che commettono reati assumendosene una responsabilità personale o di gruppo criminale. I delinquenti sono ancora catalogati secondo l’appartenenza etnica. Nel caso del “gruppo di romeni” o della “banda di albanesi” avremmo una indicazione al lettore: “tu sai, caro lettore e telespettatore, che gli albanesi si comportano in un certo modo e che i romeni delinquono in un altro modo, per cui se ti dico che i criminali autori di un certo reato sono di questo o quel gruppo, allora devi fare ricorso alla tua enciclopedia personale di conoscenze, prodotta dai mass media, e interpretare sotto la giusta luce quanto è accaduto”.
Nel caso di Bassano, la banda autrice del sequestro è formata da “italiani”. Quale “link” all’enciclopedia personale di conoscenze del lettore attiva la specificazione che si tratta di criminali italiani? Vi è innanzi tutto una negazione implicita: non si tratta di delinquenti stranieri; non vi è un pericolo che viene “da fuori” e questo ci porta ad escludere fiaccolate, dichiarazioni di politici e manifestazioni di piazza contro la criminalità “extracomunitaria” o comunque estera. Ha una funzione rassicurante o meramente informativa quello specificare che si tratta di italiani? Per saperlo, dovremmo intervistare un rappresentativo campione di lettori; dal nostro punto di vista di lettori critici del messaggio mediale, possiamo solo constatare che vi è quella specificazione e che di sicuro essa attiva un’azione rassicurante, che impedisce reazioni contro la malavita straniera e, di rifletto, contro la comunità straniera in Italia.
L’osservazione che ci sembra però più interessante prende spunto da una ricerca qualitativa svolta, nell’ambito di uno stage al Cestim di Verona, da Valentina Disarò, nell’ambito di una tesi discussa alla conclusione del Master in “Comunicazione interculturale nelle organizzazioni e nelle relazioni internazionali” organizzato dal Centro Studi Interculturali dell’Università degli Studi di Verona e diretto dal professor Agostino Portera con l’assistenza di un team di collaboratori fra cui figura anche chi scrive.
Ebbene, Disarò ha esaminato un certo numero di articoli sui “pirati della strada” ed è arrivata alla conclusione, che è scientificamente corretta solo per quelle unità di analisi trattandosi di un campione ridottissimo di articoli studiati con metodo qualitativo, che qui esponiamo sinteticamente: a) quando il fatto di cronaca ha come protagonista un pirata della strada/cittadino straniero, vi è una maggiore narrativizzazione e descrizione dell’avvenimento e del suo protagonista negativo (il pirata della strada che ferisce o uccide con la sua auto e poi scappa via); b) quanto il fatto di cronaca ha come protagonista un pirata della strada/cittadino italiano allora ci si concentra sull’azione delle forze dell’ordine, e non vi è una criminalizzazione dell’autore del reato.
Possiamo estendere quell’osservazione di Disarò anche all’articolo di Repubblica.it sul rapimento di Iole Tassitani. Chiediamoci: come sarebbe stato trattato il caso se gli autori fossero stati stranieri? Avremmo avuto una dovizia di particolari sulla loro età, la loro provenienza, la loro condizione sociale? Oppure, come per la banda di italiani, sarebbero stati rappresentati in modo sfumato, senza contorni e senza identità? E’ o non è vero che una così diversa rappresentazione attiva allarme sociale (nel caso della banda di stranieri) o semplice reazione privata di orrore e dolore (nel caso della banda di italiani)? Come mai nulla ci è stato detto – non per colpa del giornalista, ma per il silenzio delle fonti (le forze dell’ordine e la magistratura) – del rapitore e dei rapitori? Chi sono? Hanno un volto? Hanno radici sociali e storie criminali alle spalle? Il racconto di Repubblica.it è concentrato
sia sulla figura della vittima (era abituata a chattare in Internet, pratica non diffusissima fra le persona non più giovanissime e quindi non allarmante) che sul lavoro dei carabinieri e dei loro “marescialli”. Neppure i particolari macabri dell’evento – la donna fatta a pezzi – emergono in primo piano, a drammatizzare la morte di Iole Tassitani.
Sarà interessante scoprire se, nel caso quella banda fosse di italiani del sud, avremmo una spaccatura narrativa fra gli autori del delitto e la comunità locale. Già ci viene anticipato che Bassano non è la Calabria, a significare due Italie e due modi di fare il delinquente (è o no un fatto che siamo sempre stati un Paese multiculturale? Su questo vi sono pochi dubbi). Il civilissimo veneto non conosce l’omertà, ci fa notare l’articolista. Da giornalista veneto, sento il dovere di specificare che il Veneto conosce altri tipi di omertà, non per questo meno complice e meno criminale.
(Verona, 24 dicembre 2007)

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