IL CASO DI ROMA: L’INFORMAZIONE SUI MIGRANTI E GLI INTERESSI DEI “POTERI FORTI”

a cura di Maurizio Corte - Verona, 30 ottobre 2007

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Chi ha interesse a criminalizzare il “diverso” sui mass media? Vi sono posizioni politiche e ideologiche di giornalisti e di operatori dell’informazione che possono in parte spiegare questa criminalizzazione, quest’operazione di collocare il “male” al di fuori della comunità. Vi sono spiegazioni legate all’organizzazione e alla routine produttiva dei giornali che ci aiutano a capire alcune scelte nei temi, nel linguaggio, nella confezione dei giornali. Vi sono interessi di direttori dei giornali a drammatizzare l’immigrazione e a collegarla all’insicurezza: sono direttori che non venderebbero una sola copia se facessero del buon giornalismo, perché non sanno fare buon giornalismo e si baloccano così con espedienti di bassa lega per fare audience, per catturare attenzione e lettori o lettori-proseliti di chissà quale ideale od orizzonte culturale.
Ero convinto che ai “poteri forti” – dell’impresa, del commercio, dell’economia – interessasse un’immigrazione governata; una rappresentazione dello straniero come “persona” dato che fabbriche, esercizi commerciali e negozi non andrebbero avanti (specie nel mitico Nordest) se non vi fossero lavoratori venuti da fuori. Ero certo che agli impegni formali per una mediazione interculturale, espressi su documenti firmati dalle organizzazioni di categoria, corrispondesse una prassi del mondo imprenditoriale attenta alla persona: una prassi che in molti casi c’è ed è consolidata, ma che non si esprime in modo speculare sui media che quel mondo imprenditoriale controlla in modo diretto o indiretto.
Perché? Mi sono chiesto. Un’ipotesi, da verificare, potrebbe essere quella di una “svalutazione” economica, sindacale e politica del lavoratore straniero rappresentato in modi drammatizzanti e criminalizzanti dalla stampa. Quanto vale un lavoratore “albanese” rispetto ad un “romeno”? E quanto un “sudamericano” rispetto ad un “marocchino”? Trovo lavoro, e quanto mi pagano, se io – cittadino romeno – mi presento in un’azienda dopo una serie di fatti di cronaca nera in cui sono implicati cittadini romeni e che si presentano come legati a filo doppio all’azione criminale? Possiamo certamente dire che la “merce lavoro” del cittadino straniero criminalizzato dalla stampa vale meno di quella del cittadino straniero non criminalizzato dalla stampa. A chi giova? C’è qualcuno che ha un interesse diretto o indiretto a che vi sia una “cattiva stampa” verso i lavoratori stranieri? Siamo disponibili ad accogliere una colf o una badante romena in casa nostra o non preferiamo la colf e la badante brasiliana o ucraina? E le valutiamo, nella paga oraria, allo stesso livello, se non le conosciamo a tal punto da fidarci e da pesarne il valore senza pregiudizi?
Sarebbe interessante misurare il gradimento raccolto dai cittadini stranieri dopo una campagna di stampa delegittimante. Certo, non abbiamo elementi per affermare che una stampa anti-immigrati sia sollecitata da parte della classe imprenditoriale, da parte dei “poteri forti”. Ma possiamo certamente affermare che una cattiva stampa nei confronti dei migranti, ne svaluta il valore economico, umano e sociale. Quanto vale un lavoratore italiano, agli occhi di un tedesco, e quanto vale un lavoratore svizzero agli stessi occhi? E fra due lavoratori italiani, quanto vale un lavoratore calabrese e un lavoratore veneto? Sono domande che come giornalisti dobbiamo porci, per non essere complici di un meccanismo che ci sfugge e che offende la nostra autonomia professionale e di giudizio.
(Verona, 31 ottobre 2007)

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