VIOLENZA SULLE DONNE E PREGIUDIZI RELIGIOSI

a cura di Maurizio Corte - Verona, marzo 2007 
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VIOLENZA SULLE DONNE E PREGIUDIZI RELIGIOSI
Possiamo rilevare nella stampa una “etnicizzazione” della rappresentazione del crimine: l’illegalità o alcuni comportamenti criminosi sono associati al gruppo (religioso, nazionale, culturale, etnico) a cui la persona incriminata o sospettata appartiene. L’etnicizzazione della rappresentazione del crimine passa attraverso l’impiego di un linguaggio escludente e pregiudiziale, per cui l’autore di un certo delitto (o il semplice sospettato) viene etichettato utilizzando un particolare che lo caratterizza. Abbiamo così l’albanese, il romeno (o il “rumeno”), il marocchino, il nigeriano, l’islamico. Gli effetti sull’opinione pubblica sono diversi e come spiegano le teorie delle comunicazioni di massa (si vedano Wolf e De Fleur-Ball Rockeach) possono essere di differente intensità, mitigati e influenzati come sono dal gruppo di appartenenza, dalla cultura e dalla condizione sociale del fruitore dei media. E’ comunque accertata e dimostrata, anche dalla pratica quotidiana, l’influenza dei media sul linguaggio. Basti pensare a come la gente comune consideri normale l’impiego di una parola di pur “faticosa” pronuncia come “extracomunitario”. Qualche giorno fa, mia figlia mi faceva notare come in un gioco a scuola – in prima media – una sua compagna si fosse inventata una storia poliziesca identificando i possibili due criminali in un compagno e in una compagna “stranieri”. “Come mai hai scelto loro, che sono di una nazionalità diversa, come colpevoli?”, ha chiesto mia figlia. “E’ stata una scelta casuale, sono i primi nomi che mi sono venuti in mente!, ha risposto la sua compagna. “Chissà come mai, hai scelto però un compagno moldavo e una compagna rumena. Tutti e due stranieri”, ha ribattuto mia figlia, notando il rossore al viso della sua compagna.
E’ un piccolo esempio di come dai media, attraverso probabilmente il filtro familiare o dei gruppi dei pari, il linguaggio criminalizzante verso lo “straniero” possa arrivare ad una ragazzina delle scuole medie, fino al punto di portarla ad identificare la devianza con l’estraneità culturale e nazionale. Non è solo il linguaggio, ovviamente, a favorire quest’operazione, a creare questi automatismi. Pesa molto la scelta delle notizie e il taglio che ad esse viene data.
Ne abbiamo un esempio con il dispaccio dell’agenzia Ansa che segue. Al di là della parzialità del racconto e delle possibili inesattezze, possiamo certamente affermare che assistiamo ad uno spostamento di piano mediale: dall’attenzione ad una violenza privata, determinata da una certa situazione psicologica e relazionale individuale (che può o meno risentire della cultura di appartenenza dei protagonisti della storia), si passa ad un’interpretazione che classifica sotto “islamico” il fatto di violenza. Già dal titolo, vediamo come si operi una “tematizzazione”, per cui il fatto di cronaca viene classificato sotto la voce “Islam”, con tutto quello che essa attiva nel pubblico: fanatismo religioso, estraneità rispetto alle nostre tradizioni, violenza privata, terrorismo internazionale, irriducibilità al dialogo e alla pacifica convivenza.
E’ un po’ come seguitassimo ad identificare la Sicilia con la mafia e classificassimo tutte le notizie sui delitti mafiosi sotto la voce “Sicilia”.

 

ISLAM: USTIONATA DA ACIDO,SORELLA FU VITTIMA MARITO VIOLENTO
(ANSA) - VERONA- Il ricovero in ospedale di una donna islamica con ustioni da acido ha fatto salire l’allarme oggi a Verona per il possibile riesplodere della violenza in nuclei familiari musulmani. Tutto faceva pensare che la vittima delle ustioni fosse Amal El Bourfai, la marocchina di 33 anni , massacrata di botte in casa dopo che il marito aveva ascoltato l’imam di Verona incitare i fedeli a «picchiare» le loro donne. Ma la giovane ustionata era invece la sorella: Halima El Borfuai, finita in ospedale per un probabile incidente domestico, come ha spiegato l’immigrata ai medici.
A denunciare la vicenda è stata la deputata di An Daniela Santanchè, che ha però confuso Halima con Amal, la donna picchiata dal marito istigato dall’imam di Verona. La vicenda è poi stata chiarita dall’avvocato Rosanna Credendino, vice presidente del Telefono Rosa di Verona, e difensore di Amal.
«La donna ricoverata non è Amal, ma sua sorella», ha spiegato il legale, aggiungendo che le ustioni subite da Halima «non hanno nulla a che vedere con una vicenda di maltrattamenti in famiglia o lesioni». Cosa confermata in serata anche dal procuratore di Verona, Guido Papalia. Halima non è in pericolo di vita. Era stato il marito di quest’ultima, un italiano, a chiedere il 12 marzo scorso l’intervento dell’ambulanza del 118; la donna aveva subito chiarito ai medici che le ustioni con l’acetone erano la causa di un incidente domestico. Non aveva presentato dunque alcuna denuncia, ma del fatto si sta comunque interessando la polizia, perchè la prognosi per Halima è superiore ai 20 giorni. Da quanto si è appreso, la donna stava attraversando un momento delicato dal punto di vista emotivo.
Due sorelle accomunate da un destino difficile, quindi, anche se appare più drammatico quello di Amal, 33 anni, madre di due figli di 4 e 3 anni. Il suo caso era stato sollevato da Magdi Allam con un servizio di denuncia sul ’Corriere della Serà il 27 gennaio scorso. Il quotidiano raccontava dell’ultima,
violentissima aggressione, subita dalla donna nell’agosto 2005, da parte del marito, Moustapha Ben Har, 46 anni, denunciato già altre volte per il suo comportamento violento. Ma l’aggressione più grave, raccontava nel servizio il quotidiano di Via Solferino, era avvenuta la sera del 26 agosto 2005, quando l’uomo aveva picchiato la moglie dopo aver ascoltato l’imam Wagdy Ghoneim che invitava i fedeli a «governare le donne come
le pecore», e a picchiarle, «perchè è il Corano che lo ordina».
Amal e il marito da allora non vivono più nella stessa casa. Dopo la denuncia l’uomo è stato condannato per maltrattamenti in famiglia a un anno e otto mesi. Amal, con i due figlioletti, ha riferito l’avv. Credendino, si trova ora in una struttura protetta e segreta.


Verona, marzo 2007

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