“DELITTI E PREGIUDIZI“

a cura di Maurizio Corte - Verona, 15 gennaio 2006 
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Dal “Corriere della Sera” del 12 gennaio 2007 (editoriale in Prima Pagina)
Autore dell’articolo: Pierluigi Battista
Della carneficina di Erba si conoscono finalmente gli autori, rei confessi. Complimenti agli investigatori, che hanno pazientemente dato un senso al complicato mosaico indiziario di un delitto orripilante e inspiegabile, immerso com'è negli insondabili abissi della banalità del male. Eppure, a vicenda investigativa brillantemente conclusa, resta ancora una macchia: la brutale sbrigatività con cui, appena compiuta la strage, venne indicato come responsabile Azouz Marzouk, sospettato di aver ucciso, con altre due vittime, la moglie e il figlio. Anche noi, come tutti i giornali che quella notte hanno fatto in tempo a pubblicare la terribile notizia, abbiamo divulgato questa prima versione, e doverosamente abbiamo fatto ammenda. Non sarebbe un gesto superfluo se anche le autorità inquirenti chiedessero solennemente scusa a Marzouk, cui inflissero la pena aggiuntiva di un atroce sospetto.
Sarebbe anzi un gesto simbolicamente importante, perché metterebbe in luce il pregiudizio che fu all'origine di quello sciagurato equivoco. Un pregiudizio, quello fondato sull'assunto che con elevata probabilità siano i neri, gli stranieri, «gli extracomunitari» i più inclini a compiere delitti efferati, che già in passato ha avuto l'effetto di deviare indagini, confondere le acque, creare mostri (innocenti). Non sarà inutile ricordare che, dopo la strage di Novi Ligure del 2001, si parlò anche in quel caso di «bande di extracomunitari» prima della confessione di Erika e Omar. Nel 1999, a Calcinato in provincia di Brescia, sparì il piccolo Giorgio. Si parlò di un sequestro di «albanesi o nomadi», ma a uccidere il bambino di tre anni era stata la madre. Nel 1997 a Capriolo (Brescia), una signora confessò di aver ammazzato il marito che l'aveva scoperta con l'amante, ma prima aveva dirottato l'attenzione degli inquirenti su non meglio precisati «slavi». Nel 2006, a Bologna, una ragazzina accusò un «marocchino di vent'anni» di averle usato violenza, ma dopo il fermo della polizia si scoprì che si trattava di uno stupro inventato e l'immigrato ingiustamente accusato dichiarò di voler andare via dall'Italia. Sempre nel 2006, a Brescia, l'imprenditore Angelo Cottarelli venne trovato sgozzato, e il dettaglio dello squarcio alla gola venne letto come il segno dell'azione di «extracomunitari»: gli assassini, tra cui il nipote di un capomafia ucciso nel 1986 e noto come «Mommu 'u nanu», invece facevano parte di un gruppo criminale siciliano.
Una sequenza di errori che spiega con quanta facilità il pregiudizio si insinui nelle ipotesi investigative, ma anche nel giudizio pubblico, nell'interpretazione dei fatti. Un pregiudizio che nasce certo da un non ingiustificato allarme sociale, dalla percezione di un assedio criminale che sconvolge e intossica l'esistenza ordinaria di una comunità. Ma soprattutto un ordigno depistante che può produrre conseguenze catastrofiche. Se Azouz Marzouk non avesse avuto un alibi formidabile, è possibile addirittura che l'errore avrebbe faticato a venire a galla, con i veri assassini lasciati in libertà. Il pregiudizio offusca. Le scuse degli inquirenti potrebbero restituire un po' più di lucidità.
Verona, 15 gennaio 2006

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