“QUELLA CONDANNA FRETTOLOSA DECISA
DA INQUIRENTI E MASS MEDIA”

a cura di Maurizio Corte - Verona, 15 gennaio 2006 
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Da “L’Arena”, quotidiano di Verona, del 18 dicembre 2006 (Pagina nazionale)
Autore dell’articolo: Maurizio Corte
Sulla strage di Erba vi è una sola certezza: la mano omicida non è quella del marito tunisino. Sono bastate poche ore per smentire le versioni fatte trapelare dagli inquirenti, in modo frettoloso, nei primi momenti seguìti all’eccidio. Sono crollate su loro stesse le «certezze» diffuse dalle agenzie e dai giornali.
Non ha scritto una nobile pagina di giornalismo, una settimana fa, la stampa italiana. E non hanno scritto una grande pagina di «comunicazione pubblica» i magistrati e gli investigatori che lavorano al caso. La caccia al mostro «straniero», al «nordafricano» è scattata appena si è avuta notizia dell’assassinio di Raffaella Castagna, 27 anni, cattolica convertita all’Islam, del figliolettoYoussuf, della madre di lei, Paola Galli, della vicina di casa, Valeria Cherubini. La certezza che fosse stato il marito di Raffaella, Azouz Marzouk, è stata diffusa dagli inquirenti e sposata dai mass media senza condizioni: l’essere di nazionalità tunisina e di religione islamica, e l’essere stato in carcere per spaccio di droga, lo inchiodava senza se e senza ma.
Contro il killer «tunisino» erano già pronte le proteste di piazza. È facile prevedere quale copione - il solito - sarebbe stato recitato: manifestazioni contro gli extracomunitari, proteste dei cittadini contro una società sempre più degradata per colpa degli «stranieri», editoriali in punta di penna di giornalisti autorevoli (e non) che di immigrazione, di sicurezza, di società multiculturale sanno poco. Anzi, nulla.
La sicurezza è un tema serio. L’immigrazione è un tema molto serio. La società multiculturale è un tema a sua volta serissimo e complesso. Fra dieci anni il nostro Paese avrà almeno 6 milioni di cittadini di origine straniera: popolazione attiva la quale vive, lavora, produce, abita nei quartieri e - come sempre accade nella popolazione attiva - in piccolissima parte delinque.
La stampa deve continuare ad aizzare la pubblica opinione contro lo «straniero»? Il calendario delle redazioni deve tornare agli anni sessanta, quando ad essere criminali erano i siciliani e i calabresi? insomma, i «meridionali»? O non è il caso di capire quest’Italia che cambia; e di spiegarla e interpretarla per un’opinione pubblica che è molto preoccupata dei mutamenti e poco soddisfatta dei giornali?
Dare addosso allo straniero, usare ancora in tono dispregiativo il sostantivo «immigrato», e sposare il linguaggio «poliziese» che criminalizza gli «extracomunitari», fa vendere più copie e accresce l’audience dei programmi tv? sposta i voti da una parte all’altra? Lo sparlare di sicurezza e il far bollire le tensioni sociali rende i giornali più interessanti e appetibili? Le ricerche sul pubblico dei media ci dicono di no.
Si badi bene: non si tratta di fare del giornalismo buonista. I delinquenti sono delinquenti, i ladri sono ladri, i violenti sono violenti, i maleducati sono maleducati, siano essi italiani, stranieri, bianchi, neri o blu. La legge va fatta rispettare, anche in una società multiculturale. Si tratta di scegliere la strada del buon giornalismo, di avere rispetto dei lettori e delle persone di cui si scrive. Vi è la necessità di tornare alle origini: alla verifica dei fatti, allo scavo, alla fatica dell’approfondimento. Occorre tornare a pensare; bisogna svincolarsi dalle «verità» delle fonti, perché polizia, carabinieri e magistrati non possiedono la verità, sono solo alcuni degli attori della scena giudiziaria.
Un grande cronista di nera, Tommaso Besozzi, osò sfidare le versione ufficiale dei carabinieri sulla morte del bandito Salvatore Giuliano: «Di sicuro c’è solo che è morto», titolava quella settimana il suo reportage sul settimanale l’Europeo. Era il 12 luglio 1950. I «terroni» dovevano ancora immigrare al Nord e gli «extracomunitari» dovevano ancora turbare i sogni dei cittadini e mettere alle corde la superficialità e la malafede di certa stampa. Altri tempi.
Verona, 15 gennaio 2006

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